Perché il femminicidio/1: una provocazione psicologica

I tragici casi di violenza sulle donne non accennano a diminuire, in Italia e nel mondo. Dall’Italia all’India, dai Paesi africani al resto d’Europa le cronache continuano a raccontare tragedie personali e sociali. Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Carlo Arrigone, psicologo e psicoanalista lacaniano, da anni attivo nell’ambito dell’assistenza e riabilitazione di mamme e giovani donne.

Nel 1929 Sigmund Freud scriveva un saggio sul “disagio della civiltà”. Purtroppo oggi più che allora la civiltà sembra non solo a disagio, ma gravemente a rischio, vista la sempre maggiore frequenza con cui gli uomini uccidono le donne. Purtroppo quasi ogni giorno le cronache – italiane e non – riportano tragedie che abbiamo rubricato sotto la definizione di femminicidio, un massacro che ha portato la comunità internazionale a dare il via ad una giornata mondiale contro la violenza alle donne, fissata il 25 novembre di ogni anno.

In questa ondata di delitti c’è ben poco di civile: è una barbarie crescente.

A ben vedere si tratta di una vera e propria guerra (in)civile, di cui noi oggi vediamo principalmente la parte dell’attacco degli uomini sulle donne. Ma, all’osservazione attenta, non ci vuole molto ad accorgersi che l’odio è reciproco.

Basta pensare a quanto poco duraturi sono diventati i rapporti di coppia, anche quando iniziati sotto i migliori auspici dei grandi innamoramenti, spesso si trasformano in battaglie all’ultimo sangue, con rappresaglie da una parte e dall’altra, caratterizzati da un odio crescente e indomabile. Assistiamo quotidianamente a famiglie massacrate, anche senza spargimento di sangue, dove ci sono solo vittime, e i figli sono spesso il terreno di queste battaglie.

La storia dei rapporti tra uomini e donne non sempre è andata bene e a volte è andata molto male. La tragedia, la letteratura, l’arte sono piene di rappresentazioni di odio reciproco. La storia ne è intrisa. Giuditta che taglia la gola ad Oloferne, nella potentissima rappresentazione di Artemisia Gentileschi, è un’icona indimenticabile dell’altra faccia della medaglia.

Guardando questa celebre immagine (recentemente riscoperta grazie a mostre internazionali che hanno restituito alla pittrice il posto che le spetta nella storia dell’arte) non ci si poteva illudere nemmeno per un secondo che la donna fosse il sesso debole. E invece per millenni la nostra civiltà ha continuato a raccontarsi quella che è di fatto una ridicola favoletta.

Impostare i rapporti come rapporti di forza, tra una debole e uno forte, non è certo un buon inizio. Infatti, come vediamo negli ultimi decenni, è finita in guerra e come in tutte le guerre c’è un oggetto del contendere. Per cosa si combattono uomini e donne, cosa vogliono conquistare?

Non ci sono dubbi: è una guerra per il potere. Uomini e donne sono in lotta per la conquista del potere, del dominio dell’uno sull’altra. Quando si parlava di sesso forte o debole si era già chiarito che si trattava di predominio. Il maschio muscoloso pretendeva di avere il possesso della bella e fragile femmina. Ma lei non ci stava, si ribellava, voleva la sua indipendenza, anzi rivendicava la parità.

Fin qui niente di nuovo.

Mi servo di un’espressione volgare per avvicinarmi direttamente al problema: il maschio muscoloso è “l’uomo virile” e la femmina forte è “la donna con gli attributi”.

Ecco il motivo della guerra: la conquista del fallo.

Freud per primo ha parlato di simbolo fallico e non intendeva il genitale maschile, ma l’obiezione al rapporto. Fallo non è il pene, ma un simbolo del potere: dominio e possesso. Entrambi lo vogliono. Nella patologia, gli uomini lo vogliono come arma di potere, con cui sottomettere le donne (cioè le odiano) e le donne lo invidiano e per questo odiano gli uomini. Ecco perché Freud parlava di invidia del pene.

Allora perché ci sono uomini che uccidono le donne?
La risposta ci può sembrare banale: perché le odiano. Odiano la loro differenza.

Finchè le donne accettano di essere possesso di questi uomini, di essere oggetto del loro potere, le cose sono chiare: non c’è rapporto, ma c’è padrone e oggetto. La donna oggetto, certo! Ma con una precisazione: non è una questione di gambe o seni, sembra una questione sessuale, ma dietro si nasconde la negazione della donna come soggetto.

Infatti quando le donne si affermano come soggetti, diverse nel corpo e soprattutto nel pensiero, è allora che si manifesta l’odio, già prima presente, ma silente. Questi uomini odiano le donne in quanto soggetti diversi da loro, perché odiano la differenza, e la devono eliminare.

L’uomo (malato) concepisce il rapporto solo come potere e possesso, non concepisce la differenza, il rapporto tra soggetti come tra diversi e complementari. Per questo non sopporta che esista qualcuno che è soddisfatto dagli altri senza continuare a ostentare il grande fallo di cui lui va così orgoglioso. E’ ancora una stupidissima questione di orgoglio. E non solo per l’uomo.

C’è una sola alternativa, per chi vuole guarire dall’odio, senza finire nella perversione: due sessi, come ricchezza, differenza, vantaggio. Due sessi, come due soggetti diversi, con la possibilità di un sovrappiù per entrambi. Certo bisognerebbe che uomini e donne guarissero dall’orgoglio, espressione istintiva dell’affermazione e del potere. Guarire dal potere e dall’orgoglio: è forse questa la battaglia ultimativa della contemporaneità? E’ forse questa la vera soluzione che ci salverà dal femminicidio e dall’odio dilagante?

Carlo Arrigone
Psicologo e Psicoanalista

Autore: Redazione FNOMCeO

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