A poche settimane dal barbaro omicidio di Barbara Capovani, ancora non si riesce ad accettare quanto accaduto poiché si fa sempre più spazio il pensiero che tale tragedia potesse essere in un qualche modo evitata.
Da più parti si invocano revisioni radicali delle disposizioni in proposito attualmente vigenti (la legge 180 risale al 1978), provvedimenti straordinari specifici per siffatte circostanze (il Ministro della Salute ha istituito un tavolo tecnico in proposito per potenziare i percorsi di prevenzione ed assistenza in ambito psichiatrico), si invocano persino leggi speciali; in verità forse solo la prima proposizione si rivela la più adeguata in quanto, da una rassegna di quanto attualmente in vigore, ci accorgiamo che gli strumenti per contrastare tali gravi episodi esistono già, basta applicarli.
Innanzitutto una presa in carico più appropriata, strutturata o territoriale, di simili disturbi mentali è assolutamente indispensabile dato che spesso manca la consapevolezza di malattia, fatto questo che purtroppo rafforza la pericolosità di certi ammalati, A questo proposito, esiste la delibera della regione Toscana n° 1127/2014 denominata ”Strutture residenziali psichiatriche e l’abitare supportato” per cui sono stati stanziati oltre 230 mila euro del bilancio 2014, che traccia linee generali di intervento circa dette strutture lasciando ampia discrezionalità di realizzazione alle varie AASSLL.
Nel 2007 il Ministero della Salute ha emanato la Raccomandazione n° 8 “Raccomandazione per prevenire gli atti di violenza a danno degli operatori sanitari” contenente tutta una serie di misure tese a ”incoraggiare l’analisi dei luoghi di lavoro e dei rischi correlati e favorire l’adozione di iniziative e programmi volti a prevenire gli atti di violenza e/o ad attenuarne le conseguenze negative”; segue tutta una serie particolareggiata di provvedimenti, a volte anche banali, da attuare da parte delle aziende, con la specifica dicitura ”A tal fine le strutture sanitarie devono mettere in atto un programma di prevenzione delle violenze…” mediante la costituzione di uno specifico gruppo di lavoro.
Il D.lgs. 81/2008 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro) riporta chiaramente che il datore di lavoro ha l’obbligo giuridico di valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi ove operano e ovviamente di mettere in atto tutte le misure possibili di prevenzione compreso il rischio di infortunio (nella fattispecie da aggressione e correlato disturbo post traumatico da stress).
La recente legge n° 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) all’art. 7 rubricato “misure preventive” stabilisce che” al fine di prevenire episodi di aggressione o violenza, le strutture presso le quali opera il personale di cui all’art. 1 della presente legge prevedono, nei propri piani per la sicurezza, misure volte a stipulare specifici protocolli operativi con le forze di polizia per garantire il loro tempestivo intervento”, ma la circostanza più importante della legge è rappresentata dalla ratificazione della procedibilità d’ufficio nei confronti dei delitti di aggressione a personale sanitario e sociosanitario, delitti che un recente aggiornamento classifica come lesioni gravi.
La sentenza 14566/2017 della Corte di Cassazione riporta quanto segue:” l’azienda risponde di non aver attuato tutte le misure che la legge o la pratica richiedono per prevenire il danno a carico dei propri dipendenti anche in caso di aggressioni o violenze”.
La legge 81/2014 istituisce le REMS in sostituzione degli ospedali psichiatrici giudiziari che tuttavia in Toscana sono due e per di più deputati ad accogliere anche i pazienti provenienti dall’Umbria e quindi largamente insufficienti alle odierne necessità reali. A tale proposito la regione intende aumentare i posti letto da 39 a 60 nel giro di qualche anno, ma gli attuali sono insufficienti a fronte di una lista d’attesa che tutt’oggi si attesta su 70 persone e senz’altro non si risolve il problema assistenziale se non si affronta con decisione il problema della residenzialità protetta assieme a quello primario della carenza di personale sanitario e sociosanitario.
Per far sì che la Collega Capovani non sia scomparsa inutilmente è necessario muoversi su più fronti oltre a quanto sopra detto: diffondere la politica della “tolleranza zero” verso gli episodi di violenza, sensibilizzare il personale a segnalare prontamente le aggressioni di qualsiasi tipo, formare gli operatori per gestire le situazioni a rischio, mettere a disposizione dispositivi di allarme individuali, organizzare corsi di autodifesa, snellire le procedure burocratico-amministrativo-giudiziarie, adottare le normative ed i dispositivi di legge vigenti, promuovere un cambiamento culturale che individui in termini reali la malattia mentale smettendola una buona volta di derubricarla a semplice disagio sociale o addirittura a negarne l’esistenza, assumere personale sanitario e socio-sanitario in numero adeguato alle reali esigenze, adottare le necessarie misure di sicurezza (idonea illuminazione, telecamere di sorveglianza, personale di vigilanza, identificazione dei visitatori e quant’altro), affrontare in modo deciso il problema dell’accoglienza e del follow-up dei pazienti sul territorio.
Perseguire l’obbiettivo di migliorare l’assistenza psichiatrica e allo stesso tempo proteggere i sanitari sarà un bel modo di onorare la memoria di Barbara Capovani e certamente costituirà motivo di conforto per i familiari al di là delle espressioni di cordoglio.
Umberto Quiriconi,
Presidente OMCeO Lucca
Autore: Redazione