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Il gruppo di lavoro per la Medicina di Genere della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri interviene sulla scomparsa della psichiatra Barbara Capovani

«È difficile trovare le parole in un momento come questo, quando i pensieri sono tutti rivolti alla famiglia della psichiatra Barbara Capovani che ha perso tragicamente la vita per mano di un soggetto privo di equilibrio psichico ». Così la dottoressa Paola Pasqualini, coordinatrice del gruppo di lavoro per la Medicina di genere della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO), interviene sulla tragedia che ha colpito la comunità medica nei giorni scorsi. «Ci uniamo al dolore dei familiari e di tutte le persone che conoscevano la nostra collega, medico non solo esperto e capace, ma di una umanità solidarietà e fiducia nell’altro non comuni. “hon oi theoi philusin apothneskei neosmuor giovane colui che gli dei amano” dicevano gli antichi. Ma oggi no, non è accettabile morire così. Le promesse non bastano più, servono fatti concreti e rapidi dalle istituzioni, serve soprattutto una tutela superiore per la nostra categoria, specialmente per noi donne che, come riportano i dati, siamo quelle maggiormente colpite dalle aggressioni fisiche e verbali sul posto di lavoro. Ma, inutile nasconderlo, sappiamo che serve un cambio di rotta a livello sociale e culturale: le difficoltà della sanità pubblica ricadono sugli operatori che non lavorano più serenamente. Se non ripristiniamo la fiducia tra medico e paziente, leggi, precauzioni e prevenzione serviranno a poco. Fino a poco tempo fa venivamo chiamati “eroi”, oggi subiamo aggressioni fisiche e verbali quotidianamente. Si deve cambiare direzione. Lo dobbiamo a Barbara e a quanti prima di lei sono stati uccisi mentre svolgevano il proprio lavoro. Non vogliamo più piangere i nostri colleghi. Servono precauzioni ma anche una cultura della condivisione. La violenza non è accettabile. L’abbraccio del gruppo di lavoro va alla famiglia di Barbara Capovani e a tutti gli operatori sanitari vittime di violenza, perché sappiano che non sono soli.

Autore: Redazione

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