Mattiazzi: La medicina della “mediazione”

Gentile Direttore,
nelle corpose 100 tesi del prof. Cavicchi si affronta nella sesta macro area la riflessione circa una nuova definizione di medicina, poiché, afferma il professore: “ […] se il problema è la ridefinizione del medico questo non è risolvibile se, allo stesso tempo, non si chiarisce l’identità della medicina. Non si cambia medico a paradigma invariante perché è questo che ne definisce l’identità.” La questione appare strategica. In uno dei mercoledì filosofici dell’ordine di Venezia si è aperto un confronto proprio attorno a questo tema.

Medicina come scienza “anormale”
“La medicina oltre a essere ragionamento è riflessione sul ragionamento perché il ragionamento deve essere adeguato a qualcuno e a qualcosa.”, è proprio grazie a questa premessa che la definizione di “medicina della scelta” non convince completamente, o meglio, la parola “scelta” fa problema rispetto agli universi che si trovano a condividere la decisione. Sappiamo bene tutti quanta complessità fluisca nei rapporti medico-paziente, sappiamo altrettanto bene quanto un processo di cura e guarigione non sia un fatto meramente fisico, materiale, per tutto ciò occorre definire l’atto di cura in modo che tenga conto dell’insieme dei fatti che in essa accadono.

Appare che la scelta sia un libero atto di volontà per cui, tra due o più offerte, proposte, possibilità o disponibilità, si manifesta o dichiara di preferirne una, ritenendola migliore, più adatta o conveniente delle altre, in base a criteri oggettivi oppure personali di giudizio, che comunque implicano sempre una decisione. La decisione taglia via qualcosa, lascia l’impressione di aver rinunciato a una parte delle possibilità in favore di una.

Siamo di fronte alla privazione di una o più possibilità e, trattandosi di alternative mediche, l’operazione fa nascere numerose perplessità. Rispetto a questa definizione e in merito al nostro caso, soffriamo di un’ulteriore complicazione: la scelta non è individuale ma collettiva, cioè partecipano alla medicina della scelta più parti, che non hanno la stessa conoscenza/competenza/formazione, ma anche le stesse ricadute e/o le stesse finalità. La persona che chiede la cura non ha spesso conoscenze specifiche, approfondite, ma è portatore delle sua credenze, dei propri orizzonti di senso che il medico, che ha la conoscenza appropriata ad affrontare le problematiche mediche, non conosce.

Io non so di medicina e tu non sai di me. Il servizio sanitario non sa di noi. Appare evidente a questo punto che se noi non apriamo il paradigma positivista alle variabili relative all’umano non potremo nemmeno pensare al superamento della univocità-esclusività del paradigma scientifico. L’accoglienza dell’esperienza integrale dell’essere persona, sia del medico che del paziente, è l’unica possibilità che intravedo come apertura e spazio evolutivo della medicina futura (scrivo futura ma intendo presente già nelle “pretese dell’esigente” e nelle istanze del “medico in crisi”)

“La medicina della scelta (tesi N°93.2) è sempre una medicina razionale quindi scientifica ma allo stesso tempo è, per ragioni di complessità, una medicina ragionevole e relazionale…” Come posso tenere insieme il raziocinio, il buonsenso e il consenso se la complessità non è assunta in toto e se a priori considero che una parte delle mie possibilità (probabilmente la maggior parte, dato che ne scelgo una) rimarrà scartata?

La proposta che si potrebbe fare è quella della “medicina della mediazione”.
La mediazione è quel punto mediano che ha nel suo mostrarsi l’insieme di tutte le posizioni presenti che non tralascia e non sacrifica nulla, anzi fa della differenza il proprio punto di forza. La mediazione si realizza senza rinunciare ad alcuna disponibilità, anzi, l’atto del mediare analizza ogni offerta creando di volta in volta un percorso singolare che non tralascia le conquiste mediche, le macchine e le attrezzature disponibili al percorso di cura, si fa forte delle competenze del professionista e non trascura la cultura, l’appartenenza del malato (l’esigente), tiene in considerazione l’economicità, l’eticità e la forma comunicativa più adatta alla singola occasione. La mediazione è una attività generante, creante e giustificante in sé ogni suo contenuto e conclusione.

La scelta lessicale ci appare importante in un mondo minuziosamente pensato, come risulta quello che esce dalla riflessione dell’Autore, qualsiasi costruzione ambiziosa che parta con una impostazione lessicale sbilanciata in una certa direzione può favorire effetti indesiderati anche importanti. L’opzione che predilige la mediazione mi appare particolarmente adatta all’esercizio di una medicina più umana e meno meccanica, e che può sciogliere una parte di complessità, dato che il vivere quotidiano, l’esercizio dell’essere, è un atto di incessante mediazione tra ciò che l’umano sente come vero e giusto e ciò che c’è.

Tiziana Mattiazzi
 Membro L.A.I (Libera Associazione di Idee)
Partecipante Mercoledì filosofici  Fondazione Ars Medica Omceo VE


Lettera pubblicata su QuotidianoSanità

Autore: Redazione

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