Meno due: siamo ai blocchi di partenza per la tre giorni che, a Padova, vedrà riunite le più brillanti menti nel campo della Bioetica, della Sociologia, della Medicina, in un brainstorming per pensare e ripensare la Professione medica.
Il Convegno “Pensare per la professione”, che partirà giovedì pomeriggio, sarà suddiviso in due sessioni: nella prima si penserà “per la Medicina”, nella seconda si rifletterà “per la Sanità”.
Ma Medicina e Sanità dovrebbero essere un unicum, o, meglio, due facce di una stessa medaglia. Come si è creata, nel tempo, una “divaricazione” tra di esse?
L’Ufficio Stampa lo ha chiesto a Ivan Cavicchi – sociologo, docente di Sociologia dell’Organizzazione Sanitaria e Filosofia della Medicina rispettivamente presso la Facoltà di Psicologia e la Facoltà di Medicina delle Università La Sapienza e Tor Vergata, Roma – che, a Padova, terrà un’attesissima relazione proprio su questo tema.
Professor Cavicchi, assistiamo oggi a una – come lei stesso l’ha definita – “divaricazione tra medicina e sanità”. Può spiegarci i termini di questa dicotomia?
In questi anni, è invalsa tra medicina e sanità una incomprensibile dicotomia, nel senso di sussumere e ridurre tutti i problemi della prima alla seconda, divaricando così le questioni dei contenitori" (servizi,strutture,aziende, ecc) dalle questioni dei "contenuti", che sono quelli della conoscenza scientifica,delle modalità operative,delle pratiche, della professionalità.
La sanità, in quest’ultimo periodo, ha prevalentemente concentrato la sua attenzione sui suoi problemi interni, prestando poca attenzione ai grandi cambiamenti sociali e culturali che avvenivano fuori di essa e che assumevano e assumono le caratteristiche di una domanda di medicina diversa e ripensata.
Come si esprime questa domanda di una diversa medicina? E come, invece, è stato risposto?
Oggi questa domanda riguarda le qualità delle prestazioni, le modalità delle pratiche, l’efficacia dei trattamenti, le forme delle relazioni, il coinvolgimento nell’informazione. Questa domanda di segno nuovo – e che ben corrisponde alle caratteristiche salienti della post-modernità – di fatto è stata dirottata, in questi anni, verso le questioni organizzative, ponendo la professione medica nella scomoda posizione di mediare un conflitto di grande delicatezza. E il contenzioso legale da una parte, la medicina difensivistica dall’altra sono le manifestazioni più vistose di tale conflitto. Questo perché a una domanda di diversa medicina si è risposto con una razionalizzazione dell’offerta e in molti di casi persino con un razionamento delle prestazioni.
Può spiegarci meglio quali sono le responsabilità del sistema?
I punti di criticità sono molti. Innanzitutto, sono state fatte riforme di sistema con l’invarianza sostanziale delle caratteristiche di fondo dei soggetti operativi. Di conseguenza, il criterio di analogia usato per l’equiparazione ai ruoli della Pubblica Amministrazione ha sacrificato "le specificità" insite alle discipline mediche – e cioè la complessità delle pratiche, delle conoscenze, delle metodologie, e quindi dell’autonomia del giudizio con le relative responsabilità – fino a tradire effetti importanti di burocratizzazione della professione.
Ancora, le questioni di "contenuto" sono state considerate praticamente secondarie rispetto a quelle dei "contenitori", con il prevalere di idee “distorte”: il mero riadattamento della professione medica alle nuove esigenze di politica sanitaria; la strumentalità dell’operatore sanitario rispetto agli obiettivi di risparmio; la relativa insussistenza del valore dei soggetti quali protagonisti di eventuali cambiamenti.
Tutto ciò perché la questione "medicina" non è mai stata considerata questione strategica.
La responsabilità, quindi, è soprattutto del sistema. Ma quanta parte ha il medico?
I problemi della professione medica non sono certamente tutti imputabili alle politiche di compatibilità e alle pratiche di razionalizzazione. Le politiche di razionalizzazione hanno proposto valori importanti quali la "Qualità", "l’Appropriatezza","il Governo clinico", "l’Evidenza", "la Sicurezza", "l’Economicità". Ma l’interpretazione e la declinazione pratica di questi valori, la loro traduzione e applicazione, ad opera di amministratori, organizzatori, tecnocrati, ma anche degli stessi medici, sta mostrando un grosso problema di inadeguatezza.
L’ingiustificata divaricazione tra medicina e sanità è anche dovuta a un apparato concettuale di fondo del medico, che tende a ridurre la complessità degli intrecci medicina/sanità a tecniche, procedure, standard, indicatori, cioè a semplificare eccessivamente le cose.
L’interpretazione “incomplessa della complessità medicina/sanità ha l’effetto di ridurre, ad esempio, la questione della "qualità" prevalentemente a linee guida; il contenzioso legale alle coperture assicurative e alle soluzioni conciliative; le questioni del rischio a tecniche di gestione e a controlli; quelle dell’errore a problemi organizzativi e ad eventi avversi; la relazione con il malato ad amabilità …
Non riusciremo mai a rimettere insieme medicina e sanità se non impareremo a pensare le loro interconnessioni attraverso la complessità, armonizzando i nostri tradizionali modi di fare scienza con le sfide neoumanitarie che provengono dalla nostra società.
Le criticità della medicina moderna sono, in un certo senso, attribuibili anche al paziente, sempre meno “paziente” e sempre più “esigente” – secondo una sua definizione – pratiche mediche destinate a mettere a dura prova il sistema?
In parte è così, ma non perché la domanda sociale sia indifferente ai problemi tipici del welfare sanitario (universalismo e disuguaglianza, gratuità e spesa privata,eguaglianze di trattamento e disparità,accesso alle strutture e selezione dell’accesso). Nelle attuali condizioni vi è un "effetto massa" tra una domanda di medicina ignorata e una organizzazione sanitaria comunque inadeguata.
E il medico, “tirato in mezzo” a questo conflitto, si trova a pagare un prezzo altissimo in termini di delegittimazione sociale e contenzioso legale e, per difendersi, mette mano a diversi tipi di comportamenti “opportunistici” (medicina difensiva), che comunque non rispondono al modello di medicina richiesto dal paziente.
Che tipo di medicina richiede, invece, il paziente?
Dietro a termini come "umanizzazione", "relazione", "informazione", "consenso informato", "sicurezza", "contenzioso legale", "personalizzazione", "centralità del malato", è insita una domanda di medicina che implicherebbe un rovesciamento delle priorità. In altre parole, non si tratta più di limitarsi a razionalizzare l’organizzazione sanitaria indipendentemente dai contenuti e dalle qualità dei soggetti che operano, ma di ripensare la medicina per ridiscutere le organizzazioni e le prassi sanitarie, attraverso nuovi soggetti professionali.
Come risolvere, allora, questa divaricazione?
Possiamo individuare, anche nei sistemi sanitari, quelli che io definisco “Snodi Cruciali”, quegli incroci di questioni di diversa natura–economiche, etiche, scientifiche, culturali, antropologiche, organizzative – dai quali dipende il funzionamento concreto del sistema medico-sanitario.
Il primo di questi “Snodi Cruciali” è il rapporto medicina/sanità, perché in esso si intrecciano tutte le questioni di contenuto della medicina e tutte le questioni organizzative della sanità.
Il medico, in quanto soggetto che opera che riunisce in se medicina e sanità è un altro “Snodo Cruciale”. Il medico caratterizza, con il suo agire e il suo fare, il funzionamento del sistema, le sue caratteristiche di fondo, le sue qualità, le sue proprietà e le sue relazioni.
Ogni qual volta uno "snodo" viene smembrato,semplificato o ridotto a qualche sua specifica componente, si ha inevitabilmente un problema di inadeguatezza dell’offerta nei confronti della domanda,quindi un problema importante di difformità.
In sintesi, la questione è ricostruire in modo nuovo la figura medica come un importante "Snodo Cruciale".
“Pensare la professione”, quindi, significa aggiornare un ruolo o piuttosto ripensarlo?
Sino ad ora, come abbiamo detto, la professione medica è stata prevalentemente aggiornata rispetto ai contesti sanitari, ma non ripensata rispetto alla domanda sociale.
Non basta aggiornare la professione attraverso gli strumenti della contrattazione, della Deontologia, delle pur importanti indicazioni delle società scientifiche. Per fronteggiare i problemi e le contraddizioni, serve probabilmente un ripensamento più profondo del ruolo e delle proprietà che lo costituiscono.
Autore: Redazione FNOMCeO