Bari, 14 aprile 2020. Sotto Pasqua il Governatore Emiliano ha annunciato una rivoluzione copernicana per la Sanità Pugliese, proponendo di recuperare 200 milioni spesi ogni anno in mobilità sanitaria verso le regioni del nord attraverso un rilancio del SSR che punti a convincere i gruppi sanitari privati a investire in Puglia. Un argomento che apre il dibattito sul nostro servizio sanitario in un momento particolarmente difficile per il nostro Paese.
Un dibattito che, partendo dalle considerazioni del Presidente Emiliano, porti a ragionare su quale potrebbe essere il modello di Sanità che vogliamo. Un confronto che raccolga punti di vista anche differenti e che però abbia come obiettivo la definizione di un modello adeguato alla nostra comunità.
Condividiamo con Emiliano l’idea che il nostro sistema sanitario abbia sofferto di una drammatica carenza di fondi negli ultimi anni: a parità di popolazione, rispetto all’Emilia Romagna abbiamo circa 20mila addetti, 1000 posti letto e 1 miliardo di investimenti in meno. Un realtà che abbiamo evidenziato sino alla noia, senza una efficace risposta dal mondo politico.
Tuttavia, siamo convinti che il discorso del Presidente parta da un approccio concettuale poco proficuo per la Puglia e per la nostra tenuta come Paese. Implicitamente, la nostra regione dovrebbe avvantaggiarsi della momentanea difficoltà dei sistemi sanitari settentrionali per rafforzare il proprio SSR attirando investimenti del privato sanitario ed eliminando i viaggi della speranza verso le strutture del Nord. Ma un approccio utilitaristico e di competizione tra le Regioni è proprio ciò che ha danneggiato il servizio sanitario nazionale negli ultimi anni, portando a squilibri tra le diverse aree d’Italia che hanno inciso sugli indici di salute della popolazione.
Bisogna, invece, puntare al superamento delle diseguaglianze, attraverso il rispetto dei principi di equità e di uguaglianza che soddisfi efficacemente i bisogni di salute in pari misura a Bari come a Bolzano. E non possiamo farlo a danno di qualcuno, come se sottrarre risorse alla Lombardia servisse in sé ad aiutare i pugliesi a stare meglio. Un sistema equo e solidale deve puntare invece a portare la Calabria – la Regione che al momento registra gli indicatori sanitari più bassi a livello nazionale – e tutte le regioni meridionali ai migliori standard nazionali.
Per farlo, occorre un intervento eccezionale dello Stato, un Piano Marshall per la Sanità pubblica, essendoci le condizioni per proporlo. E sottolineo due concetti chiave che devono guidare questo intervento: nazionale e pubblico. L’epidemia da Covid-19 ha messo infatti impietosamente in luce le debolezze strutturali e organizzative del nostro sistema organizzato su base regionale, proprio in quelle aree che dovevano rappresentarne la punta di diamante.
È emersa una scarsa capacità di programmazione, pur di fronte a esperienze di paesi come Cina e Corea del Sud che potevano facilitare il nostro compito. È emersa l’impossibilità da parte dello Stato di governare un sistema sanitario frammentato in 21 sistemi sanitari regionali e l’incapacità di individuare e implementare un efficace approccio unitario, in termini di protocolli operativi e terapeutici. È emersa, infine, la carenza di un centro unico di governance come ad esempio nella raccolta di dati e informazioni che selezionasse le sperimentazioni più efficaci e standardizzasse velocemente la risposta in tutto il territorio, in modo coerente in tutto il Paese.
In tale contesto, attrarre investitori privati in Puglia non risolverà i problemi di un SSR che negli ultimi anni è stato depauperato di risorse finanziarie, ma anche di risorse umane e di competenze. Non servono cattedrali della Sanità privata calate dall’alto. Serve invece un approccio sistemico, con una rete di strutture, di medici e di Università, la selezione di competenze eccellenti, capaci di dare risposta ai bisogni di salute dei cittadini. Serve quindi investire nella Sanità pubblica partendo dalla rete territoriale che rappresenta il momento dove il bisogno di salute incontra il sistema salute perché dia le risposte. L’esempio della Lombardia di fronte al Coronavirus dovrebbe essere d’insegnamento: un SSR che ha potenziato le strutture private e ha trascurato il territorio è stato travolto dall’epidemia.
La pandemia ha messo infatti in evidenza l’importanza della medicina del territorio, un settore che, anche quando il Covid-19 sarà sconfitto, continuerà a giocare un ruolo fondamentale nel fronteggiare tra l’altro le malattie croniche, vera sfida per i sistemi sanitari occidentali in futuro. Anche su questo fronte, potrà aiutare poco il privato, tradizionalmente poco interessato alla medicina del territorio, relegata al privato sociale o alla rete dei medici di medicina generale.
Un’ultima parola rispetto a questo sistema sanitario pubblico, equo, egualitario e solidale, che immagino: la governance non può essere lasciata nelle mani della politica o di manager scelti dalla politica. È ora che il governo del sistema torni nelle mani dei professionisti, di chi ha come priorità non il pareggio di bilancio ma i bisogni di salute dei cittadini. Professionisti della salute che debbono rendere conto del proprio operato alle comunità locali di riferimento, attraverso meccanismi ispirati alle Legge 833, attuativa di un sistema sanitario universale, egualitario e solidale.
Autore: Redazione