Consiglio di Stato Sentenza n. 1382/17 – Regime autorizzatorio studi medici – Il Collegio ha rilevato che sembra pacifico sulla base della legislazione statale e regionale che: a) lo studio medico non attrezzato per la chirurgia non necessita di alcuna autorizzazione; b) lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche necessita dell’autorizzazione all’esercizio; c) l’ambulatorio necessita dell’autorizzazione alla realizzazione prima e dell’autorizzazione all’esercizio dopo. La normativa regionale è chiara nell’indicare la compatibilità fra lo “studio medico” e l’erogazione di prestazioni chirurgiche, escludendo – a differenza degli ambulatori – la necessità di autorizzazione alla “realizzazione”, ma prevedendo come necessaria – a differenza del semplice “studio medico” – l’autorizzazione all’esercizio, sostituibile, nelle more del rilascio, dalla dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà relativa al possesso dei requisiti.
FATTO E DIRITTO: Il dott. C. P., in data 18 luglio 2007, presentava al Comune di Roma istanza di autorizzazione all’apertura di uno studio medico attrezzato per erogare prestazioni chirurgiche in campo dermatologico, flebologico ed estetico, corredata dalla documentazione prescritta dalla legge regionale n. 4 del 2003 e dal regolamento di attuazione n. 2/2007; istanza poi trasmessa dal comune, in data 31 agosto 2007, “per il seguito di competenza”, alla Regione Lazio, la quale rimaneva silente. A seguito di un controllo dei NAS dei Carabinieri, nel 2010, la struttura veniva tuttavia sottoposta a sequestro preventivo in quanto asseritamente sprovvista della necessaria autorizzazione. La Corte di Cassazione si pronunciava con sentenza n.1259 del 18 novembre 2010 con la quale annullava l’ordinanza del Tribunale della Libertà ed ordinava la restituzione del bene all’avente diritto, sul presupposto che “in base al chiaro disposto dell’art. 5 comma 1 bis cit…in attesa del controllo e degli accertamenti tecnici che competono alla Regione, l’autocertificazione deve considerarsi equipollente alla formale autorizzazione”. Il 7 aprile 2015, il dott. C. riceveva dal Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute di Roma un invito a presentarsi per essere escusso a sommarie informazioni, in quanto (nuovamente) indagato per il reato di cui all’ art. 193 del testo unico leggi sanitarie, perché, in concorso con altri, “apriva e manteneva senza la prescritta autorizzazione regionale, un centro clinico di chirurgia ambulatoriale…”.Nelle more, in data 30 giugno 2015, lo studio medico veniva sottoposto nuovamente ad accertamento da parte dei Nas di Roma, ed in seguito a ciò, il Dipartimento Politiche Sociali Sussidiarietà e Salute di Roma Capitale, con nota in data 21 luglio 2015, prot. n.56026, contestata l’assenza della necessaria autorizzazione regionale in capo al ricorrente, comunicava l’avvio del procedimento finalizzato a disporre la cessazione e la chiusura della struttura, procedimento poi conclusosi con provvedimento dell’11 settembre 2015.Tale ultimo provvedimento veniva impugnato con motivi aggiunti dal dott. C.. Il Tar, con la sentenza gravata, ha preliminarmente ricostruito il quadro normativo, dando atto che, a mente del comma 1-bis dell’art. 5, “i soggetti titolari delle strutture di cui all’articolo 4, comma 2, nelle more della verifica del possesso dei requisiti minimi di cui al comma 1, lettera a), del presente articolo con la procedura prevista dall’articolo 7, sono autorizzati all’esercizio dell’attività sulla base dell’invio alla Regione di atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui allo stesso comma 1, lettera a)” e poi osservato che “lo studio medico, per rimanere tale e non configurare un ambulatorio, o altra struttura, soggetti ad autorizzazione alla realizzazione, deve essere inscindibilmente legato all’attività professionale del soggetto titolare o dei titolari associati, con profilo prevalente di tale attività su quello organizzativo e conseguenti effetti anche sul piano della configurazione della struttura (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 2013, n. 6136; Cass. Civ., sez. II, 19 marzo 2010, n.6719)” . La normativa regionale sarebbe chiara nell’indicare la compatibilità fra lo “studio medico” e l’erogazione di prestazioni chirurgiche, escludendo – a differenza degli ambulatori – la necessità di autorizzazione alla “realizzazione”, ma prevedendo come necessaria – a differenza del semplice “studio medico” – l’autorizzazione all’esercizio, sostituibile, nelle more del rilascio, dalla dichiarazione sostitutiva ex art. 5 comma 1 bis. Sostenere, come da ultimo avrebbe fatto la Regione con d.G.R. n. 447/2015, l’equiparabilità, ai fini autorizzativi, dello “studio medico attrezzato per le prestazioni chirurgiche” all’ “ambulatorio”, significherebbe – secondo l’appellante – operare una sostanziale abrogazione dell’art. 4, comma 2, cit. L.R.4/2003. La Sezione, con la recente sentenza n. 23/2017, ha chiarito, operando una compiuta ricognizione anche in chiave storica del quadro normativo rilevante, che nel sistema autorizzatorio basato sull’art. 193 del T.U.LL.SS., gli studi medici – individuati come tali in base alla mancanza di un’organizzazione distinta dalla figura del medico, o quanto meno dalla assoluta prevalenza dell’elemento professionale rispetto a quello organizzativo – erano esentati dalla necessità di essere autorizzati, indipendentemente dal tipo di attività che svolgevano. Un dato, dunque, sembra pacifico sulla base della legislazione statale e regionale (che la riproduce): a) lo studio medico non attrezzato per la chirurgia, non necessita di alcuna autorizzazione; b) lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche necessita dell’autorizzazione all’esercizio; c) l’ambulatorio necessita dell’autorizzazione alla realizzazione prima e dell’autorizzazione all’esercizio dopo. Lo studio medico attrezzato per l’esecuzione di prestazioni chirurgiche, di cui alla lett. a), può svolgere attività sulla base di un atto di notorietà. L’art. 2 bis del Reg. reg. 26/01/2007, n. 2 – aggiunto dall’art. 2, Reg. 22 giugno 2009, n. 10 – ha, più nel dettaglio, chiarito che “i soggetti di cui all’art. 5, comma 1-bis, della L.R. n. 4/2003 inoltrano alla direzione regionale competente, in triplice copia e a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, l’atto di notorietà concernente il possesso dei requisiti minimi di cui all’art. 5, comma 1, lettera a), della L.R. n. 4/2003, unitamente alla documentazione indicata al comma 2. Decorsi quarantacinque giorni dalla data di ricezione da parte della direzione regionale competente dell’atto di notorietà e della documentazione, e previa comunicazione, essi possono provvisoriamente intraprendere l’attività, fermo restando quanto previsto nei successivi articoli”. . Deve dunque ritenersi, sino a diverso pronunciamento della Regione, che il dott. C. abbia valido titolo per l’esercizio della struttura della quale è titolare, e che il titolo sia, in particolare, individuabile nel perfezionamento della complessa fattispecie abilitativa specificatamente prevista dalla legge e consistente nella presentazione della domanda di autorizzazione all’esercizio, seguita dall’atto di notorietà attestante il possesso dei requisiti. Il provvedimento comunale, intervenuto prima ed a prescindere dall’accertamento della Regione, è conseguentemente illegittimo)