La proposta di legge di Fabiano Amati, finalizzata alla riduzione delle liste d’attesa in Sanità, affronta un punto di criticità del sistema sanitario che ha raggiunto livelli inaccettabili in molte regioni d’Italia. Tuttavia, la soluzione individuata, sostanzialmente imperniata sulla sospensione dell’attività libero professionale nel caso di disallineamento tra i tempi di erogazione delle prestazioni sanitarie istituzionali e quelle svolte in Alpi, non mi trova d’accordo per due ordini di motivi.
Primo perché l’attività intramoenia, così come introdotta dalla Legge 8 novembre 2012, n. 189, era stata pensata per garantire al cittadino la possibilità di scegliere il medico a cui rivolgersi per una prestazione. Bloccare l’Alpi significa quindi non solo impedire al medico di esercitare la libera professione – diritto tutelato dagli accordi nazionali di lavoro – ma impedire anche al cittadino di scegliere liberamente da quale medico farsi curare.
Secondo, perché sospendere l’intramoenia, che pesa solo per circa il 5% dei servizi, cancella forse uno degli aspetti più odiosi del malfunzionamento del sistema– la cui responsabilità attiene a coloro che hanno il compito di gestire e non ai medici che si prendono cura dei malati – ma non ne rimuove le cause e non risolve quindi il problema. Il mancato successo della proposta Gentile di abbattimento delle liste di attesa tramite il funzionamento H24 delle grandi macchine è anch’essa imputabile alla carenza di personale e di risorse finanziarie da allocare. Al momento, tra l’altro, risultano insufficienti rispetto al fabbisogno i tetti di spesa imposti ai convenzionati esterni, soprattutto per alcune branche sensibili come cardiologia, neurologia, oculistica e pneumologia.
Per le stesse ragioni, il riallineamento tra i tempi di attesa rischia di avvenire a discapito dell’offerta complessiva a disposizione dei cittadini: poiché le prestazioni intramoenia sono erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale, bloccando l’attività in Alpi non si velocizzerebbero le prestazioni in regime istituzionale, a meno di non assumere più personale. Di qui la richiesta, avanzata dal Coordinatore Nazionale del Tribunale dei Diritti del Malato Tonino Aceti, di assicurare con oneri a carico della finanza pubblica, secondo un modello che rispecchia in parte quanto annunciato dalla Regione Toscana per le prestazioni chirurgiche, le prestazioni in intramoenia ai cittadini, facendo pagare eventualmente soltanto il ticket nel caso in cui le attese superino i tempi preventivati. Si tratta di una proposta che può apparire provocatoria perché non sostenibile economicamente alle condizioni attuali, ma che condivido in quanto ribadisce il primato del pubblico rispetto al privato.
Discutiamo allora piuttosto del problema delle liste d’attesa considerandolo all’interno di un sistema complesso e multifattoriale come il servizio sanitario. Partiamo prima di tutto dal prendere in considerazione cosa, a parte la notoria carenza di personale, causa le liste di attesa: le malattie croniche pesano sul 40% della popolazione, vale a dire 1,6 milioni di persone in Puglia (siamo al 2° posto dopo la Sardegna), ma assorbono circa l’80% della spesa sanitaria.
Per avere un’idea dei numeri, se consideriamo che gli ipertesi rappresentano il 30% della popolazione e per il 70% di loro, che non sono complessi, effettuassimo il controllo cardiologico sul territorio avremmo 700mila accessi in meno nelle strutture ospedaliere per i soli pazienti ipertesi!
Il problema delle liste di attesa si può allora risolvere trasferendo sulla medicina territoriale la gestione della cronicità, con una soluzione già ben delineata dalla Regione Puglia con il modello Puglia Care.
La cronicità è lo snodo centrale che permetterebbe di risolvere non solo le liste di attesa ma anche una serie di problematiche che affliggono il sistema. Un modello assistenziale basato sulla presa in carico del paziente cronico nell’ambito delle cure primarie, secondo il Chronic Care Model e una cooperazione tra distretti e medicina generale e tra aziende ospedaliere e MMG, permetterebbe di avere anche i medici di guardia e del 118 in un’unica struttura, i CPT – Centri Polifunzionali Territoriali, a copertura delle urgenze. Consentirebbe inoltre continuità nell’azione di cura delle malattie croniche attraverso la programmazione del percorso e la presa in carico “proattiva”, nonché il superamento della frammentarietà dell’azione di cura, con ricadute positive sull’appropriatezza, sulla sicurezza, sulla prevenzione e quindi sui costi complessivi.
Spostiamo allora, come già accade in altri paesi UE, alcune prestazioni di 1° livello sul territorio, in ambito ambulatoriale. Gli accordi regionali fatti in Puglia forniscono già il quadro normativo e contrattuale per muoversi in questa direzione.
Basta solo applicare il nuovo modello organizzativo pugliese.
Filippo Anelli,
Presidente Ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Bari
Autore: Redazione