L’otto gennaio 2008 ebbi a scrivere il seguente testo dal titolo Mio cugino Fortunato va in pensione:
“Mio cugino Fortunato è nato il 31 dicembre 1950 e quindi, avendo compiuto i 57 anni di età ed avendo maturato i 35 anni di anzianità di servizio, va in pensione il 1 aprile 2008. Mio cugino è come dice il nome veramente "fortunato". Infatti io sono nato il 1 gennaio 1951 -il giorno dopo- ed il mio destino di vita lavorativa è totalmente diverso dal suo, pur avendo un’anzianità di servizio superiore alla sua di un anno (36 anni, mentre lui ha un’anzianità di servizio di 35 anni): posso andare in pensione il 1 gennaio 2010! Cioè 21 mesi dopo, cioè 640 giorni dopo. Insomma se nel gioco del Lotto un ambo fa vincere 250 volte la posta, nella legge 24 dicembre 2007 n. 247 "Norme di attuazione del Protocollo del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per favorire l’equità e la crescita sostenibili, nonché ulteriori norme in materia di lavoro e previdenza sociale" un giorno ti fa perdere … 640 giorni. I tecnici che hanno messo a punto tale meccanismo ed i parlamentari che hanno votato la legge ricevono la gratitudine di mio cugino Fortunato ed invece il mio disappunto. A conclusione, tra i miei vari cugini nessuno si chiama Fortunato e nessuno è nato il 31 dicembre 1950 e però è vero che io -ahimé- sono nato dopo il 31 dicembre 1950”.
Il 1 gennaio 2010 è giunto ed io da tale data sono in pensione dall’Azienda Sanitaria Locale (ASL) Napoli 1 Centro: il 31 dicembre 2009 ho concluso dunque la mia carriera di dirigente medico di psichiatria nel servizio sanitario nazionale (SSN).
Resto comunque psichiatra e psicoterapeuta ed inoltre giornalista pubblicista.
Sono stato uno dei tanti che ha profuso molte energie nell’esercitare le proprie competenze nel servizio pubblico: è stata una scelta di percorso professionale, che ha dato talune soddisfazioni e varie delusioni.
Il servizio sanitario nazionale è certamente una conquista del diritto civile alla tutela della salute personale e collettiva, che comunque necessita dell’implementazione dei molteplici fattori di qualità relativi ad efficacia, efficienza, appropriatezza, accessibilità, accettabilità, adeguatezza, continuità, sicurezza, soddisfazione del paziente e dell’operatore, compatibilità economica, comunicazione esterna ed interna.
Dunque per avere un accettabile standard delle prestazioni sanitarie, diffuso nell’intero servizio sanitario nazionale, occorre una convergenza e compenetrazione della qualità professionale dei sanitari e della qualità organizzativa delle strutture.
Obiettivo non sempre facilmente raggiungibile laddove si oscilla tra “burocraticismo” e tentativi (a volte maldestri) di “aziendalizzazione”, il che molto spesso cristallizza situazioni in cui si lavora male e si sprecano risorse, nonostante l’impegno degli operatori.
E’ dunque imperfetto e perfettibile nello stesso tempo ed essendo stato anche io paziente ho potuto comunque usufruire dell’eccellenza assistenziale dell’intervento cardiochirurgico a cui sono stato sottoposto.
Il mio andare in pensione comunque non produce subentri, cioè nessun giovane collega prende il mio posto e questo mi dispiace. Nel servizio pubblico non esiste oramai fattuale turn-over.
Occorrerebbero più risorse (cioè 110 miliardi euro per il 2010 e 115 per il 2011), un Piano nazionale per l’ammodernamento e la messa in sicurezza delle strutture pubbliche (circa 15 miliardi in 10 anni), emanazione dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (LEA), abrogazione della rottamazione dei medici, soluzioni per gli 8.200 precari, provvedimenti concreti su libera professione intramoenia, governo e rischio clinico, rivalutazione economica e professionale della dirigenza SSN, fine del condizionamento della politica sulla sanità.
Nel 2008 sono stati 8.364 gli studenti iscritti a medicina. Tolto il 25% che -in media- non arriva alla laurea, restano in 6.000 quelli che -tra alcuni lustri- entreranno a regime dopo la specializzazione. Nello stesso periodo andranno in pensione 15.000 medici. La differenza tra 15 mila in uscita e 6 mila in entrata sarà la futura carenza di sanitari.
Nel 2009 hanno lavorato 343 mila professionisti tra i 30 e i 70 anni (età media 49,8 anni) e se il tasso di iscrizione a Medicina rimanesse invariato (la media negli ultimi 10 anni è di circa 6.200 all’anno) in un futuro prossimo i medici scenderebbero del 10-20%, con una età media superiore ai 50 anni.
Nel frattempo si trascina il contenzioso sulla rottamazione dei medici, con l’obiettivo di tendere all’azzeramento degli effetti della norma legislativa che consente alle aziende ospedaliere e sanitarie di potere prepensionare unilateralmente ed obbligatoriamente i medici con 40 anni di contributi, compresi gli anni riscattati. La possibilità della rottamazione dovrebbe invece essere condizionata all’adozione di provvedimenti regionali (da assumere con il confronto con le organizzazioni sindacali), che ne limitino il suo esercizio in determinate e specifiche situazioni.
Tra colleghi che se ne vogliono andare e che anche per poco non hanno maturato i requisiti (e rincorreranno la pensione) ed altri che avendo maturato i requisiti vogliono restare (e non venire rottamati essendo i più anziani) la mia scelta mi appare tanto tempestiva quanto opportuna.
Sono contento per me e mi dolgo nello stesso tempo delle difficoltà dei miei giovani colleghi a potere prendere il mio posto (quasi condannati ad un limbo professionale di precarietà). Raggiungo nella pensione mio cugino Fortunato (che non ho), con il vissuto che la cosa più impegnativa della mia carriera è stato proprio riuscire ad andare in pensione!
Ho comunque imparato che la malattia va ridefinita ed affrontata come programma biologico di sopravvivenza per l’individuo e la specie; l’ammalato va perciò considerato un individuo completo di cognizioni, emozioni e corporeità, con un vissuto, un’educazione ed una storia specifici, in cui ogni momento della sua vita è determinato sia dall’interazione delle esperienze passate, sia dall’interazione con l’ambiente circostante su cui agisce e da cui è influenzato. Solo tenendo conto di tutto ciò è possibile comprendere i meccanismi ed il significato dell’ammalarsi ed approntare quindi un’assistenza sanitaria a misura di individuo.
Maurizio Mottola
psichiatra e psicoterapeuta, giornalista pubblicista
Autore: Redazione FNOMCeO