Medici oggi, la responsabilità di una leadership

Il tema era di quelli delicati e nonostante il tempo inclemente che ha gravato su Rimini e sulla Romagna, medici, presidenti di Ordine, relatori e ospiti vari non si sono fatti “intimorire”: il convegno "Medici e professioni sanitarie. Quali autonomie, quali responsabilità?" ha avuto momenti caldissimi di confronto, di approfondimento, di visione futura. Diciamo “convegno”, ma la definizione è impropria perché tra Forlì, Rimini e Ravenna si è tenuta una tre giorni vasta e complessa, con seduta del Comitato centrale (giovedì a Forlì), convegno (venerdì a Rimini), Consiglio nazionale (sabato a Ravenna).

Di certo le otto ore di dialogo e dibattito riminese, tenute nel salone convegni dell’hotel Le Meridien, hanno avuto il ruolo maggiormente “pubblico” di fare il punto sui temi controversi delle autonomie e delle responsabilità della professione medica nei confronti delle altre professioni, sia quelle già normate, che quelle in forte “avanzata” sociale ed accademica, spesso ruotando attorno ai temi e alle ambiguità della legge 42/99. Quattro sessioni per un totale di dodici relazioni più una tavola rotonda: un tour de force non indifferente.

I momenti salienti sono stati con ogni probabilità gli interventi di Gianfranco Iadecola, che ha analizzato presupposti e rischi di una definizione attuale di atto medico, l’analisi delle responsabilità mediche da parte di Roberto Longhin e la presentazione di Ketty Vaccaro, del Censis.

ATTO MEDICO E DEFINIZIONE DI AMBITI
Muovendosi dalla domanda “se l’ordinamento giuridico possa o debba avere interesse rispetto a una catalogazione definitoria di atto medico ovvero se una tale catalogazione risulti indifferente”, Gianfranco Iadecola ha sottolineato nell’intervento centrale della prima sessione di lavori come “a noi pare che un tale interesse l’ordinamento giuridico lo abbia”.
L’ordinamento giuridico, è stato il senso dell’intervento del giurista, ha interesse ed esigenza a qualificazione di atto medico, ma non c’è norma specifica che la sancisca e quindi “l’individuazione di questi atti è malsicura”. Pur nella sottolineatura che l’orientamento della Corte di Cassazione è funzionale e l’atto medico “viene ad identificarsi con ogni atto finalizzato a diagnosi e approccio terapeutico nei confronti delle malattie” e dove, quindi, solo il medico può farlo e solo lui si può cimentare validamente e correttamente con tali atti, rimangono comunque tanti casi incerti, “dove il giudice non sa orientarsi soprattutto nei casi dove c’è responsabilità dell’infermiere”. Nell’insieme dei dubbi presentati da Iadecola (soprattutto quando ci si trova di fronte a scelte che sottraggono al medico il primato nel percorso terapeutico), si è presentato poi un ulteriore problema: nell’insieme di settori che si occupano del malato e della sua malattia, a chi compete il dovere di comunicazione al malato? Ultima battuta: “per me è fondamentale il tema di una figura che coordini tutto il processo di cura”.
Ricca di dati e cifre di riferimento, la relazione di Ketty Vaccaro (che pubblichiamo integralmente), ricercatrice del Censis, ha proprio scavato nel rapporto tra medici, altre professioni (soprattutto infermieri) e pazienti, sulla base dei dati di alcune ricerche della Fondazione Censis. Se da un lato, infatti, è chiaro che nel 2008 si sono laureati 6796 medici, mentre le lauree in altre professioni sanitarie sono state 20.538, è anche vero che questi dati impongono di “rimodulare i rapporti e la filiera ridefinendo gli ambiti di competenza e responsabilità. Altrimenti si da peso a due differenti arroccamenti: quello dei medici che si arroccano sulla difesa della propria funzione e quello dei nuovi professionisti che richiedono nuove autonomie, mentre i pazienti – come dimostrato dalle tabelle presentate – preferiscono la definizione di ambiti per avere intercolutori precisi ed esaurienti”.

UNA LEGGE E QUALCHE AMBIGUITA’
In tutte le relazioni i riferimenti alla legge 42/1999, Disposizioni in materia di professioni sanitarie, sono stati puntuali e ripetuti. Anche nell’intervento di Roberto Longhin (che pubblichiamo integralmente), avvocato dell’OMCeO di Torino la 42/99 ha fatto da sfondo all’enucleazione dei problemi inerenti la gestione dei profili di responsabilità in ambito sanitario. La legge che ha sancito la nascita del sistema di professioni sanitarie articolate, tenta di stabilire ambiti professionali a partire da profilo professionale, formazione ricevuta e codice deontologico, ma in realtà “rimane ambiguamente sul vago quando si tratta di definire temi come competenza, autonomia professionale, applicazione diagnostica. Negli anni Quaranta l’infermiere somministrava i farmaci ordinati dal medico, oggi garantisce la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostiche del medico, ma quando sbaglia, chi ne risponde?”. Nella sua relazione, partita analizzando un caso concreto (uno sportivo che denuncia un medico dirigente di struttura dopo che un fisioterapista gli ha forse provocato lesioni permanenti), Longhin ha terminato evidenziando una dicotomia professionale e storica: “Nei decenni che ci precedono il dibattito sugli atti nei confronti del paziente – ad esempio nella professione infermieristica – era dibattito sulla legittimità, ora si è spostato sulla responsabilità. Nella professione medica, invece, prima era sulla responsabilità, oggi è sulla legittimità delle azioni assistenziali. Dovremo trovare un punto di chiarezza condiviso, pena il caos di tutto il processo”.

RESPONSABILITA’ TRA PROBLEMATICHE ED ETICA
Al centro di ogni riflessioni, quindi, il tema della responsabilità. Toccato sia in ambito teoretico, nella definizione storica di “professionalismo” (Sapienza e Benci), sia nell’analisi dei percorsi e delle competenze formative (Gensini), che dei modelli in via di sperimentazione (il discusso See and treat per le urgenze minori, presentato da Giancarlo Berni) che dell’approccio etico-deontologico, sezionato da Sandro Spinsanti fino alla definizione dei “tre vincoli di libertà” per le decisioni mediche: primo vincolo, non far male al paziente e fargli quello che in scienza e coscienza si ritiene opportuno; secondo vincolo, introduzione della volontà del paziente, con una conseguente autonomia da rispettare; terzo vincolo, si naviga su un mare tempestoso che ci butta da una parte e dall’altra; organizzazione, uso risorse, limiti struttura; non è affermare principi non negoziabili, bensì accogliere l’insieme delle sfide e delle sollecitazioni per scelte che possano essere le meno peggiori”.

RELAZIONI, DIBATTITO E IL SALUTO DEL NEO-ASSESSORE
Troppo ampio il convegno per riportare tutti gli spunti, a partire da quelli lasciati da Roberto Leonardi, direttore generale del Ministero, che ha ricordato che “l’obiettivo ultimo è e sarà è salute del paziente e che sarà lo Stato a definire ambiti e competenze delle responsabilità, anche se questo oggi dovrà tener conto di un elemento aggiuntivo di complessità, vale a dire le legislazioni regionali in ambito di responsabilità. Variabile rimane in tutto questo la gestione della malattia, dove auspico, personalmente, la possibilità di una regia unica”. Il direttore generale dell’Agenas, Fulvio Moirano (che pubblichiamo integralmente), ha sviluppato un ampio ragionamento che partendo dai due modelli di riferimento internazionale (il Chronic care modale e il Disease management) si è riferito a uno studio del Loetz uscito nel 1999, che identifica le cinque leggi dell’integrazione: “È possibile integrare, ma non è possibile integrare tutti i servizi per tutte le persone. Integrazione ha dei costi prima che dia benefici. Tua Integrazione è mia frammentazione. Non si può integrare un piolo quadrato e un buco rotondo. Colui che integra detta tempo e regole. Oggi il problema è comprendere chi è il soggetto in grado di integrare, di gestire l’integrazione a ogni livello: decisori politici e decisori professionali, strutture e territorio, equipe e leadership”.
Serrato il dibattito che ha chiuso i battenti sul convegno, a cui hanno partecipato Roberto Lala (SUMAI), Giacomo Milillo (FIMMG), Carlo Troia (ANAAO), Cassi (CIMO), Guana (FNCO), Spinelli (FISM), con la moderazione di Maurizio Benato e Gabriele Peperoni. Anche Carlo Lusenti, neo-assessore alla salute della regione Emilia-Romagna ha portato il suo saluto ricordando che tra gli assessori alla sanità ci sono ben sei medici: “C’è una sfida culturale dietro questo fatto, una sfida che si esprime in questa domanda: la nostra cultura professionale è in grado di governare la salute? Siamo in grado di dare contributo ideativi e culturale alla soluzione dei problemi oggi rappresentati dall’argomento salute in Italia e nelle sue regioni?” Su questa provocazione si è chiuso il convegno riminese: a Ravenna la responsabilità di provare a trarne gli elementi di sintesi.

LA RELAZIONE BIANCO
La giornata di sabato, con lo spostamento di tutta la Federazione a Ravenna, si è concentrata sulla relazione Bianco (che pubblichiamo integralmente). L’impianto della relazione – che nelle sue battute iniziali ha ricordato la scomparsa di Nunzio Romeo, proprio al ritorno dal Consiglio FNOMCeO di febbraio – ha come sempre approfondito i momenti del dibattito politico e professionale che più da vicino riguarda il mondo medico e degli odontoiatri. Sulle certificazioni di malattia e sul dispositivo sanzionatorio previsto dal decreto Brunetta (Dlgs 165/2010), Bianco ha ricordato che dopo il tavolo tecnico presso il Ministero della funzione pubblica, fortemente chiesto e voluto dalla Federazione, qualcosa di importante è accaduto: “Risale a qualche giorno fa la pubblicazione di una circolare a firma del Ministro Brunetta – che abbiamo edito sul nostro portale – che traccia una linea interpretativa della norma sulle certificazioni che riconduce ai principi della buona pratica clinica sia la correttezza formale sia la legittimità giuridica della certificazione, soprattutto in riferimento alle prognosi brevi, mentre è in via di definizione l’emendamento legislativo che corregge l’improprio automatismo tra sanzione amministrativa e sanzione deontologica disciplinare in caso di accertata violazione della norma stessa”.
Altro affondo molto attento sui nuovi servizi nelle farmacie, che nella volontà del Ministro Fazio dovrebbe divenire decreto già entro fine maggio. “L’attuazione di nuovi servizi nelle farmacie nasce da un progetto politico che risale ad alcuni anni or sono e che si propone di concretizzare l’obiettivo di trasformare le farmacie in veri e propri presidi sanitari sul territorio, non limitati cioè all’approvvigionamento e dispensazione di farmaci e prodotti sanitari. Questa visione ha assunto ancora più vigore perché, a vario titolo, ritenuta idonea e funzionale ad offrire risposte, concrete ed efficaci, all’emergente bisogno di ridistribuire alcune tipologie di servizi sanitari sul territorio sia in un’ottica di razionalizzazione della spesa sia in una prospettiva di migliorare la qualità e l’accessibilità di alcuni servizi”.

E quindi? Nessuna ostilità preconcetta verso questa visione, ovviamente, ma l’urgenza, sottolineata da Amedeo Bianco della definizione dei valori contemporanei di governance e di leadership: “La sanità a cui ci stiamo avvicinando a grandi passi ha sempre più bisogno di esprimere e riconoscere, nella governance dei processi clinico assistenziali, il ruolo di una leadership funzionale che garantisca l’armonia, l’efficienza, l’appropriatezza, la sicurezza complessiva governando di volta in volta quelle aree grigie di conflitto di competenze che immancabilmente si accendono nelle terre di confine tra le diverse professioni”.

In ambito di Dl 1142, quindi di riforma di Ordini e Professioni, il presidente FNOMCeO ha relazionato sui dialoghi avuti con il Ministro della Salute e delle rappresentanze degli Ordini e collegi delle professioni sanitarie. Due sono gli impegni assunti: il primo consiste nel sollecito al Parlamento sull’iter di approvazione del 1142, inserendo nel testo una delega al Governo per ridefinire in senso più contemporaneo le professioni di medico, odontoiatra, farmacista e veterinario. Il secondo impegno punta a produrre un documento relativo a problematiche comuni a tutti i servizi professionali. E qui i temi fondamentali sono: tariffe di riferimento per gli onorari professionali, integrazione tra ambito formativo ed ambito professionale, responsabilità nelle società professionali e multiprofessionali, ruolo deontologico e disciplinare degli Ordini, riconoscimento dei titoli e delle attività. Sull’insieme di questi punti e sui documenti che la FNOMCeO si troverà a dover proporre e condividere, Bianco ha prospettato la necessità di un Consiglio nazionale (che si terrà presumibilmente a metà giugno). Allo stesso modo Bianco ha confermato i lavori in corso sul tema della mediazione: la Federazione si sta operando affinché gli Ordini possano esercitare ruolo e compito specifico nella risoluzione non giudiziale dei contenziosi. L’ultimo punto della relazione ha implicitamente ripreso i temi del convegno di Rimini, in una risottolineatura forte e di ampia visione dei ruoli e delle funzioni del medico. Certo, ci sono 22 nuove professioni. Certo, si va verso una sempre maggior riscrittura in equipe delle attività che concernono la salute del cittadino. Certo, si tende a fare di ogni competenza necessaria un nuovo corso di laurea. Ma “non si può ritenere ammissibile una indisciplinata confusione operativa e tanto meno una sostanziale erosione del ruolo e della dignità del medico che travalichi il limite di una sinergia integrativa rispettosa di una professione, la nostra, garantita e resa specifica dallo Stato attraverso l’abilitazione”.

Se è vero, come affrontato da diversi punti di vista a Rimini, che la definizione di atto o attività medica è sempre più complesso se non praticamente impossibile, è tuttavia “da perseguire l’obiettivo di riconoscere che l’atto o attività medica si caratterizza e distingue per quella potestà, esclusiva e specifica, di formulare diagnosi, prescrivere ed eseguire trattamenti che, nella moderna complessità dei processi clinico assistenziali garantisce una sintesi tecnico professionale che si identifica sul piano operativo come insostituibile espressione di tutela della salute”. “La leadership medica (intesa in senso funzionale) è dunque da considerare come presidio di armonia, di coerenza, di efficienza e di sicurezza e come fattore di sintesi e di contemperamento di plurime esperienze e specializzazioni professionali, adeguatamente formate, preparate e senz’altro insuscettibili di improvvisati assemblaggi”.

Alla relazione è seguito un dibattito in cui soprattutto Mario Falconi, presidente dell’Ordine di Roma, ha sottolineato la nevralgicità di una corretta comunicazione ai cittadini: “Dobbiamo farci carico di far comprendere ai pazienti, alle famiglie, ai cittadini tutti che una sanità in cui tante professioni spingono per arrivare in primo piano avrà sempre bisogno di un medico che sia responsabile verso il cittadino stesso della sua salute, della sua diagnosi, del suo percorso terapeutico”. Parole condivise e applaudite. Parole che si ritrovano con la frase conclusiva della relazione-Bianco, fortemente incentrata sul ruolo attuale degli Ordini: “I nostri Ordini professionali sono i naturali portatori di questi interessi peraltro generali e anche in ragione dell’art. 64 del Codice di Deontologia Medica a loro spetta il compito di vigilare e intervenire su tali processi di cambiamento affinché le innovazioni non si riducano a mere derive efficientiste che mirano a ridurre i costi impoverendo i servizi di competenze appropriate, esponendo categorie sanitarie su terreni tecnico professionali non propri, sottraendo ruoli e compiti al medico oltre e contro la sua indiscussa posizione di garanzia e tutela della salute dei cittadini”

Autore: Redazione FNOMCeO

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