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OPG: la proroga infinita del diritto alla cura

 Una volta si chiamavano manicomi criminali, poco prima della legge Basaglia diventarono Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) mentre oggi dovremmo chiamarli Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure disicurezza). Questa volta non si tratta soltanto di cambiarne il nome. La Legge n. 9/2012 stabilisce infatti che gli OPG debbano essere chiusi (la data ultima era il 31 marzo 2015) e che a sostituirli siano strutture a completa gestione sanitaria: non più carceri ma luoghi di cura. Cinque su sei le strutture ancora operative – ad Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), Montelupo Fiorentino, Napoli e Reggio Emilia – e oltre un centinaio, a oggi, le istanze presentate ai tribunali di competenza per detenzione illegittima.

Per capire che cosa sia successo bisogna ripercorrere la storia lenta, e per certi versi distorta, di una legge travagliata quanto il suo mancato risvolto applicativo.

Tutto formalmente ha avuto inizio con il Decreto Legge 211/2011 (vedi) perridurre il sovraffollamento carcerario. Tra le misure previste anche il superamento degli OPG, la cui chiusura era prevista entro il 1° febbraio 2013. Il decreto è poi diventato legge e la legge è entrata in vigore il 21 febbraio 2012 (vedi): nota come “svuota-carceri”, è stata fin dall’inizio accompagnata da un’opinione pubblica spaventata, e da un dibattito che raramente ha approfondito il legame tra detenzione, sicurezza, diritti della persona, e distinto da tutto il resto il caso della malattia mentale e del diritto alla cura.

L’articolo della legge che interessa gli OPG stabiliva il passaggio alle nuove strutture sanitarie (i Rems) “a decorrere dal 31 marzo 2013”, nonché la presa in carico, laddove le misure di sicurezza lo consentissero, da parte dei Dipartimenti di salute mentale.

Vale la pena ricordare che nelle osservazioni del Consiglio Nazionale Forense (CNF) (vedi),si ribadiva il compito delle Regioni “ad assumere personale qualificato da dedicare al percorso terapeutico, riabilitativo e di reinserimento sociale deipazienti”. Tutti provvedimenti con prevista copertura finanziaria che includono l’erogazione di livelli essenziali di assistenza (nucleo incomprimibile del diritto alla cura costituzionalmente garantito).

Ma la lentezza nel recepimento della nuova normativa da parte delle Regioni, parallelo a due decreti di proroga (D.L. 27/2013 e52/2014), ha portato a uno slittamento dell’ultimatum di altri due anni.

Alla vigilia della nuova data di scadenza (31 marzo 2015) la chiusura definitiva era ancora, nonostante alcuni passi avanti, un’“impresa impossibile”, per altro prevedibile considerando la pregressa storia normativa in materia (leggi). 

Ed è a questo punto, a sei mesi dalla scadenza nonrispettata, che interviene L’altro diritto, centro di documentazione sucarcere, devianza e marginalità fondato nel 1996 presso il Dipartimento diTeoria e storia del diritto dell’Università di Firenze (http://www.altrodiritto.unifi.it)e presieduto da Emilio Santoro, ordinario di Filosofia del diritto dell’ateneo.

Il centro, oggi associazione onlus, trova il suofondamento, teorico e pragmatico, nell’analisi della frattura tra il dettato normativo e la sua effettiva applicazione.

Il caso degli OPG, da questo punto di vista, è fin troppo emblematico. Con un’aggravante: la protrazione della permanenza in OPG rappresenta una violazione dell’art. 13 della Costituzione. Per questo motivo al rilevamento dell’irregolarità, L’altro diritto ha fatto seguire un’azione concreta: oltre ad aver istituito uno sportello virtuale (vedi), sta aiutando gli internati e i loro tutori a compilare le istanze per denunciarel’illegittimità della permanenza in OPG. Che ora corrisponde a sequestro di persona.

Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza di Bologna e Reggio Emilia, ha definito l’iniziativa “lodevole”,sottolineando come la questione non sia di natura organizzativa ma di tutela del diritto alla salute (vedi). Osservazione che fa pensare a quella sollevata, a suo tempo, dai Senatori che nei sei OPG italiani fecero sopralluoghi a sorpresa, definendoli “più carceri che ospedali”.

O forse peggio. Ciò che le parole (quando non tacciono) possono lasciar intuire, nelle immagini viene fuori nero su bianco: come nel reportage del fotografo napoletano che, tra il 2008 e il 2014, è riuscito a entrare in ciascuno dei sei OPG, a documentare lo stato di sporcizia,squallore e abbandono di quei luoghi e a esporlo (vedi). Il lavoro di documentazione è iniziato in ampio anticipo sui tempi previsti per la chiusura, ma evidentemente i luoghi che la coscienza collettiva vuole rimuovere sono gli ultimi a sparire veramente.    

S. B

Autore: Redazione FNOMCeO

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