Riflettori accesi sul Convegno “Pensare per la professione”: a Padova, a partire da giovedì 15 ottobre – e per tre giorni – i medici si confronteranno con bioeticisti, sociologi, economisti, filosofi, rappresentanti dell’Università e delle Istituzioni, per una riflessione a tutto tondo sulla medicina e per disegnare la figura del medico del Terzo Millennio.
Ma qual è questo profilo? Oggi, più di ieri, per l’efficacia della cura, non è sufficiente la completa padronanza delle attuali conoscenze scientifiche. Ciò che serve è una sapienza multidisciplinare che dalla scienza vada alla bioetica, alla sociologia, all’economia.
L’Ufficio Stampa cercherà, a partire da oggi, di ricomporre i tasselli del ritratto di questo “medico nuovo”, dando voce ai relatori delle diverse discipline che, proprio a Padova, saranno chiamati a delinearlo.
Cominciamo con la Bioetica: l’Ufficio Stampa ha intervistato Sandro Spinsanti, che, nella sessione di venerdì 16, parlerà di “Risorse e diritti in Sanità”.
Note biografiche: Sandro Spinsanti, psicologo, teologo, bioeticista. Ha insegnato etica medica nella facoltà di medicina dell’università Cattolica di Roma e bioetica nell’università di Firenze. Ha diretto il Centro internazionale studi famiglia (Milano) e il Dipartimento di scienze umane dell’Ospedale Fatebenefratelli all’Isola Tiberina (Roma). Ha fondato e dirige l’Istituto Giano per medical humanities e il management in sanità (Roma). È stato componente del Comitato nazionale per la bioetica. Ha fondato e diretto la rivista L’Arco di Giano (Esse editrice). Attualmente dirige la rivista Janus. Medicina: cultura, culture (ed. Zadig).
Professore, un suo pluricitato articolo di qualche anno fa si intitola: “Il Medico: servo di tre padroni?”. E i tre “padroni” cui ci si riferisce sono la scienza, il paziente e la società. Questo è ancora vero oggi?
L’articolo in questione risale a metà degli anni ‘90. Si trattava di una risposta a un altro intervento, quello di un clinico che aveva proclamato che il medico “non può servire a due padroni”, interpretando la sentenza evangelica per configurare l’atteggiamento dei sanitari che, oltre che agli interessi del paziente, dovevano “obbedire” alle limitazioni finanziarie.
L’articolo replicava che le istanze a cui il medico deve rendere conto del proprio operato sono addirittura tre: il paziente, appunto; la scienza; e la società.
Rispetto al clima di quindici anni fa, c’è una novità fondamentale: il Codice di Deontologia medica del 2006.
All’articolo 6, tale Codice ha per la prima volta teorizzato che il medico, per essere un buon medico – e qui si introduce il concetto innovativo di “qualità professionale” – deve tenere conto di tre parametri: l’efficacia delle cure, l’autonomia della persona e l’uso appropriato delle risorse.
Il medico, cioè, deve “fare la cosa giusta”, secondo scienza, e “nel modo giusto”, non solo per il paziente, come nel modello paternalistico, ma per tutta la società: è questa la “Rivoluzione copernicana” della medicina moderna.
L’articolo, quindi, precorreva i tempi, cogliendo una novità che già era nell’aria e che è stata poi sancita dal Codice Deontologico… ma quale parte hanno assunto, nella situazione attuale, le tre componenti?
Purtroppo oggi il medico rischia di diventare servo di un solo padrone: il budget. Ma se la medicina è costretta a sottostare solo a criteri economicistici e efficientistici, non potrà che subire un’involuzione.
Occorre, invece, mantenere un concetto di qualità professionale sempre in termini “tridimensionali”.
Nello stesso articolo, lei cita la bioeticista E. Haavi Morreim, quando afferma che “una delle più importanti e difficili sfide della nuova economia che regola la medicina consiste nel considerare non solo ciò che i sanitari sono obbligati a dare ai loro pazienti, ma anche i limiti di questi obblighi”. Come può la moderna bioetica “fare i conti” con risorse economiche per forza di cose limitate?
È necessario un cambiamento di prospettiva collegato proprio a questa “tridimensionalità”.
Sino a qualche anno fa, il medico doveva tenere conto solo del parametro del beneficio del paziente, lasciando ad altri la preoccupazione di gestire le risorse economiche. Questo nuovo modello, invece, coinvolge il medico nelle scelte: a livello pubblico con i LEA, sul piano personale con la locazione delle risorse. Ovviamente, se sulle spalle del singolo dovessero cadere decisioni drammatiche – ad esempio la scelta tra due pazienti di cui uno solo può essere curato – il sanitario si troverebbe in conflitti morali insormontabili.
Il medico non deve essere un esecutore passivo, ma neppure essere lasciato solo. Sono quindi necessarie logiche condivise tra i medici, gli amministratori, i politici, con la stesura di linee guida efficaci.
Ma come può il singolo medico, a livello personale, risolvere il conflitto – se di conflitto si tratta – tra i principi bioetici che regolano la medicina moderna – Autonomia, Beneficialità e Giustizia – e i doveri di gestire al meglio le risorse economiche?
Solo mediante una sistematica negoziazione. Max Weber affermava che il politico non può avere solo “l’etica dei principi”, ma gli occorre “l’etica della responsabilità”. Nell’arena pubblica, le scelte non possono riferirsi solo a principi astratti, a ideali aprioristici, a convinzioni personali: per essere “scelte etiche”, devono adeguarsi alla realtà e tenere conto delle conseguenze. Questa regola aurea vale per tutta l’economia sanitaria in generale.
Sul piano individuale, il medico trova, come già detto, la risposta nel Codice Deontologico: non deve agire solo secondo il principio della Beneficialità, cioè del bene assoluto del singolo paziente, ma deve tenere conto anche della volontà (Autonomia) del paziente stesso e della ripartizione giusta delle risorse (Giustizia). Occorre, quindi, un “compromesso” tra principi; un compromesso inteso nel senso più alto del termine, ossia un bilanciamento di diritti.
Può farci un esempio pratico?
Nelle scelte in sanità occorreranno sempre più degli accomodamenti, specie in sistemi universalistici come il nostro, che vuole garantire a tutti l’accesso equo alle cure. Certe terapie, seppure efficaci, sono troppo costose e non potranno essere garantite a tutti. È il caso dei nuovi farmaci antitumorali, capaci di prolungare di qualche mese la vita dei pazienti, ma dai costi insostenibili per il Sistema Sanitario.
Autore: Redazione FNOMCeO