270000: sono le persone che, in Italia, necessitano di cure palliative. Di questi, 170000
(il dato, l’ultimo disponibile, è del 2013) sono pazienti oncologici.
Gli altri sono per la maggior parte anziani, con demenze o malattie
neurodegenerative. Ma, tra quei 270000, ci sono anche tanti bambini e
adolescenti: stime del ministero della Salute indicano che, in Italia,
circa 15.000 minori sono bisognosi di un approccio palliativo e 7.500 necessitano di cure palliative specialistiche.
In Italia, l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore è regolato dalla Legge 38
del 2010. Ma a che punto è la sua applicazione? E come garantire a un
sempre maggior numero di pazienti cure adeguate, integrando l’assistenza
ospedaliera con quella sul territorio? Ancora, come comunicare, con
precisione e delicatezza insieme, una diagnosi infausta?
A queste domande vuole rispondere la Fnomceo, riunita domani, sabato 11 giugno, a Portonovo (Ancona) nel III Convegno nazionale sulle cure palliative (“Le cure palliative nei loro aspetti: prospettive e potenzialità”), a cura dell’Ordine dei Medici di Ancona.
“Questo terzo appuntamento nazionale – spiega Fulvio Borromei, presidente dell’Omceo di Ancona, responsabile scientifico dell’evento e coordinatore del gruppo di lavoro Fnomceo sulle cure palliative – rappresenta
quel filo rosso che ci deve legare tutti per sostenere e diffondere la
cultura del ‘prendersi cura’, che passa anche attraverso un impegno
pluriprofessionale, dove l’etica, la prossimità verso la persona,
l’empatia costituiscono gli strumenti necessari per accogliere chi
soffre”.
E
saranno, proprio per questo, diversi i punti di vista professionali dai
quali l’argomento sarà affrontato: a portare le proprie esperienze
saranno, infatti, neurologi, palliativisti, medici di medicina generale,
pediatri, bioeticisti, infermieri, psicologi.
“Quando noi medici non possiamo guarire, abbiamo comunque il dovere di lenire il dolore e sollevare dalla sofferenza – conclude il Presidente della Fnomceo, Roberta Chersevani.- Lo dice il nostro Codice Deontologico, che, all’articolo 16, specifica come “Il controllo efficace del dolore si
configuri, in ogni condizione clinica, come trattamento appropriato e
proporzionato”. E, all’articolo 39, rafforza il concetto: “Il medico non
abbandona il malato con prognosi infausta o con definitiva
compromissione dello stato di coscienza ma continua ad assisterlo e se
in condizioni terminali impronta la propria opera alla sedazione del
dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, la dignità e
la qualità della vita”. Ma il nostro Codice dice anche un’altra cosa:
che il tempo della comunicazione è tempo di cura. Ed è proprio in queste
“zone di frontiera” tra il benessere e il dolore, tra la salute e la
malattia, tra la vita e la morte che il medico esercita appieno la sua
funzione di mediatore. E non dimentica che, oltre alle terapie, ai
farmaci, agli strumenti, una parola appropriata, un gesto di conforto,
contribuiscono a lenire il dolore”.
E anche Papa Francesco, nell’Udienza privata di ieri in Vaticano – durante la quale ha ricevuto i rappresentanti degli Ordini dei medici di Spagna e America Latina, alla presenza proprio del presidente Chersevani, oltre che del presidente Cao Giuseppe Renzo e del Responsabile Politiche Estere Nicolino D’Autilia – si è espresso sulla stessa lunghezza d’onda.
“L’identità e l’impegno del medico – ha esortato infatti il Papa – non
si misura solo sulla conoscenza ed esperienza, ma soprattutto con
l’atteggiamento compassionevole e misericordioso verso la persona che
soffre nel corpo e nello spirito. Solo con la dedizione e la
professionalità verso i malati, i medici possono diventare la vera
personificazione della Misericordia”.
Autore: Redazione FNOMCeO