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Primario accusato di mobbing – Configurabilità del delitto di abuso d’ufficio

Cassazione Penale – Primario accusato di mobbing –  Configurabilità del delitto di abuso d’ufficio  – Il “primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi ed in modo da assicurare sempre l’interesse della pubblica amministrazione, in particolare ispirandosi nei rapporti con i colleghi, ai sensi dell’art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione. Sussiste, pertanto, il reato di abuso di ufficio con violazione di legge, secondo la nuova formulazione dell’art. 323 cod. pen., allorché il medesimo ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondano le proprie scelte”, mentre nel caso oggi in esame, secondo la prospettazione accusatoria, le condotte contestate sono finalizzate alla vessazione, mediante emarginazione e sostanziale demansionamento, di un qualificato professionista. Sentenza 40320/15

FATTO: S.A. è imputato del reato di cui agli artt. 81, comma 2, 323, 572 c.p. per avere, in qualità di direttore della Unità Operativa di Cardiochirurgia dell’Ospedale di Circolo di … sino al 31.10.2011, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso nonché in violazione di norme di legge o di regolamento, posto in essere iniziative discriminatorie tendenti ad un demansionamento di fatto nei confronti del proprio sottoposto Dott. M.V. , dirigente medico specializzato in cardiochirurgia e ricercatore universitario presso l’Università dell’Insubria di …, condotte volte ad isolare il Dott. M. e ad umiliarne la professionalità (c.d. mobbing) e pertanto arrecando allo stesso un ingiusto danno.

DIRITTO: Giova premettere che la fattispecie di maltrattamenti in famiglia, tradizionalmente concepita in un contesto familiare, è stata nel tempo estesa – ed in tale senso è l’attuale disposto normativo dell’art. 572 cod. pen. – anche a rapporti di tipo diverso, di educazione ed istruzione, cura, vigilanza e custodia nonché a rapporti professionali e di prestazione d’opera. Proprio avendo riguardo a tale ultima categoria di rapporti, questa Suprema Corte ha riconosciuto la possibilità di sussumere nella fattispecie dei maltrattamenti commessi da soggetto investito di autorità in contesto lavorativo la condotta di c.d. mobbing posta in essere dal datore di lavoro in danno del lavoratore, quale fenomeno connotato da una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti reiterati nel tempo convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a mortificare e a isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro, aventi dunque carattere persecutorio e discriminatorio. Ai fini della configurabilità del delitto di maltrattamenti in famiglia nell’ambito di un rapporto professionale o di lavoro, è pertanto necessario che il soggetto attivo si trovi un una posizione di supremazia, connotata dall’esercizio di un potere direttivo o disciplinare tale da rendere ipotizzabile una condizione di soggezione, anche solo psicologica, del soggetto passivo, che appaia riconducibile ad un rapporto di natura para-familiareInvero, non può dubitarsi della possibilità di ravvisare anche in situazioni lavorative coinvolgenti professionisti di alto livello un rapporto di forte soggezione del sottoposto al suo superiore gerarchico, capace con i suoi provvedimenti organizzativi di determinare un concreto, drastico demansionamento del primo, così da comprometterne la posizione all’interno dell’organizzazione e di metterne a rischio non solo le prospettive di acquisizione di più elevate abilità, ma lo stesso mantenimento delle proprie capacità professionali. Paradigmatica in questo senso si rivela proprio la posizione del cardiochirurgo, le cui qualità operatorie dipendono in parte non secondaria dalla casistica (numero e qualità) degli interventi eseguiti, sicché una diversa ripartizione degli interventi chirurgici tra il ricorrente e i colleghi, la sua destinazione ad attività di consulenza in una struttura diversa e meno importante delle procedenti e l’individuazione di un chirurgo reperibile diverso da lui ben potrebbero, in presenza dell’intento vessatorio di cui sopra e contrariamente a quanto affermato nella sentenza sottoposta a verifica, traslare quella forma di rapporto intersoggettivo in fatto penalmente rilevante ex art. 572 c.p.. Il “primario di un ospedale è tenuto, quale pubblico dipendente, a prestare la sua opera in conformità delle leggi ed in modo da assicurare sempre l’interesse della pubblica amministrazione, in particolare ispirandosi nei rapporti con i colleghi, ai sensi dell’art. 13 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, al principio di una assidua e solerte collaborazione. Sussiste, pertanto, il reato di abuso di ufficio con violazione di legge, secondo la nuova formulazione dell’art. 323 cod. pen., allorché il medesimo ponga in essere comportamenti di vessazione ed emarginazione dei medici del reparto che non assecondano le proprie scelte”, mentre nel caso oggi in esame, secondo la prospettazione accusatoria, le condotte contestate sono finalizzate alla vessazione, mediante emarginazione e sostanziale demansionamento, di un qualificato professionista

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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