La malattia esprime un bisogno. Curare è il tentativo di rispondere a questo bisogno, nel limite e nell’orizzonte delle forze dell’uomo, della sua scienza e delle sue strutture e organizzazioni. Il Natale aiuta – o costringe – tutti a ripensare con umiltà al senso complessivo del vivere, dello sperare, del soffrire e del curare. Anche nelle feste contemporanee, in cui luci, acquisti e superficialità varie aiutano il mondo a distogliere lo sguardo dal senso autentico di questa festa antica, i più attenti ricorderanno che nel Natale cristiano si celebra la venuta di un bimbo, simbolo dell’indifeso, in una terra che si rivelerà per lui inospitale. Una venuta destinata a mutare profondamente il senso stesso del “compatire”, del patire insieme, del “to care”. In quell’uomo sembrava che le sofferenze concentrassero le sofferenze di tutti, in una riunificazione misteriosa tra piaghe e guarigione, tra dolore e speranza.
Oggi il Natale arriva e ci trova alle prese con una crisi radicale. Si dice sia crisi di economie e di visioni internazionali, di produzione e di rapporti umani, di ideali e di umanesimo. E’ facile intervenire tagliando, contenendo, ristrutturando, costringendo più o meno equamente a risparmi e sacrifici. Ma in tutto questo che fine fa la persona, il suo soffrire, il suo compatire? La crisi di bond e spread come ricade su chi è malato e su chi attraversa la dolorosa prova della sofferenza personale? E coloro che sono professionalmente all’interno del percorso della cura: cosa gli è chiesto? Quale il percorso che devono compiere in un momento in cui si chiedono ulteriori sacrifici, quando poi questi non sembrano toccare centri autentici di potere finanziario e di generazione di non equità fiscali?
Forse può essere laicamente utile ricordare alcune parole spese da Benedetto XVI nella sua enciclica Spes Salvi – salutata anche dal mondo della cultura meno fideista come uno dei documenti più ricchi della cristianità contemporanea – quando affermava che “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la compassione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana”. Ecco: l’uscita dalla crisi non sarà mai positiva se sarà a costo di disumanità. Una società che non sa includere e proteggere chi soffre non saprà mai uscire dalle sue crisi.
Quel bambino indifeso nato a Betlemme e celebrato da tutti i più grandi artisti (abbiamo scelto quest’anno un’opera di Gentile da Fabriano: la Predella dell’Adorazione dei Magi della Galleria degli Uffizi, datata 1423) ci pare il miglior modo per suggerire l’augurio e l’auspicio che questi giorni natalizi siano carichi di memoria e di coscienza personale, a prescindere dalle convinzioni e dalle credenze, per rinnovare l’urgenza di una condivisione sempre più autentica e radicale dei veri temi che sostengono l’umano di ognuno e lo connettono all’umanità degli altri, vicini o meno, nella letizia come nella sofferenze. Crediamo di interpretare il sentimento di tutta la Federazione nazionale degli Ordini, nelle persone del suo presidente Amedeo Bianco, del coordinatore del comitato editoriale, Cosimo Nume, del presidente della Commissione Albo Odontoiatri, Giuseppe Renzo e del Direttore Generale, Marco Cavallo, nell’augurare a tutti i lettori fruitori del portale un felice Santo Natale e un anno nuovo ricco di serenità e di felicità. Soprattutto a chi soffre nella malattie e a chi questa malattie è chiamato a curare.
Autore: Redazione FNOMCeO