La Professione Odontoiatrica è al centro del dibattito politico e mediatico. È di pochi giorni fa la richiesta di Audizione del presidente Cao, Giuseppe Renzo, di fronte alla Commissione Antimafia. Oggetto: il presunto riciclaggio di denaro sporco tramite investimenti della ‘ndrangheta nel mercato del franchising odontoiatrico, rilevato dall’ultimo Rapporto Italia dell’Eurispes. Fenomeno che sarebbe diffuso soprattutto al Nord. Ma come si è arrivati a questo punto? La Professione Odontoiatrica è emblema e vittima della crisi che investe il Paese. Una crisi economica, certamente, in un contesto nel quale cinque milioni di italiani non sono mai stati dal dentista, mentre cresce il rapporto tra odontoiatri e potenziali pazienti. Una crisi occupazionale, che investe i giovani professionisti. Una crisi dei sistemi formativi, per molti versi inadeguati a verificare le competenze acquisite. Una crisi dei sistemi sanitari, sempre più “malati” e frammentati, che privilegiano le soluzioni miopi dei tagli e dei risparmi rispetto alla definizione di norme e regole certe.
In queste “zone d’ombra”, in questi spazi vuoti, “che la politica non riesce o non vuole colmare”, si infiltra, occupandoli, la criminalità organizzata. La Cao non ci sta: e vuole far sentire la sua voce, con interventi netti e concreti. Quali? Ecco quanto il presidente degli Odontoiatri italiani, Giuseppe Renzo, ha detto al suo Ufficio Stampa.
Presidente Renzo, ormai la notizia è di dominio pubblico: il presunto riciclaggio di denaro sporco attraverso il mercato del franchising odontoiatrico. Quali saranno i prossimi passi della Cao nei confronti della Politica?
Non vogliamo generalizzare, né creare un allarme inutile: ma se la denuncia, diffusa e reiterata, lanciata dal Presidente dell’istituto di ricerca Eurispes trova riscontri, i prossimi passi non possono che essere rivolti in primo luogo verso un obiettivo: rendere sempre più consapevoli dei rischi i nostri Presidenti CAO – a cui spetta la vigilanza ed il controllo, non solo quello etico – deontologico – e i colleghi delle associazioni. E anche la politica deve fare la sua parte: l’incidenza del fenomeno è, a parere di molti, moltiplicata dalla mancanza di un’apposita norma di legge veramente dissuasiva, che possa contrastare l’esercizio abusivo e il prestanomismo in ambito medico e delle professioni intellettuali. La riforma dell’art. 348 – pochi giorni fa oggetto di audizione dell’ANDI davanti alla Commissione Giustizia della Camera – è urgente, non procrastinabile e non rinviabile. Per questo, in analogia a quanto fatto dal più numeroso sindacato di categoria, anche la CAO ha chiesto alla Presidente della Commissione, Donatella Ferranti, di essere audita. Le ultime "manovre", tendenti a fare rinviare l’approvazione da parte del secondo ramo del parlamento della Proposta di riforma “Marinello” (già passata all’unanimità al Senato lo scorso aprile), sono un modo per rimandare e, forse, affossare definitivamente un atto che – evidentemente solo a parole – vede tutte le componenti politiche e parlamentari d’accordo.
Allora, ci chiediamo: chi ha interesse a non rendere chiare le responsabilità e le regole in difesa della salute delle persone più deboli? I NAS hanno già meritoriamente alzato il livello dell’attenzione. Ma, in assenza di una normativa certa e dissuasiva, quanto sta avvenendo con la mercificazione dell’atto medico e la svendita del prodotto salute ha un forte rischio di sfociare in un vero e proprio “far west” sanitario.
E passiamo ad altro argomento, sempre di estrema attualità: l’esame di abilitazione. È una pura formalità, come da varie parti si sostiene oppure no? Qual è la vostra posizione a riguardo?
Abbiamo spesso dimostrato l’inutilità dell’attuale sistema di verifica del "prodotto finito" del processo di formazione, ovvero il professionista, da consegnare al Sistema Sanitario. Già negli anni 2000, in accordo con gli altri soggetti interessati – i Ministeri e l’Università – eravamo arrivati a un progetto di riforma condiviso degli esami di abilitazione. L’obiettivo era chiaro e univoco: garantire che i giovani professionisti fossero formati per assicurare cure di qualità.
Risultato: il tutto è stato frenato da una visione crudamente concorrenziale, secondo la quale la riforma era interpretata quale volontà della corporazione di sbarrare l’accesso ai giovani neo laureati, per conservare i privilegi acquisiti.
Bene, da allora migliaia di professionisti (sono oggi 60.000: un numero pletorico) si sono iscritti agli albi, senza che gli ordini disponessero di tutti gli strumenti per certificare consapevolmente la qualità della formazione e i requisiti dei professionisti. Lo studio Eures – Cao sulla Formazione, che recentemente abbiamo presentato, ha dimostrato che il sistema non è adeguato, non favorisce la meritocrazia. E a dirlo sono stati gli attori primari, gli studenti, i neolaureati, i docenti. Da lì si deve partire. Non vogliamo bloccare nessuno. Ma non possiamo tacere il destino dei nostri giovani: la disoccupazione, la sotto-occupazione, o il coinvolgimento in strutture di dubbia legalità. Quale Ente ausiliario dello Stato, l’Ordine ha il dovere, oltre che l’obbligo morale, di vigilare e garantire l’eliminazione di ogni “zona d’ombra”.
Autore: Redazione FNOMCeO