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Padova, il 24 giugno giornata di lavoro in memoria del professor Federspil

La Facoltà di Medicina dell’Università di Padova ha voluto ricordare il prof. Giovanni Federspil, prematuramente scomparso lo scorso anno, con un convegno dal titolo “Le scuole di medicina interna in Italia”.
L’iniziativa, che si terrà il 24 giugno (ore 10,00 – 18,00) presso l’Aula Morgagni dell’Università (via Giustiniani n. 2), vuole approfondire un tema a lui caro, sul quale aveva lavorato a lungo. Gli studi che Giovanni Federspil aveva compiuto su questo argomento, rimasti inediti a causa della malattia, verranno infatti riproposti come ulteriore testimonianza dell’attenzione che egli aveva dedicato ai molteplici aspetto dell’arte medica.

Ai lavori, prenderanno parte, tra gli altri, il prof. Giorgio Palù, Preside della Facoltà di Medicina di Padova, il prof. Vincenzo Milanesi, delegato del Rettore di Padova, il prof. Franco Dammacco Prorettore dell’Università di Bari, il prof. Vito Cagli, Specialista in Medicina Interna, il prof. Gianfranco Gensini, Preside della Facoltà di Medicina di Firenze e il prof. Ivan Cavicchi, Docente di Sociologia e Filosofia della Medici dell’Università Tor Vergata di Roma.

In rappresentanza della FNOMCeO parteciperà il vicepresidente Maurizio Benato, nonché presidente dell’Ordine di Padova, che interverrà con una relazione sul tema “Medicina della malattia e medicina della salute: due prospettive, un unico scopo”.

Dottor Benato, quale significato dobbiamo dare oggi al concetto di salute?
La tutela della salute ha acquisito nella nostra società una valenza centrale e prioritaria, non solo per la comune consapevolezza che la “salute” rappresenta per la persona un bene basilare e un diritto fondamentale, ma anche perché si presenta quale indicatore fondamentale del livello di benessere raggiunto dalla comunità.
La medicina, che per molto tempo ha designato soltanto la scienza e la pratica rivolte a ripristinare e tutelare la salute, cioè la forma migliore del bene inalienabile della vita umana, oggi ha acquisito anche lo scopo di difendere lo stato di salute come pienezza di attività e di validità psicofisica, che è fattore determinante per la qualità di vita.
Anche l’’identità della persona coinvolta nell’attuazione del diritto alla salute appare superata perché questo diritto non è più soltanto una legittima pretesa sociale, ma un diritto di interesse collettivo, così come sancisce l’art. 32 della Costituzione.

La qualità della vita è quindi un bene da tutelare anche quando lo stato di salute è compromesso…
La qualità di vita deve sempre essere perseguita, anche quando non si è più in grado di tutelare la salute e in questo frangente l’autonomia del paziente, dichiarata o espressa, si confronta con l’autonomia del medico e dal confronto delle autonomie momento unico e irripetibile nascono tanti risvolti bioetici.
Il rispetto dei valori di fondo di ogni persona e’ fondamentale nel rapporto medico paziente , valori in massima parte generali per lo più determinati dalla storia della società cui il paziente e il medico appartengono , ma sono soprattutto quelli che dipendono dalla storia individuale del paziente e che emergono nel particolare momento del processo terapeutico.
Questa breve analisi ci permette di comprendere come la medicina abbia ampliato i suoi compiti, soprattutto ai due apici della vita, e il medico, nella procreazione come nella prossimità della morte, deve sempre essere in grado di fornire un progetto al suo paziente perché sappia modulare la propria vita secondo i propri valori.

Presidente Benato è possibile integrare i vecchi e nuovi scopi della medicina nell’esercizio professionale? E con quali soluzioni?
La medicina è nata per essere di aiuto all’uomo e i nuovi scopi, così come i vecchi, devono rispondere sempre alle attese del paziente.Per rispondere alla domanda ritengo opportuno esaminare la questione sotto tre profili.
Quello sociologico. L’attuale pensiero bioetico propone per la sanità: il miglioramento della salute, spostando l’obiettivo da una prospettiva individuale a quello di popolazione (concetto di medicina sociale); il miglioramento delle condizioni economiche e sociali (anche attraverso una particolare attenzione per l’ambientalismo); l’accettazione dell’aspettativa media di vita dei paesi sviluppati.
Profilo organizzativo. La medicina al letto del paziente, il rapporto duale medico-paziente, la sua stessa sacralità i cui principi erano rimasti invariati per secoli si e’ modificata da tempo.
Lo Stato si è assunto in prima persona la responsabilità e la gestione dei servizi sanitari e regola direttamente il rapporto professionale dei medici, sia sul piano dell’organizzazione che su quello economico.
È in atto perciò una vera e propria laicizzazione della medicina che si caratterizza d’altro canto per l’affidamento delle aspettative di cura e sicurezze di salute del cittadino – fino a poco tempo fa garantite dal solo medico e dalla sua organizzazione – ad altri attori sociali che meglio sembrano garantire la diminuzione dell’incertezza dello stato di salute.
Il paziente rinuncia alla libera scelta del medico per intraprendere la via della fiducia assicurata, perché meglio garantita, da strutture quali ospedali e centri di cura nell’ambito dei quali i medici gestiscono una relazione terapeutica sempre più impersonale e istituzionale.
È un passaggio importante, quest’ultimo, nella relazione di cura, che si aggiunge ad una limitazione della autonomia professionale del medico e nella sua performance lavorativa (contenuti, modalità, tempi), nella libertà dal controllo sia dei pari che dall’esterno, tutti aspetti di cui la professione ha goduto incontrastata per lungo tempo.
Autonomia condizionata anche per ragioni di economicismo; si spiegano così l’eccesso di “protocolli”, di “iter procedimentali” che fanno apparire spesso la medicina come una delle tante branche amministrative dello Stato, con il rischio di una vera e propria medicina amministrata nella quale la scelta sembra ormai assegnata a tecnocrati, ad amministratori che si avvalgono di standard, vincoli, tetti, linee guida, incentivi. Questa destituzione, questa riduzione di ruolo è una vera espropriazione sia delle titolarità che delle prerogative del medico.
Profilo formativo del medico. Appare senz’altro prioritario, nella formazione, “costruire” un professionista completo che, accanto alle necessarie basi scientifiche che gli permettano una preparazione teorico-pratica generale, capacità di diagnosi e di intervento, buona pratica clinica e di lavoro interdisciplinare, abbia anche una obiettiva capacità di contatti umani, di analisi e discernimento dei problemi.
L’insegnamento scientifico dovrebbe non più proporsi come una catena di montaggio fondata solo su evidenze, ma promuovere un’educazione che sia anche costruzione dei significati, delle conoscenze e delle competenze.
Occorre di certo favorire un’etica della formazione che sviluppi nel futuro medico una coscienza per una medicina "pluralista" in senso sociale con riferimento cioè alla pluralità infinita dei valori dei singoli pazienti; una medicina "equa e giusta", e una medicina “rispettosa della dignità" e delle "scelte umane".
Gli studenti devono prendere familiarità fin dall’inizio della loro formazione con tutta la gamma e la complessità di nozioni come salute, malattia, infermità e disturbo. Devono essere educati a cogliere i problemi ingenerati dalle condizioni psicologiche e sociali in cui vivono le persone, giacché è sempre più evidente che questi fattori giocano un ruolo di grande importanza nella genesi della malattia e dell’angoscia che accompagna la malattia.

Da questa sua analisi alquanto dettagliata, quali conclusioni, in sintesi, possiamo trarre?
Dobbiamo partire dal concetto che salute e qualità della vita sono frutto del concorso di responsabilità individuale, dell’azione collettiva e delle politiche pubbliche. Compito della medicina è quello di favorire stili di vita più sani attraverso il miglioramento delle competenze personali, lo sviluppo di ambienti favorevoli alla salute e il miglioramento dei servizi sociosanitari.
Lo spartiacque tra il passato e futuro porta di conseguenza al superamento della definizione rigida delle figure professionali e delle loro mansioni, dell’enfatizzazione dell’oggettività della malattia, della separatezza delle istituzioni terapeutiche, della standardizzazione delle prestazioni, dell’universalismo scientifico delle competenze specifiche, del primato dell’intervento biomedico con finalità terapeutiche e da un punto di vista organizzativo, dell’elevato grado di strutturazione dei luoghi sociali deputati alla cura.
L’approccio centrato sulla salute mette al centro il soggetto, le interazioni fra i singoli e la collettività, la rete informale della famiglia e della comunità, facendo del cittadino non solo un utente dei servizi, ma valorizzandolo quale persona.
Si ha così la rimozione delle barriere tra complesso sanitario e soggettività attraverso un passaggio dalla terapia alla prevenzione, una personalizzazione crescente delle relazioni terapeutiche, una maggiore flessibilità delle strutture e dei servizi e una maggiore articolazione territoriale aperta alla partecipazione.

Autore: Redazione FNOMCeO

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