Il dossier
Ogni anno circa 1.500 piemontesi si ammalano di tumore a causa del lavoro che hanno svolto durante la propria vita. Questa correlazione spesso non viene individuata in via ufficiale, con gravi conseguenze sia dal punto di vista della prevenzione che del riconoscimento e risarcimento dei danni: si stima che, complessivamente, appena il 10% dei tumori attribuibili a fattori di rischio occupazionali venga effettivamente riconosciuto. È il caso, in particolare, dei tumori al polmone o alla vescica, patologie per cui annualmente in Piemonte ci sono 600 nuove diagnosi che sarebbero riconducibili all’occupazione lavorativa.
Sono le conclusioni a cui è giunto il Dossier sui tumori occupazionali “a bassa frazione attribuibile” realizzato dalla Commissione Salute e Sicurezza Ambienti di lavoro e di vita dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Torino, che è stato presentato questa mattina nel corso di una conferenza stampa organizzata nella sede dell’Ordine, a Villa Raby. Alla presentazione hanno partecipato il presidente dell’Ordine Guido Giustetto e diversi medici componenti della commissione: il coordinatore Andrea Dotti, il referente Riccardo Falcetta, medico del lavoro presso la Città della Salute di Torino, Angelo D’Errico del Servizio sovrazonale di Epidemiologia dell’Asl To3, Enrico Bergamaschi, professore ordinario di Medicina del Lavoro all’Università di Torino.
L’obiettivo del dossier è di fare luce su quelle tipologie di tumore la cui origine lavorativa non è prevalente dal punto di vista statistico ma ha comunque un peso non trascurabile. Nel complesso, secondo gli studi più recenti, il 4-5% di tutti i tumori maligni è attribuibile ai fattori occupazionali (sostanzialmente, all’esposizione a sostanze o agenti chimici/fisici cancerogeni) ma ci sono differenze estremamente rilevanti a seconda dei casi. Ad esempio, il mesotelioma pleurico è dovuto all’esposizione occupazionale a fibre di amianto per oltre l’80% negli uomini e per circa il 50% nelle donne, oppure i carcinomi del naso e dei seni paranasali, dovuti all’esposizione a polveri di legno o cuoio e a composti del nichel, sono correlati all’occupazione in quasi il 50% dei casi negli uomini e in circa il 20% nelle donne. In queste circostanze si parla di tumori “ad alta frazione attribuibile” ad esposizione lavorativa: sono fenomeni noti, ampiamente studiati e riconosciuti anche dalle notifiche di legge presso l’Inail.
Esistono però una serie di tumori “a bassa frazione attribuibile” (oggetto del documento predisposto dall’Ordine), in cui i fattori di rischio occupazionali oscillano fra l’1% e il 20% del totale. Si tratta comunque di una quota non indifferente, ma il cui legame con l’attività lavorativa è spesso trascurato e sottostimato, proprio per il basso impatto in termini percentuali. Questo avviene soprattutto per i tumori al polmone e per i tumori alla vescica, che presentano le più alte proporzioni in questa categoria e, in misura minore, per leucemie e linfomi non-Hodgkin.
I numeri
Il tumore è oggi la seconda causa di morte in Italia, dopo le malattie cardiovascolari. Nel nostro paese vengono effettuate circa 370.000 nuove diagnosi l’anno (dato del 2018), 18.000 delle quali sono attribuibili a fattori occupazionali.
Il tumore al polmone fra gli uomini ha il più alto tasso di mortalità ed è al secondo posto per incidenza dopo il tumore alla prostata, mentre fra le donne ha il secondo tasso di mortalità dopo il tumore alla mammella ed è terzo per incidenza dopo mammella e colon-retto. Nel 2018 (stime dell’Associazione italiana registri tumori) ci sono stati 27.900 nuovi casi fra gli uomini e 13.600 fra le donne. I decessi annui – il dato è del 2015 – sono 24.305 fra gli uomini e 9.531 fra le donne. Restringendo l’analisi al Piemonte, il numero di nuovi casi è di 3.450 (2.200 tra gli uomini e 1.250 tra le donne), con 2.818 decessi (2.051 uomini e 767 donne).
Gli studi specifici effettuati negli ultimi anni indicano come i tumori al polmone siano attribuibili a cause occupazionali per circa il 20% del totale negli uomini e il 5% nelle donne. Sempre focalizzando l’attenzione sul Piemonte, i nuovi casi di tumore occupazionale al polmone in un anno sarebbero dunque 502 (440 uomini e 62 donne), con un numero di decessi pari a 448 (410 uomini e 38 donne).
Secondo l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (Airc), sono molteplici gli agenti lavorativi per i quali c’è associazioni causale certa con il tumore al polmone: ad esempio metalli usati nelle lavorazioni industriali (arsenico, nichel, berillio, cadmio, cromo esavalente), fumi di saldatura, emissioni diesel, fuliggine, benzo(a)pirene, radiazioni ionizzanti.
Il tumore alla vescica fra gli uomini è il quinto peggiore per tasso di mortalità ed è al quarto posto per incidenza, mentre fra le donne sia incidenza che mortalità sono decisamente inferiori. Nel 2018 (sempre per le stime dell’Associazione italiana registri tumori) ci sono stati 21.500 nuovi casi fra gli uomini e 5.600 fra le donne. I decessi sono stati 4.429 fra gli uomini e 1.212 fra le donne. In Piemonte, il numero di nuovi casi è di 2.300 (1.850 tra gli uomini e 450 tra le donne), con 756 decessi (551 uomini e 205 donne).
In questo caso la quota di tumori attribuibili a case occupazionali è più bassa, sebbene per gli uomini sia comunque il 5%, mentre per le donne è quasi irrilevante (0,5%). Seguendo questo calcolo, in Piemonte, i nuovi casi di tumore occupazionale alla vescica sarebbero dunque 94 (92 uomini e 2 donne), i decessi complessivamente 19.
Per l’Airc i principali agenti cancerogeni associati al tumore alla vescica sono le ammine aromatiche, sostanze chimiche usate nell’industria dei coloranti, chimica, della gomma, del tessile, e, anche qui, benzo(a)pirene e radiazioni ionizzanti.
C’è infine anche una correlazione certa fra esposizione ad agenti chimici e fisici (ad esempio benzene, formaldeide, 1,3-butadiene) usati nell’industria e leucemie e linfomi non-Hodgkin, ma l’incidenza più ridotta e una frazione attribuibile all’occupazione lavorativa che non supera l’1% rendono molto difficile quantificare il fenomeno.
Il problema dell’identificazione
Secondo i dati dell’Inail, tuttavia, appena il 5-10% dei tumori al polmone e il 10-15% di quelli alla vescica attribuibili a fattori occupazionali vengono effettivamente riconosciuti e segnalati. Questo problema è causato da due aspetti:
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il lungo periodo di latenza fra esposizione e insorgenza (anche 20-30 anni) che rende difficile identificare la correlazione. Spesso, infatti, i nuovi casi di tumore sono causati da lavorazioni che oggi si effettuano in modo differente oppure non si effettuano più, almeno nel nostro territorio;
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raramente per i tumori a bassa frazione attribuibile viene valutata una possibile origine professionale. Ne consegue una forte sottonotifica di questi tumori agli organi di vigilanza e all’Inail.
La mancata identificazione della correlazione fra tumore e occupazione lavorativa crea un problema per quanto riguarda la prevenzione delle possibili cause che determinano l’insorgenza e quindi l’adozione delle misure necessarie a ridurre i rischi, nel caso in cui si tratti di realtà lavorative ancora in attività. Ma c’è soprattutto una problematica legale, perché in assenza del riconoscimento diventa ovviamente impossibile procedere all’indennizzo Inail e alla richiesta di un eventuale risarcimento del danno da parte del lavoratore.
Che cosa fare: le proposte dell’Ordine dei Medici di Torino
L’Ordine dei Medici mette dunque a disposizione le proprie competenze per collaborare con tutte le istituzioni nell’adozione di strumenti idonei a migliorare il meccanismo di riconoscimento delle correlazioni fra lavoro e tumori.
Nello specifico:
– iniziative di formazione e aggiornamento rivolte ai medici di medicina generale e ai medici ospedalieri, organizzate insieme alla Regione e alle aziende sanitarie e in collaborazione con le Società scientifiche di riferimento;
– messa a punto di un sistema di valutazione della storia lavorativa dei pazienti affetti da tumore all’interno di ogni azienda sanitaria;
– semplificazione delle procedure volte all’approfondimento dei casi di tumore di sospetta origine professionale.
Sono inoltre necessarie misure per aumentare le risorse destinate ai servizi di Medicina del Lavoro e agli Spresal, per la costruzione di un sistema di ricerca attiva dei tumori professionali a bassa frazione attribuibile e in generale delle malattie professionali, come previsto dai Lea.
Infine, occorre che venga creato un registro nazionale dei tumori di origine professionale, come previsto fin dal decreto 81 del 2008, e che venga rapidamente applicata la legge 29 del 22 marzo 2019, che prevede l’istituzione di una Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza dei sistemi sanitari regionali.
Autore: Redazione