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Padova, il 14 dicembre convegno nazionale sulla relazione tra consenso informato e tutela della salute

Il progresso scientifico e tecnologico che ha permesso alla medicina di avere una sempre maggiore capacità d’intervento (basti pensare alle macchine vicarianti nei reparti di terapia intensiva, alle macchine per la dialisi, alle tecniche per la riproduzione assistita, ai trapianti di organo, ecc.) ha posto al vaglio della bioetica e della deontologia medica numerose problematiche ancora al centro di approfondimento e dibattito tra gli addetti ai lavori.

In questo contesto si inserisce l’importante convegno nazionale dal titolo “Consenso al trattamento medico e tutela della salute: una relazione complessa” in programma a Padova il prossimo 14 dicembre (Auditorium Pollini) per iniziativa dell’Ordine degli Avvocati in collaborazione con l’OMCeO di Padova e la locale Università.

Un evento che vedrà la partecipazione di relatori, medici e giuristi, di chiara fama provenienti da diversi Atenei italiani. Tra questi il Rettore dell’ Ateneo di Padova, G. Zaccaria, il Direttore del Dipartimento di Diritto Comparato della stressa Università R. Pescara, l’avv. L. Locatelli, Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Padova, il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Guido Alpa. Ed ancora, R. Pucella, Professore di Diritto Privato all’Università di Bergamo, i Consiglieri di Cassazione G. Travaglino e R. Blaiotta, F.M. Avato, Ordinario di Medicina Legale di Ferrara, C. Scognamiglio, Ordinario di Diritto Privato dell’Università di Roma Tor Vergata, S. Riondato, docente di Diritto Penale dell’Ateneo di Padova , C. Apostoli, giudice a Milano.

In rappresentanza della FNOMCeO prenderà parte ai lavori il Vicepresidente Maurizio Benato con una relazione sul tema “Consenso informato : una svolta nell’etica medica”, al quale abbiamo rivolto alcune domande per introdurre l’argomento di dibattito.

Dottor Benato, qual è la relazione esistente tra consenso informato e il nuovo rapporto medico paziente, nato dopo il definitivo tramonto del modello ippocratico tradizionale?
Il rapporto che si instaura tra il medico e il proprio paziente è sempre stato caratterizzato da specifici doveri e diritti morali e giuridici. Esso si presenta come un rapporto asimmetrico in cui la parte più vulnerabile è costituita dal paziente, soggetto che è dipendente dalla competenza e dal potere del medico. Un rapporto caratterizzato, fin dal giuramento di Ippocrate, da un’etica medica paternalistica sostenuta da una concezione etica che prescriveva di agire, o di omettere di agire, per il bene di una persona senza che fosse necessario chiedere il suo assenso.
Una prospettiva, questa, che impegnava il medico a ripristinare una oggettiva condizione di salute, indipendente dalle preferenze del paziente che era considerato non solo privo delle necessarie conoscenze tecniche, ma anche incapace di decidere moralmente.
Oggi il più alto livello economico e culturale raggiunto dalla nostra società, ha portato il cittadino-paziente ad avere più conoscenze mediche rispetto al passato e a rivendicare una autonomia decisionale frutto di una maggiore consapevolezza del proprio diritto alla salute.
All’autonomia del medico si contrappone quindi l’autonomia del paziente, quale persona che si rivolge ad un professionista non solo per chiedere un aiuto e un parere illuminato, ma per utilizzare il suo sapere e le sue competenze al fine di giungere ad una scelta non più di dipendenza.

Il paternalismo medico oltre a rappresentare un modello etico di comportamento non più adeguato, andava a ledere il diritto individuale all’autodeterminazione ?
Certamente , ed è per questo che si è provveduto a sostituirlo con un modello di relazione che ha posto al centro il principio etico del rispetto dell’autonomia del paziente: il modello etico contrattuale.
In tal modo la relazione medico–paziente si presenta come una relazione simmetrica i cui contraenti, autonomi, uguali e aventi il medesimo potere di negoziazione, sottoscrivono liberamente un patto.
Si comprende allora l’introduzione, nella prassi medica, della pratica del consenso informato, vale a dire l’assenso che viene richiesto ai singoli pazienti dal personale sanitario prima di sottoporli ad accertamenti diagnostici, ad atti terapeutici o prima di coinvolgerli in una sperimentazione.
Da questa prospettiva, diventano rilevanti il dovere del medico di informare il paziente e di ottenere il suo consenso e il diritto del paziente di decidere a quale trattamento sanitario sottoporsi o non sottoporsi affatto. Tuttavia anche questo modello, se vogliamo, mostra dei limiti .

Può dirci brevemente quali sono questi limiti?
Se si afferma che il valore di riferimento è la persona umana e se si accetta che al centro ci siano i suoi diritti alla salute e alla cura della malattia, resta ancora da determinare "che cosa" è o "chi è" la persona umana. L’affermazione non è priva di senso pratico perché il concetto di persona non è una duplicazione retorica di uomo.
Basti pensare al progresso della medicina e di tutte le tecnologie biomediche che prendono in considerazione stati di vita umana che in passato non si conoscevano in maniera approfondita come oggi (il concepito) o erano eccezionali e transitori (distinzione tra piena capacità giuridica e graduabile capacità di agire, stato vegetativo permanente).
 Non solo. I mutamenti di costume della società inducono a considerare alcune pratiche una volta considerate criminali come pratiche legalmente consentite (aborto, cambio di sesso). Infine non possiamo dimenticare che la barriera ontologica tra uomo e altri enti senzienti non appare più così solida e si affaccia l’idea più di una continuità nella diversità che non di una vera e propria differenza di status (uomo e vita animale).
Ecco allora che la domanda che può sembrare sorprendente, in realtà non lo è, e pone accanto al problema dell’inizio e della fine della vita della persona umana, anche quello della possibile scissione tra vita umana e vita personale.

La necessità di una informazione appropriata al paziente quali conseguenze ha avuto sul piano deontologico?
A ogni tappa scandita dal progredire della riflessione in ambito medico ordinistico troviamo l’eco del cambiamento che avveniva nella società e a cui la bioetica dava voce.
Alle questioni sollevate dall’interrogativo a chi deve essere data l’opportuna informazione e relativamente al consenso ai trattamenti il Codice deontologico del 1978 prevedeva che fosse data restrittivamente solo per atti medici che comportino un rischio.
L’orientamento non sembra cambiare nella revisione del Codice datata 1989 e l’’informazione al paziente in quella stesura del codice è ancora un optional e la famiglia è considerata l’interlocutore privilegiato del medico: “Il medico può valutare opportunità di tenere nascosta al malato e di attenuare una prognosi grave e infausta, la quale dovrà essere comunque comunicata ai congiunti” (art. 39). L’unica vera novità – se vogliamo – è la sostituzione della famiglia con i “congiunti” specchio del cambiamento sociale di quell’epoca.
Nella versione del 1995 del Codice di Deontologia Medica la volontà del paziente relativamente ai trattamenti medici era riconosciuta, ma con restrizioni: “La volontà del paziente, liberamente e attualmente espressa, deve informare il comportamento del medico, entro i limiti della potestà, della dignità e della libertà professionale” (art. 29).
Nella versione del 1998 è stata introdotta una attenuazione del modello paternalistico duro, secondo il quale, nel caso di un paziente attualmente incapace, è il medico che decide “in scienza e coscienza”: “Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, in caso di pericolo grave di vita, non può non tener conto di quanto precedentemente manifestato dallo stesso” (art. 34).
I medici italiani hanno di fatto acquisito l’indicazione contenuta nella Convenzione europea sui diritti dell’uomo e la biomedicina (Oviedo, 1997) che dà valore vincolante alle direttive anticipate: “I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente, che al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione” (art. 9).
Nella versione del 2006, all’art. 22: “Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica”, si raccomanda al medico, nel caso di un rifiuto di opera che contrasti con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, di “fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento”.
La relazione con questi articoli del codice acquista sempre più il profilo di una alleanza terapeutica, all’interno della quale sono chiamati a confrontarsi due soggetti autonomi, che hanno sguardi diversi sulla decisione da prendere, competenza scientifico-clinica da parte del medico, interessi vitali ed esistenziali da parte del malato.
Al momento non possiamo prevedere la fisionomia che il rapporto tra professioni sanitarie e cittadini è destinato ad assumere nel prossimo futuro.
Quindi paradossalmente il medico di domani, anche se altamente versato dal punto di vista del sapere tecnico e drogato proprio per questo dalla sua presunta onnipotenza, dovrà saper integrare le ragioni della ‘matematica’ con le ragione del cuore; ancora di più divenire consigliere affidabile del suo paziente.
Dovrà percepire i conflitti esistenti, interpretare i valori dei pazienti e dei loro familiari e saperli gestire nell’ambito della relazione che non potrà non toccare argomenti quali costume e giustificazione morale dei comportamenti che sono contenuti fondamentali dell’etica medica.
Una relazione che non può non dimenticare che la malattia è comunque una esperienza che coinvolge la totalità della persona e come tale impone l’esigenza di una impostazione che tenga conto dell’ autodeterminazione da parte dell’individuo sulle decisioni che riguardano il suo corpo.

Autore: Redazione FNOMCeO

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