Che fine fa il medico in questo periodo di ridimensionamento delle sue funzioni e della sua centralità nelle cure della persona? Quale sarà il suo ruolo nei nuovi modelli di salute che sono in gestazione in tutto l’Occidente? Quale rapporto tra professione, diritto e deontologia? Questi temi sono centro e sfondo del convegno "Nel ‘crepuscolo del dovere’ fra etica e giurisprudenza: una Deontologia forte per la rinascita della professione" che la FNOMCeO e l’Ordine provinciale di Parma propongono per venerdì 26 ottobre. Ne illustra i contenuti e gli obiettivi Pierantonio Muzzetto, presidente OMCeO della città emiliana.
Presidente Muzzetto, i medici di Parma e il comitato Centrale si incontrano a Parma sul tema del "crepuscolo del dovere". Come mai la situazione etica della professione medica è percepita in modo così
preoccupante?
È per Parma un’occasione prestigiosa e lo considero un privilegio. Per questo devo ringraziare il presidente Bianco ed il Comitato Centrale per l’opportunità offertaci. Mi lasci dire le motivazioni della scelta del titolo: in un momento storico in cui ci si sta orientando verso una “de-medicalizzazione” o un ridimensionamento forte del medico, considerato non più unico gestore della cura del paziente, per quanto discutibile l’asserto, si crede – e lo credo fermamente – che vi sia lo spazio per riportare i termini della questione medica nel giusto binario. Ciò che contraddistingue una professione “alta” è il senso etico che ne sta alla base del suo professare. In particolare quando il medico, che parla a un ammalato e ne prospetta le cure, si pone come soggetto forte verso un soggetto debole e porta il paziente a decidere senza che questa posizione di forza sia percepita, esprime una virtù professionale, un senso etico e fondante il rapporto fra medico e paziente.
Un simile vedere e un tale comportamento sono elementi che connotano una sorta di antitesi di quel crepuscolo del dovere presente in una professione sempre più avviluppata in problematiche giurisprudenziali. Questo, in relazione al continuo ricorso al contenzioso in medicina, in cui la capacità risarcitoria offusca il valore della cura e della buona cura e, per estensione del ragionamento, il rapporto fra medico e paziente. Il crepuscolo della professione è il risultato, pertanto, di due considerazioni : da un lato della visione sociale della medicina e della prestazione medica, mutuato dall’esigenza di avere prestazione e risultato in tempi brevi e assolutamente in modo completo, in risposta al paradigma “tutto e subito” privilegiando l’aspetto formale rispetto a quello umano. Dall’altro deriva dalla tendenza a limitare l’atto medico ad una prestazione tecnica che, in quanto tale, si confronta con la dinamica del contenzioso in crescita in presenza di un risultato anche solo ipoteticamente non raggiunto, per cui si fa strada la sfiducia, che si manifesta con la medicina della desistenza accanto a quella più nota difensiva. Queste, a loro volta, contrapposte alla visione virtuosa.
Per uscire dal crepuscolo serve dinamismo….
Essere in una dinamica professionale in cui ontologicamente il medico non sia in linea con il concetto di curare e di prendersi cura (I cure, I care), comporta una considerazione del tempo quale uno dei suoi grandi nemici, finalizzato al profitto e non certo quale esigente fattore a disposizione per il paziente. Perseguire dinamiche slegate dal paziente-persona, è poi come vivere una professione crepuscolare, con una professione che è breve come la luce del crepuscolo che anticipa ed è preludio della notte. E la notte, in una visione filosofica, è come taluna politica che pervicacemente continua a porre paletti che limitano la professione del medico, visto non certo in quella visione, per certo verso romantica, osleriana o letterariamente croniniana. Il crepuscolo del dovere fra etica e giurisprudenza sta proprio in questo.
Si parlerà di "deontologia forte" e di "rinascita della professione": come questi valori sono sentiti in una vita professionale medica sempre più al centro di ridimensionamenti politico-economici?
Lo snodo cruciale della professione è l’applicazione delle norme di comportamento deontologico, e, solamente mettendole in pratica, diventano la base fondante del vivere e non solo del praticare l’arte medica. Un’arte e non una semplice professione, perché deve saper coniugare scienza, coscienza, conoscenza , psicologia e empatia, elementi connotativi della professione non al crepuscolo. Sono, difatti, valori assoluti che pongono al centro della dinamica di cura proprio l’ammalato ed il medico che lo cura, in un rapporto che è sempre binomiale, quantunque si adottino scelte di politica sanitaria che lo sacrificano nel nome della funzionalità e del risparmio. In tutto ciò, c’è da chiedersi, quale sia il vero valore attribuito alla persona assistita, che non è cittadino o utente o cliente, bensì una persona debole e, in quanto ammalata, cerca sostegno e comprensione. Per quanto le più recenti Leggi abbiano un effetto limitante la professione, e c’è l’imbarazzo della scelta di quale citare per prima, il plurisecolare rapporto medico paziente non potrà e dovrà essere scalfito, nonostante si viva in momenti di grande ristrettezza economica e d’insicurezza sociale: non si può sacrificare la qualità delle cure. Parlando di etica e di risorse, ogni azione deve mirare a tenerne conto, ma sempre tendendo alla qualità delle cure. Questo è l’unico passaggio che supera la limitazione economica delle Leggi: la qualità a dispetto della quantità.
Nel convegno si parlerà anche di "delegittimazione sociale": ci vuole dire quali sono i segnali più forti di questa drammatica considerazione?
La medicina di oggi si muove tra singolarità e contingenze, tra qualità e risultati, in ambito di continua ricerca e di controllo delle certezze cliniche, cui si contrappongono le reali esigenze di salute dell’ammalato, ma anche le aspettative dei parenti e di coloro che gli stanno vicino. Aumenta in modo esponenziale il desiderio di risposte positive, in una situazione in cui s’incrociano nella filiera di cura molteplici figure professionali, che ambiscono a un ruolo primario e vanno a modificare le aspettative del malato e la stessa figura del medico, di fatto cercandone di limitarne la funzione, in un certo qual senso sminuendola; ne consegue un nuovo paradigma che assimila il nuovo, per certo verso inanimato, “sistema che cura” contrapposto al bioetico e tradizionale concetto di “alleanza terapeutica fra medico e paziente”. Situazioni che alla fine diventano elementi negativi che mirano piuttosto alla delegittimazione del medico, che a minare la credibilità del sistema. E i risultati si valuteranno non solo nell’immediato.
Parma non è una metropoli, ma una delle città del "miracolo italiano": centri di medie dimensioni dall’altissima qualità della vita e con un forte tessuto di operosità. Anche qui si percepisce l’indebolimento della professione nel suo rapporto con i cittadini?
Parma dei molti ponti, come sulla Senn – anche se qui il fiume francese è qui sostituito da un rigagnolo estivo o torrentello invernale – non è solo stereotipo di food valley, ma anche fucina di innovazione tecnologica e letteraria, laboratorio d’idee e di politica, per anni anche culla dello sport di squadra. Una città che sa ancor oggi coniugare la storia e l’arte con la ricerca, l’operosità con l’ingegno, collocata in una terra, quella emiliano romagnola, ove sono di casa esperimenti anche arditi in ambito sanitario, con percorsi che s’intersecano e si contrappongono alla professione medica, espressione di una concezione politica poco sensibile alle questioni d’opportunità e non certo meritoria. Al clima dolce e sognante da piccola Parigi, come vezzosamente la considerano i sui abitanti, si contrappongono ambiti lavorativi non sempre sereni: ma più che di un indebolimento del rapporto fra medico e paziente, individualmente solido, parlerei piuttosto di mancata sintonia con i gestori della politica sanitaria. La professione medica non è certo indebolita, solo ritengo che andranno rivisti alcuni aspetti e che si arrivi a non depauperare il nostro ospedale Maggiore e la nostra antichissima Università, ricoprendo quei posti di medici lasciati vacanti nelle strutture sanitarie, giustificati dalle restrizioni economiche e dal risparmio, di fatto funzionali ed utili per giustificare talune scelte professionali alternative. Ma anche rilanciando, in un sistema di collaborazioni e sinergie pubbliche e privata, il sistema sanitario dell’hinterland parmense, seguendo una scelta e una logica sociale; sinergie indispensabili e necessarie per rendere merito ad un sistema sempre di buon valore e di eccellenza in passato.
Avete già delle idee per un concreto percorso futuro?
Il primo passo è quello della riorganizzazione delle strutture e del lavoro in ambito sanitario, tenendo la “barra a dritta” sul rispetto dei ruoli e delle funzioni, necessario ancor più per la funzionalità delle cure e dell’assistenza qualificata. Anche perché è prioritario agire un sistema che sia funzionale al paziente tutelandolo, prima come persona e poi come paziente, in un insieme di competenze e pertinenze guidate, finalizzate e, come logica vuole, orientate. E storicamente, e per competenze, tale funzione di leadership è del medico. Visione, questa, che l’Ordine di Parma sostiene e persegue. Anche in questo senso non è azzardato pensare a Parma come sede di un laboratorio di idee in ambito sanitario.
Autore: Redazione FNOMCeO