Report: ma quanto costano i figli?

Report n. 34/2010    

MA QUANTO COSTANO I FIGLI?

Avere un figlio è un lusso che non tutti possono permettersi. In Italia più che altrove. Lo dicono i dati del Centro Internazionale Studi Famiglia (Cisf). Lo studio è stato realizzato sulla base di 4.000 interviste su un campione statisticamente rappresentativo delle famiglie italiane.

Il tema dell’indagine presentata dal Cisf, è il costo dei figli, affrontato come costo della famiglia, non concepito in termini meramente economici, ma in un quadro di scelte culturali, sociali e politiche. Dalla ricca serie di dati quantitativi e qualitativi del Rapporto Cisf 2009 si possono evidenziare diversi punti di attenzione, organizzati attorno a tre nodi essenziali: la situazione attuale, il costo reale dei figli, le sfide per un nuovo welfare relazionale.

Nel nostro Paese i dati dimostrano che da oltre trent’anni il comportamento riproduttivo della popolazione italiana non giunge ad assicurare il ricambio tra genitori e figli; il tasso di fecondità totale è attualmente pari a 1,41 e deriva dalla media tra 1,33 figli per donna relativi alla popolazione italiana e 2,12 attribuiti alla componente straniera. Eppure esiste una grande distanza fra il numero medio dei figli avuti dagli intervistati, pari a 1,71, e il numero medio dei figli desiderati, pari a 2,13.

Questa situazione è determinata anche dalla difficoltà, per le famiglie, di mettere in campo diverse risorse per la sfida della cura dei figli, attorno a tre nodi fondamentali:

  • una disponibilità economica sufficiente a garantire l’incremento delle spese che una famiglia deve sostenere con l’arrivo dei figli;
  • il tempo su cui i genitori possono contare per occuparsi direttamente della cura;
  • la presenza di una rete di servizi che possano affiancare la famiglia nel compito di cura.

Si spiega così anche il fatto che le famiglie con figli in Italia siano diventate meno del 50% delle famiglie. Dai dati Istat emerge come non tutte le famiglie con figli siano in grado di garantire il mantenimento di uno standard di vita ritenuto “accettabile”. Il rischio di collocarsi sotto questo standard, e quindi di vivere in condizioni di “povertà assoluta”, aumenta al crescere del numero di figli.

In particolare si osserva un evidente aumento del rischio per le famiglie numerose: quando nella famiglia sono presenti almeno tre figli l’incidenza di povertà assoluta è doppia (8,0%) rispetto a quella calcolata per il complesso delle famiglie italiane (4,1%) e tripla rispetto a quella stimata per le coppie con un solo figlio (2,6%). La popolazione italiana sopravvive decentemente proprio perché rinuncia ad avere figli.

Ma che cosa si intende per costo dei figli? Nel Rapporto Cisf viene definito e misurato il costo di mantenimento (spesa per i soli beni necessari, quali casa, vitto, vestiario), il costo di accrescimento, che misura l’esborso reale per i figli, il costo totale di accrescimento, dato dal costo di accrescimento più il valore del tempo dedicato alla cura dei figli, che raramente i genitori conteggiano esplicitamente, ma che sicuramente viene “valutato” per decidere se fare un un figlio o meno.

Dai dati risulta che:

  • la spesa media mensile per i figli a carico è il 35,3% della spesa familiare totale;
  • il costo mensile di mantenimento del bambino (i soli beni indispensabili) in termini assoluti per la classe di età 0-5 anni è uguale a 317 euro e corrisponde ad un costo di mantenimento per figlio di circa 3.800 euro annui;
  • in media il costo di accrescimento di un figlio (che comprende il costo di mantenimento) è di 798 euro al mese. In media le famiglie benestanti spendono per i figli circa l’83% in più delle famiglie povere. Siamo oltre i 9.000 euro annui di costo di accrescimento per il figlio.

Rispetto all’equità fiscale verso la famiglia, lo Stato italiano non solo non riconosce i costi sostenuti dalla famiglia, ma penalizza la famiglia che ha figli, e la penalizza quanti più figli ha. Inoltre la spesa sociale a favore della famiglia e bambini è in Italia solo all’1,1% del PIL (dati 2005), rispetto al 2,5% della Francia e il 3,2% della Germania.

Poiché un punto di PIL italiano vale 15,7 miliardi di euro (2008), colmare il divario rispetto alla Francia comporta una riallocazione di spesa pari a 22 miliardi di euro, che rappresenta una cifra impegnativa ma “possibile”, con un elevato rendimento sociale. Urge una politica, non solo delle istituzioni pubbliche, ma anche di quelle private, che
sia orientata ai figli. Occorre quindi un nuovo “welfare relazionale” per i figli, impostare cioè le politiche pubbliche con un concetto relazionale, cioè generativo, delle nuove generazioni. Tutta la società, non solo lo Stato, deve farsi carico di un equilibrato ricambio generazionale, che includa gli immigrati, e sia generativo delle nuove generazioni.

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO

Roma, 29/03/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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