Report: crisi, pensione e salute mentale

Report n. 28/2010    

CRISI, PENSIONE E SALUTE MENTALE

Vivere senza dover lavorare! A chi non piacerebbe? Ma attenti a non desiderarlo troppo. Un recente studio ha infatti dimostrato che chi raggiunge questo traguardo soffre di un sostanziale deterioramento della propria capacità cognitiva.

Una delle rivendicazioni più acclamate dalla società moderna è la garanzia, offerta a coloro che raggiungono una certa età, di poter contare su di un ragionevole livello di entrate senza la necessità di dover lavorare. Di conseguenza, quello che per qualcuno è un sogno, per altri rappresenta un diritto garantito per legge.

Da questo punto di vista, i Paesi più ricchi dell’Occidente hanno vissuto una vera rivoluzione. Per oltre un secolo, negli Stati Uniti e in Europa, si è verificato un calo costante della partecipazione nel mercato del lavoro da parte di uomini con più di 65 anni. Ad esempio, a fine Ottocento negli Stati Uniti, il 75% della popolazione maschile con più di 65 anni ancora lavorava. Intorno al 1990, questa percentuale si era ridotta al 16%. E le stesse tendenze si ripetono in Europa. Un’altra tendenza molto diffusa fino a poco tempo fa era la pressione esercitata verso la diminuzione dell’età pensionabile.

Nella tribolata Grecia, ad esempio, si tratta di 61 anni. In Germania è invece 67, il che spiega in parte la reticenza dei tedeschi a sussidiare il salvataggio finanziario della Grecia con le proprie tasse. La crisi finanziaria mondiale costringerà una variazione di queste tendenze. Per molti Paesi, come ad esempio la Grecia, non aumentare l’età pensionabile diventerà economicamente insostenibile. La sorpresa sta nel fatto che uno degli effetti non previsti di queste inevitabili decisioni potrebbe essere il miglioramento della capacità cognitiva della popolazione con più di 60 anni.

Si tratta di uno dei risultati evidenziati nella ricerca appena pubblicata sul Journal of Economic Literature da Susan Rohwedder della Rand e Robert Willis dell’Università del Michigan. I due esperti hanno applicato un formidabile studio analitico e statistico per cercare di capire se la comune credenza che “il muscolo che non si usa si atrofizza” possa essere applicata anche al cervello, sebbene non si tratti di un muscolo. Lo studio inizia con l’affermare che non esiste evidenza scientifica che confermi che l’esecuzione giornaliera di “esercizi mentali” come cruciverba, sudoku, puzzle, giochi di carte o videogiochi e altre attività simili possa evitare la riduzione della capacità cognitiva che si verifica con l’invecchiamento. Il lavoro, invece, si.

Gli autori giungono a queste conclusioni sulla base dell’analisi di dati statistici e dei risultati di test psicologici effettuati su un campione di individui con più di 60 anni negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in altri 11 Paesi Europei. Si riscontra, per esempio, che nei Paesi dove gli uomini lavorano fino a un’età superiore, i risultati dei test cognitivi sono sostanzialmente migliori dei Paesi in cui i lavoratori possono andare in pensione a un’età inferiore. Nei Paesi dove l’età di pensionamento è più alta, come è il caso di Stati Uniti, Danimarca, Svezia o Svizzera, i risultati della performance cognitiva sono il doppio di quelli ottenuti in Paesi come Francia, Austria, Belgio e Olanda, dove si va in pensione prima. Italia e Spagna occupano una posizione intermedia tra questi due estremi.

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO.

Roma 15/03/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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