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Parola ai presidenti/2 – Maurizio Ortu, OMCeO L’Aquila: l’Ordine agisce su tutti i fronti, ma vogliamo guarire dalla “sindrome delle 3,32”

Prosegue il giro delle interviste ai Presidenti OMCeO delle regioni italiane. Dopo Roberto Lala, Presidente OMCeO di Roma e provincia, è la volta di Maurizio Ortu, Presidente OMCeO della provincia de L’Aquila. E’ evidente qui che, a distanza di più di quattro anni dal 6 aprile 2009, la preoccupazione principale è legata al terremoto che ha distrutto la città, alla mancata ricostruzione del centro storico, alle implicazioni che il terremoto e il post-terremoto hanno avuto sulla vita dei cittadini aquilani, nel ricordo delle 309 vittime di quella tragica notte, di quel tragico orario: ore 3,32.

Presidente Ortu, qual è la sua valutazione sull’attuale situazione del Servizio Sanitario Nazionale e della politica nazionale in materia di Sanità?
Sono molto preoccupato, in quanto non solo medico ma potenziale utente, per il salto di almeno due generazioni e gli sprechi per ospedali minori e sanità privata senza controllo.

L’Ordine da lei Presieduto su che cosa è particolarmente impegnato nei prossimi mesi? Formazione, informazione, eventi, iniziative, aspetti specifici del territorio di sua competenza?
Deontologia, previdenza ed assistenza, in particolare a studenti ultimo anno di Medicina ed Odontoiatria.

L’Ordine e il terremoto, la mancata ricostruzione del centro storico, a che punto è la situazione?
Prima di rispondere alla domanda che mi è stata posta circa la ricostruzione della città dopo il terremoto è necessario forse dire cosa è il terremoto.
Tutti sanno, chi ha seguito questa straziante vicenda, che il terremoto è la scossa, la distruzione, il dolore, la morte, il caos, ma terremoto è anche quello che succede dopo a coloro i quali lo hanno vissuto.
Ed ecco allora che terremoto significa anche cambiamento radicale della vita, delle abitudini, della psicologia della persona, significa paura (anzi terrore) che possa tornare a colpire, significa saltare sulla sedia ogni volta che la porta sbatte, ogni volta che un mezzo pesante fa vibrare le finestre al suo passaggio, significa svegliarsi senza motivo apparente durante la notte, sempre a ridosso delle 3.32, l’orario di quel maledetto sisma.
Se il terremoto ha colpito la mia città, forse ancor più profondamente ha colpito gli abitanti che quella notte si sono salvati.
Leggevo tempo fa un libro sui disastrosi effetti che la bomba atomica aveva cagionato a coloro che sopravvissero.
In Giappone li chiamano ”Hibakusha”, che letteralmente vuol dire “sopravvissuti”, ma che è poi stato mutato, nell’accezione filosofica orientale che permea nella lingua, in “persone affette dall’esplosione”, come se fosse una malattia non voluta ma che, tuttavia, ha contagiato indelebilmente i cittadini di Hiroshima e Nagasaki.
Ecco: gli aquilani sono, chi più e chi meno, le “persone affette dal terremoto”.
Prima di parlare della ricostruzione della città, importante, anzi fondamentale, sotto tanti aspetti, sarebbe forse più indicato parlare di ricostruzione della fiducia dei cittadini, delle loro abitudini.
Il centro storico della città, sperando di non essere andato troppo fuori dal contesto della domanda, si trova ancora nello stato in cui versava il 6 Aprile 2009, dopo la scossa.
Purtroppo, e questo è un dato sotto gli occhi di tutti, ben poco è stato fatto se non mettere in sicurezza gli edifici pericolanti ed aprire alcune strade al pubblico.
Per me, che sin da giovane studente ero abituato a girare per le vie del centro, ciò appare un misero “contentino”.
Se non forzato da impegni lavorativi o dalla curiosità di amici e parenti che vogliono visitarlo, evito sempre di andare in centro per il semplice motivo che quello NON è il centro che ricordo e a cui ero abituato. Purtroppo, polemiche e giuste lagnanze a parte, credo che la ricostruzione del centro storico aquilano, risalente al ‘200 e pieno zeppo di palazzi e monumenti di storica importanza, sia impresa ardua e lunga.
Sento spesso dire da persone poco più grandi di me che non rivedranno il centro restaurato e questa, se possibile, è forse la cosa più difficile da digerire.
D’altra parte vedo, e questo vuole (e deve) essere un messaggio di speranza e positività, che al di fuori del centro, anche nelle immediate vicinanze di questo, ogni giorno sorgono cantieri, vengono demoliti palazzi semi distrutti, vengono edificate costruzioni sempre diverse, sta nascendo una città nuova, all’altezza dei più moderni standard antisismici.
Chi ha deciso, nonostante tutto, di restare in questa città, di non andare via nonostante tutte le paure, è ben conscio di dover convivere con realtà quotidiane diverse da tutte le altre città del mondo.
Spero, da medico, che a lungo andare, da questo terremoto si possa guarire.

Autore: Redazione FNOMCeO

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