Panti: È meglio un “buon” medico o un medico “buono”?

17 SET – Gentile Direttore,
giorni fa è apparsa su QS una discussione tra due colleghe, Ornella Mancin e Liuva Capezzani, a proposito della relazione tra medico e paziente e dei diritti e dei doveri di ognuno. Mi sembrano assai più convincenti le risposte della collega Capezzani ma non per questo scrivo.

Vorrei invece mettere in relazione l’antichissima questione del rapporto medico-paziente con l’articolo assai documentato di Grazia Labate “Amazon alla conquista del mercato sanitario“, pubblicato il 7 settembre scorso sempre su QS.

Con una premessa linguistica. Va di moda parlare di esigente, di arché, di dottor google, di autore, al posto di “medico e paziente”, una serie di filosofemi stravaganti. Il medico tutti lo chiamano dottore e il paziente è un cittadino che il Codice Deontologico definisce “persona”. Medici e pazienti sono persone e tutti lo sanno, persone con i loro pregi e difetti, gioie e amarezze, speranze e delusioni, insomma esseri umani; questo facilita il compito e ci fa scendere dall’empireo della metafisica alla realtà quotidiana. Infine il medico ha diritti e doveri, il cittadino lo stesso, ma quando ci si ammala si tende a enfatizzare i diritti e attenuare i doveri; è umano e difficile evitarlo.

Ma torniamo all’articolo della Labate che ci mette in guardia contro l’intraprendenza di Amazon e di altri colossi dell’informatica ansiosi di conquistare il mercato sanitario; l’invecchiamento della popolazione aumenta costantemente la domanda di salute e l’innovazione in sanità ha costi incrementali perché non migliora i processi produttivi, se mai li complica. Un mercato sempre più appetibile per i colossi finanziari.

Le vie d’accesso dell’ICT al mercato sanitario sono molteplici; tra queste sembrano più interessanti la sorveglianza e la terapia a distanza (life logger e telemonitoraggio), le app diagnostiche per pazienti e medici utilizzando la I.A., la health care self service che vorrebbe sopperire ai tanti disagi dei pazienti diminuendo i costi di intermediazione.

E’ chiaro che l’attuale organizzazione del servizio non consente simili soluzioni di sistema che già esistono come spot casuali. Da un lato occorre che i grandi capitali e le aziende informatiche decidano di entrare nel mercato, dall’altro la costruzione di una vera infrastruttura informatica. Ma quando ciò avvenga quali saranno le conseguenze sul mercato della salute e sull’organizzazione dei servizi medici nonché sulla unicità del rapporto tra medico e paziente?

Non v’ha dubbio che la relazione tra medico e malato è il fondamento concreto della medicina da quando questa esiste, forse dall’età della pietra. Nel tempo è aumentata (e ora raggiunge l’acme) la tensione tra individuo e collettività, tra esigenze del singolo paziente e interesse della comunità, tra promozione della salute e diritto alla cura. Nel tempo al binomio medico-paziente si sono aggiunti altri interlocutori. La scienza e la tecnologia hanno fatto si che la medicina raggiungesse successi impensabili al prezzo di trasformarsi da solitaria professione liberale a impresa grandiosa e complessissima.

La medicina oggi si attua all’interno di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali di grande complicatezza che esigono il lavoro congiunto di moltissimi professionisti di diverse discipline e specialità. Questi percorsi, veri e propri processi produttivi, si svolgono all’interno di enormi strutture operative (così dobbiamo immaginare una ASL), dalla prevenzione alla cura, dal medico di famiglia all’ospedale, ai servizi a tutto quanto è necessario e ciò è possibile grazie a ingentissimi finanziamenti, in genere oltre il 10% del PIL delle nazioni.

Gli interlocutori di quest’opera grandiosa di tutela della salute sono quindi non solo il medico e i pazienti (ciascuno portatori di interessi diversi e non sempre concordi) ma gli amministratori, i gestori e i produttori di servizi e strumenti: dal cotone idrofilo alle mega sale operatorie ai farmaci più sofisticati tutto è prodotto da aziende private il cui capitale di rischio vuole remunerazione.

Con il corollario che, a fronte dei costi di un paziente cronico, oncologico o dializzato o chirurgico, gli oneri dei servizi sono tali da rendere “disuguale” non solo chi ha basso reddito ma i cosiddetti benestanti. In pratica il sevizio sanitario nazionale crea uguaglianza di fronte alla malattia per tutto il popolo italiano; forse solo il 2% può sopportarne i costi senza intaccare il proprio tenore di vita.

La relazione tra medico e paziente rappresenta sempre l’anello che tiene la catena degli eventi sanitari, ma non è più il solo punto di riferimento. Nella sanità moderna esiste fatalmente una negoziazione tra medici, pazienti, amministratori e gestori, infine con i produttori di beni, tutti portatori di interessi, a volte ragionevoli talora al limite del lecito, ma che sono sul tavolo e non possono essere ignorati.

Centrare la “questione medica” e il disagio dei medici sul solo rapporto col paziente, anche se le distorsioni ricadono spesso su questo a causa del meccanismo psicologico per cui litighiamo in casa quando siamo irritati del lavoro, è una mistificazione, una semplificazione illusoria che distoglie dalla realtà dei fatti con i quali dobbiamo convivere. I medici potrebbero fornire loro le idee per una migliore organizzazione del servizio senza dare alibi alla politica.

Conclusione. Il rapporto tra medico e paziente è sempre stato difficile e ora lo è di più per il frapporsi della tecnologia. E’ giusto miglioralo. Ma la celebre questione se sia meglio un buon medico o un medico buono è una trappola perché un buon medico (che sa e sa fare) non può essere altro che un medico “buono” cioè attento al contesto del paziente, al suo vissuto, alla sua emotività. Altrimenti la sua sapienza sarebbe inutile. Tuttavia la medicina è una faccenda assai complessa e complicata e bisogna osservarla con occhi nuovi, senza distopie o utopie, ma con realismo.

Antonio Panti

Pubblicato su Quotidiano Sanità

Autore: Redazione

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