Caro Saverio, Carissimo amico mio,
non riesco ancora a credere che tu non sia più qui tra noi. Continuo a ripetermelo in un ritornello ossessivo che però la mia mente rifiuta ascoltare. La voglia, fortissima, è quella di spegnere la realtà intorno a me, scolorirla, allontanarla, impedirgli a tutti i costi di entrare dentro opponendogli un irragionevole e lunghissimo no.
Non riesco a credere che tu, che hai partecipato con successo a tante delle nostre battaglie, abbia infine riposto le armi contro il più subdolo e disonesto degli avversari che ti ha stretto in un assedio a cui per anni hai valorosamente resistito.
Ma, come avviene per i più grandi, tu sei riuscito a comprendere la differenza che c’è tra tenacia e ostinazione, tra debolezza e accettazione.
Io, al contrario, con l’accettazione devo fare ancora i conti.
Venerdì, come certamente sai, li non c’ero. Come insegna la psicologia, è probabile che nulla avvenga per caso. Sì, è vero, situazioni indifferibili, unite a quei ritardi su ritardi che ti fanno perdere per un niente l’ultimo aereo utile, mi hanno impedito di arrivare a Conegliano. Ma proprio quando, nonostante avessi provato fino all’ultimo, mi sono ritrovato battuto sul tempo, ho capito che dentro di me una parte si rifiutava di venire là dove il mio ruolo istituzionale e politico mi avrebbe voluto.
Ma tu, prima ancora di essere un compagno di battaglie, un componente della CAO per nove anni, un componente del Comitato Centrale che ha lasciato il segno, sei mio amico. E come amico non avrei mai potuto partecipare a qualcosa che, quella stessa voce che urla dentro di me un no così forte, insinuava essere solo una mia fredda passerella, dove l’esserti amico avrebbe potuto passare in secondo piano rispetto alla parata di autorità che ti rendevano il giusto tributo.
Allora ti scrivo da qui, magari sorseggiando un bicchiere di vino come tante volte abbiamo fatto insieme in serate di discussioni e di analisi. Qui dove il mio dolore per la tua perdita può sgorgare senza freno e soprattutto non partecipa alla gara dell’amico più amico del caro estinto, alla quale io non volevo partecipare e tu stesso detestavi.
E proprio mentre ricordo le cose che tu non amavi capisco che il dolore e le lacrime devono lasciare il posto al ringraziamento per quello che hai dato. Per quello che mi hai dato.
Prima di tutto il rispetto degli impegni assunti, l’onorarli sempre anche quando sarebbe facile e giustificato metterli da parte: risento insistentemente il tuo non puoi lasciare! Contro ogni conformismo o finta ragione contraria – ricordi? – anche nelle giornate strazianti, anche in questa giornata straziante!
Tanti, troppi, sono i ricordi che affiorano, ricordi istituzionali, quando seduti fianco a fianco, tu con il tuo atteggiamento disincantato, fintamente distratto, mi dicevi ” stai attento, vedi che …………………”.
E poi quel tuo impegno deciso, quasi premonitore, sul progetto di prevenzione del Carcinoma del Cavo Orale, che volevi diventasse un obiettivo prioritario nella formazione obbligatoria.
E poi, e poi ….
Ma quello che mi tengo più stretto sono i piccoli ricordi personali, le chiacchierate confidenziali e l’abbraccio dopo i tanti, troppi mesi di forzose e fredde comunicazioni attraverso sms e telegrafici dialoghi telefonici.
Poi quella promessa mancata, un rimpianto fortissimo per me, di non essere riuscito a venire al mare da me …
Ma adesso ti voglio immaginare così, con il tuo loden blu e con la mano sul mento, che ironizzi su noi quaggiù, che ci affanniamo per le solite cose, così fondamentali mentre non contano quasi nulla. Ed è da lì che, lo so, mi potrai sentire mentre ti urlo il mio “ciao amico, grazie!”
Pippo
Autore: Redazione FNOMCeO