Elenco dei medici ebrei discriminati.
Davide Schiffer, neuroscienziato di fama internazionale, ha vissuto da
vicino la tragedia della Shoah: di origini ungheresi, suo padre morì ad
Auschwitz e lui sfuggì, in modo rocambolesco, alle persecuzioni razziali
negli anni ’40. Oggi ha novant’anni e mette la sua scienza al servizio della storia.
Davide Schiffer non smette di ricordare e lo fa con il rigore dello scienziato e la lucidità dello storico: sceglie il metodo narrativo per portare alla luce i residui di un conflitto inconciliabile, cioè il rapporto tra memoria e oblio così come ricorda Piero Bianucci in un recente articolo apparso sulla stampa del 13 gennaio, là dove sottolinea come la memoria sia innanzitutto una "funzione" del cervello e da lì, cioè dall’indagine neuroscientifica, sia possibile rileggere nuovamente la tragedia.
Anche se se ne parla in continuazione la Storia ha appena iniziato a scalfire i complessi e articolati sedimenti da studiare collegati al vergognoso evento della storia umana che è stata la Shoah. Ed è il metodo scientifico ad essere uno strumento irrinunciabile quando per motivi anagrafici i testimoni sono quasi tutti morti. Così Schiffer dà voce alla sua memoria spiegando cos’è l’oblio, una progressiva e insidiosa dimenticanza di tracce, simboli e testimonianze che rischia di cancellare la Storia.
A lui chiediamo di intervenire in questo dibattito aperto che oppone la testimonianza all’oblio.
Esiste un modo più corretto di tutelare il ricordo?
Io credo che oggi, in occasione della Giornata della Memoria, fornire stimoli per emozionare il pubblico non sia efficace, cioè non sia un servizio alla memoria. E’ lo studio della cause, la conoscenza, cioè la memoria culturale ad aprire prospettive possibili. Certamente, questo comporta di non usare il pathos di emozioni orrifiche, o di immagini luttuose, ma di attivare al massimo la dimensione cognitiva che forse è più faticosa; tuttavia è vero che troppo spesso il sensazionalismo rischia di minare questo percorso di recupero, di ricordo a lungo termine: la deriva è nel constatare che questo giorno possa diventare una convenzione, un’icona e ancor peggio, un obbligo.
Tra 5.000 anni della Shoah forse rimarranno soltanto le manifestazioni estreme, come una nebbia che lascia fuori solo le punte. Quella nebbia è oblio ed è difficile immaginare come opporsi, anche quando gli ultimi testimoni saranno diventati "personaggi" di una delle tante storie. E allora è necessario capire perché: è la fenomenologia dei fatti a blindare la testimonianza. Anche Primo Levi arrivò a questa conclusione quando disse che non avrebbe più scritto così la Storia, se avesse potuto. Ma avrebbe usato i fatti, le cause, i principi cioè la conoscenza e non l’emozione.
Eppure Eric Kandel, premio Nobel nel 2000 per la Medicina e la Fisiologia per i suoi studi sulla memoria, racconta
nel libro "Alla ricerca della memoria" come la scelta di dedicarsi a questo specifico studio fosse nata a Vienna, quando un notte del 1938, in piena campagna antisemita, bussarono alla porta un gruppo poliziotti nazisti e arrestarono la sua famiglia.
Alla luce della sua lettura, che sembra lasciare fuori il dolore per privilegiare il rigore scientifico, questa domanda può sembrare retorica: è vero il conforto della memoria?
Rispondo dicendo che certamente non passa dall’ideologizzazione. Io, personalmente, ho voluto fare un censimento delle mie esperienze prima di non riuscire più a spiegare i fatti, quando l’interpretazione, che pur è parte del ricordo, offusca completamente la testimonianza. Voglio dire che la memoria si trasforma, e certe volte si adatta. E allora il mio lavoro di scienziato e di storico si intrecciano il più possibile, cercando di spiegare come le basi biologiche possano consentirci, o meno, di tenere fede a quel monito che dopo l’Olocausto divenne un impegno di tutta una civiltà: non dimenticare mai.
(Davide Schiffer "Memoria e oblio", Golem edizioni, 2014)
Autore: Redazione FNOMCeO