110 milioni di persone nel mondo sono affette da psoriasi, in Italia secondo le stime di ADIPSO (Associazione per la difesa degli psoriaci), sono circa due milioni e mezzo gli italiani coinvolti con pesanti ricadute sul piano sociale e sul piano economico-sanitario, trattandosi di una malattia ad andamento cronico.
Fin dal 2003 il Ministero della Salute ha voluto istituire la Giornata della Psoriasi (15 febbraio) come già avviene da qualche anno in altri Paesi della Comunità Europea e negli Stati Uniti.
Nel 1999 la psoriasi e l’artrite psoriasica sono state valutate quali malattie Sociali, ma nonostante le informazioni e le rassicurazioni sono ancora considerate erroneamente una fonte di contagio con effetti negativi sociali e comportamentali delle persone affette che spesso rifiutano il contatto sociale. Di questo e di altri problemi abbiamo parlato con un esperto internazionale del settore, il professor Sergio Chimenti, Direttore della Clinica dermatologica dell’Università degli Studi di Tor Vergata.
Professor Chimenti, quali le conseguenze socio-sanitarie del riconoscimento della psoriasi e dell’artrite psoriasica come malattie sociali?
Va innanzitutto detto che il riconoscimento della psoriasi come malattia sociale è un evento logico e ovvio per tutti gli operatori sanitari che si occupano di questa patologia. Il paziente affetto da psoriasi è un paziente purtroppo ancora spesso discriminato socialmente a causa della “visibilità” della patologia di cui soffre. Inoltre, la malattia stessa determina un notevole impatto sulla comunità in termini di spesa sanitaria.
La psoriasi è stata riconosciuta come una patologia con forte impatto negativo sulla qualità della vita; dunque gli psoriaci vivono male?
Si, i pazienti affetti da psoriasi vivono male. Purtroppo questo è in parte dovuto alla patologia che determina spesso invalidità importanti, ma anche in parte alla discriminazione sociale di cui sono spesso vittime. In alcuni studi è stato infatti dimostrato che l’impatto sulla qualità di vita determinato dalla psoriasi è superiore a quello determinato da molte patologie maggiori come l’infarto, l’ipertensione, il diabete o la depressione. Qualche anno fa, in collaborazione con l’ADIPSO, abbiamo condotto e pubblicato uno studio italiano effettuato su più di duemila pazienti che dimostra come circa il 60% dei pazienti affetti da psoriasi soffra anche di sindromi depressive maggiori o minori. Alcuni colleghi del Nord Europa hanno dimostrato come la psoriasi possa addirittura determinare l’ideazione di suicidio in una parte dei pazienti.
Si è recentemente parlato dì un alterazione genetica alla base della psoriasi è cosi?
La psoriasi è una patologia determinata geneticamente, anche se non rientra in meccanismi di trasmissione “mendeliani” di tipo autosominco dominante o recessivo. Un gene in particolare, lo PSOR1, situato nel contesto dei geni dell’HLA-C sul cromosoma 6, sembrerebbe essere tra i principali fattori di suscettibilità genetica alla psoriasi. Tuttavia, vi sono numerosi altri geni che intervengono nel determinare il fenotipo psoriasico. Tra questi, lo PSOR4, che abbiamo identificato in collaborazione con il Dipartimento di Genetica dell’Università di Roma Tor Vergata, rivestirebbe particolare importanza nella popolazione italiana.
Essendo una malattia ad andamento cronico occorre saper vivere o convivere con la malattia?
Si, è importante che i pazienti comprendano che la psoriasi non “guarisce”, soprattutto per evitare che la speranza di una soluzione definitiva li porti a fidarsi ed affidarsi a persone con pochi scrupoli che nella migliore delle ipotesi possono determinare solo un danno economico, ma nella peggiore possono portare anche a conseguenze mediche gravi. Quotidianamente, soprattutto su internet, nascono nuovi siti che pubblicizzano cure miracolose che, in alcuni casi, sono vere e proprie truffe.
Cos’è il progetto “PsoCare” legato all’uso eventuale di farmaci biologici?
Lo PsoCare è un progetto ministeriale nato dalla collaborazione tra le Società Italiane di Dermatologia SIDEMAST ed ADOI, l’AIFA e l’associazione ADIPSO che ha come obbiettivo quello di uniformare l’approccio terapeutico alla psoriasi, di creare un registro di malattia e, quindi di indagare su scala nazionale i profili di sicurezza ed efficacia a lungo termine dei farmaci sistemici tradizionali e biologici. In ultima analisi l’obbietti del progetto è quello di prendersi cura al meglio dei pazienti affetti da psoriasi.
Cos’è la ADIPSO?
È l’Associazione per la Difesa degli Psoriasici, una associazione che si è costituita nel Novembre del 1989 con lo scopo di dare supporto alle persone colpite da psoriasi.
Esiste qualche qualche tipo di collaborazione con i medici di famiglia o con medici di altre specialità nell’interesse del paziente?
Il ruolo dei medici di famiglia nella gestione del paziente affetto da psoriasi è di fondamentale importanza. Il paziente psoriasico ha un maggiore rischio di soffrire di patologie cardiache, di ipertensione, di obesità e dislipidemie e, per tale ragione, deve essere assistito con continuità e attenzione. Inoltre, i farmaci che vengono somministrati al paziente hanno controindicazioni o possono determinare eventi avversi. Anche i colleghi di altre specialità sono in prima linea nella diagnosi e nel trattamento della psoriasi. Presso la Clinica da me diretta, c’è, ad esempio, una stretta collaborazione con i colleghi della Clinica Reumatologica e del Dipartimento di Diagnostica per Immagini dell’Università di Roma Tor Vergata.
Quali le sue esperienze in campo Internazionale?
Sono membro di molti Board Internazionali, dell’International Psoriasis Council e del Board Europeo per le Linee Guida sull Psoriasi, recentemente pubblicate. Sono stato relatore a centinaia di Conferenze sia in Italia che all’Estero e autore di più di 200 pubblicazioni scientifiche.
Autore: Redazione FNOMCeO