Report: maternità ed occupazione

Report n. 33/2010    

MATERNITA’ ED OCCUPAZIONE

Due recenti indagini hanno messo in chiara evidenza il rapporto tra maternità e occupazione. Si tratta del Rapporto Manageritalia secondo cui un terzo delle donne italiane occupate abbandona il lavoro dopo la maternità e dei dati forniti dalla Direzione Generale per l’attività ispettiva del Ministero del Welfare: 17.676 risultano essere le dimissioni per maternità presentate in Italia nel 2009.

Dunque ai problemi derivanti dall’arrivo del figlio e della sua corretta integrazione nella vita famigliare, si aggiungono quelli di un mondo del lavoro che non aiuta a riprendere al meglio il ruolo professionale. Spesso così si lascia il lavoro per la materiale inconciliabilità dei due ruoli. La maternità continua – secondo il Rapporto – ad essere uno dei fattori più critici per le donne che lavorano. Oggi in Italia se prima della nascita del figlio lavorano 59 donne su 100, dopo la maternità ne continuano a lavorare solo 43 (ISFOL 2009), con un tasso di abbandono pari al 27,1%.

Nel 90% dei casi la motivazione principale dell’abbandono del lavoro è legato alle esigenze di cura dei figli, anche perché – continua il Rapporto Manager Italia – molto spesso il rientro in azienda o in ufficio dopo la maternità, costituisce un momento particolarmente critico del rapporto impresa – dipendente con il rischio di una eventuale mobbizzazione se non una definitiva induzione a lasciare il lavoro.

  • La situazione in Europa

Il tasso di occupazione femminile in Italia nel 2009 ò stato pari al 46,1%, ben 12,5 punti percentuali inferiore a quello della media dei 27 Paesi dell’Unione Europea (58,7%) con differenze rilevanti tra Sud (30,8%), Centro (51,0%) e Nord (56,2%).
In Olanda e in Francia l’avere uno o 2 figli, lascia pressocchè invariato il tasso di occupazione femminile, mentre in Italia determina un calo dell’occupazione del 6,8% nel caso di un figlio e addirittura del 15,7% nel caso di 2 figli.
Questo fenomeno determina, come diretta conseguenza, che nel nostro Paese il numero di famiglie dove lavorano solo l’uomo, sia molto più alto (37,2%) rispetto alla media Europea (24,9%).
Spesso poi la maternità se non porta all’abbandono del lavoro, lo rende più difficile e spesso con conseguenze negative sulla carriera.

Sul problema abbiamo voluto sentire il parere di alcune donne medico e odontoiatra e capire l’entità e le modalità del fenomeno nel mondo della dipendenza e nel settore libero professionale.

Abbiamo interpellato:

1. Dr.ssa Roberta Chersevani – Presidente OMCeO Gorizia ( Radiologa )
2. Dr.ssa Patrizia Biancucci – ( Odontoiatra ) – Torino
3. Dr.ssa Rìta Nonnis – Chirurgo ( medico dipendente Università) – Sassari
4. Dr.ssa Anna Maria Calcagni – Presidente OMCeO Fermo

1. Dr.ssa ROBERTA CHERSEVANI:
Non ho dati oggettivi sull’abbandono del lavoro da parte delle donne medico dopo la maternità. Penso tuttavia che un mestiere così totalizzante non consenta di prendere in considerazione l’abbandono della professione, tranne che in situazioni di particolare gravità.
Mi preoccupa piuttosto la grande fatica sostenuta dalle colleghe per mantenere adeguati livelli di professionalità e per seguire adeguatamente figli e famiglia (non ultimo il possibile problema dell’accudimento di genitori anziani).
Mi preoccupa il numero di donne medico senza figli o single.
Ci sono sicuramente dei dati in merito che non ho potuto recuperare.
Parlando del problema, qualcuno mi ha detto che le giovani donne medico stanno cominciando a fare figli durante il periodo dedicato alla specializzazione: ben venga tutto ciò.

2. Dr.ssa PATRIZIA BIANCUCCI:
In Italia, la conciliazione tra tempi di lavoro e di vita è ancora una questione annosa, soprattutto per le donne. L’abbandono del posto è legato anche alla difficoltà nel trovare servizi adeguati all’infanzia e all’assenza di nonni disponibili a fare da baby sitter. Non a caso, la probabilità di lasciare si dimezza nelle Regioni in cui c’è maggiore disponibilità di asili nido pubblici: l’Emilia Romagna infatti offre un numero di asili nido tale da raggiungere quasi gli obiettivi europei, mentre la Campania è tra le Regioni con il più basso numero dei posti offerti. Questo evidenzia ancora una volta come politiche adeguate, complessive, strutturali e non “una tantum”, possano aiutare partecipazione delle donne al mercato del lavoro e maternità a crescere insieme, anche in anni difficili come questi.

3. Dr.ssa RITA NONNIS:
La legge di tutela delle lavoratrici madri, ha preservato le donne dipendenti da molti disagi e conseguenze negative a seguito della loro maternità. Tuttavia non ha eliminato alcuni retaggi culturali e problemi reali che persistono sulle donne che lavorano e che non risparmiano neanche le donne medico.
In ambito medico, specie ospedaliero, la gravidanza viene spesso vissuta con un senso di colpa perché crea “disservizio”. Le donne, soprattutto in certe specialità quali radiologia, anestesia e chirurgia, vengono allontanate subito dal lavoro, anche in caso di gravidanza fisiologica, perché altrimenti non si ha la sostituzione. Quasi che la gravidanza fosse una malattia.
Le donne, specie nei reparti chirurgici, rientrano precocemente al lavoro perché rimanere troppo a lungo fuori dall’attività può comportare una esclusione che diventa poi difficile recuperare. La maternità , in ambito medico, è vista come antitesi alla carriera. Ed è questo uno dei motivi per cui le giovani donne medico ci rinunciano. La situazione è, se vogliamo, ancora più difficile per le libere professioniste che tendono a lavorare fino all’ultimo giorno e a rientrare precocemente al lavoro perché non vi è tutela economica che le consenta di prolungare l’assenza, spesso con l’inosservanza delle norme di tutela.
Dunque la maternità condiziona molto l’attività delle donne medico, e non sempre in modo positivo.

4. Dr.ssa ANNA MARIA CALCAGNI:
Lavoro e maternità in Italia sono più conciliabili che in qualsiasi altro Paese europeo, compresi Spagna e Grecia. Una maglia nera che sconta anni di ritardi nelle politiche sociali e una legislazione poco attenta ai problemi quotidiani delle mamme che lavorano.
Una tendenza che purtroppo, complice la crisi, non accenna a migliorare. Basti pensare che il tasso di natalità in Italia nel 2009 ha registrato un ulteriore, sia pur modesto, peggioramento, passando dall’1,42 del 2008 all’1,41.
Se questo vale per la popolazione femminile in generale, il nodo è cruciale anche per le donne medico.
Alcuni fattori tipici della nostra professione certamente influiscono sul problema. Non si può negare che la lunghezza della formazione ( 6 anni la laurea più i 5 di specializzazione obbligatoria) porti ad innalzare l’età in cui le professioniste si affacciano al mondo del lavoro ( minimo 28 anni ) e di conseguenza spesso obbliga a procrastinare la scelta di fare figli. Ma ad influire su questa posizione, è soprattutto l’organizzazione del lavoro. E’ ormai sempre più diffuso anche nel nostro campo il ricorso, soprattutto nei primi anni di carriera, a contratti poco garantiti ( tempi determinati e co.co.co.) che non prevedono affatto o limitano il diritto alla maternità.
Un vulnus drammatico che si trovano ad affrontare anche le colleghe impegnate nella libera professione.
Nel caso dei CAMICI ROSA con regolare contratto dipendente che scelgono di entrare in maternità, si riscontra spesso una forte penalizzazione della carriera in particolar modo nelle branche chirurgiche e non sono infrequenti i casi di mobbing. Prova indiretta il fatto che le donne medico pur essendo ormai la maggioranza degli uomini, molto raramente raggiungono posizioni apicali, ad esempio i primari donna sono solo l’11,3% del totale.
Tutto ciò si riflette negativamente sulla famiglia e la scelta della maternità come emerge dai dati più recenti. Il 44% delle dottoresse “under 35” non sono sposate, così come non lo sono il 17% delle donne medico tra i 36 e i 50 anni, mentre gli uomini non sposati nella stessa fascia d’età sono pochissimi; quanto poi a quelle coniugate e con un figlio, risultano il 73,6% contro il 90,5% dei colleghi maschi, e la percentuale scende vertiginosamente al 45% per le donne con due figli, contro il 73,6% degli uomini. Anche l’occupazione di ruoli di vertice è condizionato: tra i dipendenti del Ssn si registra infatti solo l’11,3% di primari donna.
Un indice di natalità ancora più basso delle altre categorie che rende necessario e urgente proporre a vari livelli leggi di tutela e politiche di sostegno, a cominciare dagli asili nido.

Roma 26/03/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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