Report: stress professionale e comunicazione

Report n. 68/2010

STRESS PROFESSIONALE E COMUNICAZIONE

A distanza di tempo, il professor Ferdinando Pellegrino, psichiatra a Salerno, Consigliere nazionale SIMP , docente universitario, esperto del fenomeno burn – out (in inglese significa “bruciarsi”), avendo sulla materia scritto molti libri e pubblicato articoli scientifici particolarmente significativi, attivamente impegnato con eventi ECM focalizzati sugli aspetti “emozionali” della professione medica, torna a far parlare di sé con un’interessante articolo pubblicato sulla rivista “Medici oggi”.

Viene messo in risalto quanto lo stress lavorativo può in molti casi rendere difficoltosa la gestione del rapporto con i pazienti; soprattutto quando si è vittime del burn – out occorre un ripensamento delle proprie modalità lavorative e organizzative e può essere utile seguire uno specifico percorso di fitness cognitivo – emotivo.

La comunicazione ha sempre avuto un ruolo fondamentale, nella professione medica, ma negli ultimi anni ha subito profondi cambiamenti. Questi sono stati causati da un nuovo clima culturale frutto del progresso della disciplina e dall’emergere di problematiche un tempo inesistenti, dalle trasformazioni sociali che hanno determinato da parte dei cittadini nuove modalità di approccio nella richiesta di interventi sanitari, da innovazioni legislative improntate sempre di più a favorire nel paziente una piena consapevolezza del proprio stato di malattia e delle possibilità terapeutiche.

Questi cambiamenti possono essere occasione per il medico di rinnovamento e di stimolo ad acquisire maggiori e specifiche competenze, ma anche motivo di crisi: qualsiasi trasformazione è infatti fonte di stress e richiede un processo di adattamento non sempre privo di sofferenza e fatica.

L’assetto emotivo del medico condiziona in modo determinante la natura del suo rapporto con il paziente; una sua sofferenza in termini di stress lavorativo o burn-out si riflette inevitabilmente su chi ha di fronte, con atteggiamenti cognitivi, emotivi e comportamentali che condizionano negativamente l’instaurarsi e l’evolversi di qualsiasi rapporto di fiducia, come cinismo, irritabilità, rabbia, stanchezza, difficoltà a concentrarsi e ad ascoltare il paziente, pessimismo rispetto alla patologia.

Spesso il distacco emotivo e la mancanza di empatia rappresentano le conseguenze più dirette di una cattiva gestione delle proprie valenze emotive. Le difficoltà del rapporto tra medico e paziente nascono spesso da incomprensioni comunicative frapposte da movimenti emozionali non riconosciuti o sottostimati; la scarsa o nulla formazione in tale ambito e la mancanza di attenzione nei riguardi del proprio mondo emotivo rendono l’operatore più vulnerabile allo sviluppo di condizioni di stress lavorativo, con inevitabili conseguenze sul rapporto con il paziente.

Prima ancora che con le parole, il medico parla tramite se stesso, con il suo modo di essere e di agire, con la sua capacità di ispirare fiducia e di trasmettere ottimismo e speranza; la comunicazione preverbale è naturale, immediata e istintiva, nasce dal profondo dell’animo, rappresenta la premessa che regola in modo sostanziale le relazioni umane e rispecchia i vissuti emotivi dell’operatore.

  • La sindrome del burn-out

Il burn-out può essere concepito come una sorta di transazione; un patto che facciamo con noi stessi quando non riusciamo a reggere i ritmi della vita quotidiana, quando non siamo in grado di sostenere le richieste che provengono dall’ambiente esterno (sovraccarico lavorativo, svolgimento di compiti non appropriati, ecc) o dal nostro intimo
(ambizioni eccessive, obiettivi non realistici, ecc).
Se non riusciamo a dare risposte esaustive a quanto ci viene chiesto, di solito ci difendiamo, facciamo una transazione con noi stessi, ci sforziamo in ogni caso di reggere
rispetto alla realtà quotidiana e alle responsabilità che abbiamo, con grosse difficoltà e cercando di non compromettere eccessivamente la performance.
Si può quindi iniziare a definire il burn-out come il risultato di un’inadeguata gestione dello stress individuale eccessivo, una condizione di disadattamento, nata da un processo transazionale, che rappresenta una soluzione di accomodamento o di compromesso, con la propria coscienza di fronte a situazioni di lavoro non altrimenti gestibili .
Si tratta cioè di un processo nel quale un professionista precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentati sul lavoro che è caratterizzato da esaurimento emotivo, depersonalizzazione, e ridotta realizzazione personale.
Nel caso specifico del medico, il burn-out può essere discusso in termini di delusione, fatica, disillusione, disperazione e impotenza causate dal contrasto tra il sincero desiderio di aiutare gli altri e i limiti e le richieste strutturali dei servizi sociali, ed è considerato come l’ultimo passo di una progressione di tentativi senza successo per far fronte a una serie di condizioni negative o stressanti.
Il significato quindi della reazione da stress lavorativo può in definitiva essere rappresentata come lo spegnersi della motivazione lavorativa: l’operatore che inizialmente nutriva entusiasmo e rispetto per la propria professione, a un certo punto non riesce più a reggere i ritmi e tende a spegnersi progressivamente, come una candela.

  • La formazione del medico nella nuova Sanità

Al professionista di oggi la società chiede qualcosa in più rispetto al passato; in particolare, l’introduzione in ogni settore lavorativo di metodologie di gestione aziendale sta rivoluzionando l’intero assetto organizzativo e spinge l’individuo ad assumere un atteggiamento innovativo nei confronti del proprio operato, in ragione della necessità di raggiungere una migliore efficienza in rapporto alle risorse disponibili.
Oggi viene richiesta flessibilità, competenza e maggiore professionalità, quali esiti di una formazione alla professione più globale che comprende aspetti tecnici, psicologici e manageriali.
Queste problematiche investono il medico a livello sia personale sia professionale.
Norme legislative, carico di lavoro, tipologia di utenza, responsabilità professionali, rendono il lavoro sempre più difficile e fonte di tensione. Nel passato una laurea era il
passaporto per il futuro professionale, oggi rappresenta il punto di partenza, non il solo, di un percorso formativo continuo, che si sviluppa secondo modelli consolidati e attraverso lo sviluppo di modalità di autoapprendimento che prevedono tappe ben definite e pianificate.
Senza nulla togliere alle responsabilità delle strutture organizzative del mondo del lavoro, argomento che richiede una trattazione a parte, l’approccio della moderna psicologia individua tra le principali cause di demotivazione lavorativa un inefficace investimento del singolo individuo rispetto alla propria formazione, rispetto alla capacità di coltivare in
proprio le specifiche competenze che possono aiutarlo a definirsi in modo autonomo, come libero professionista o all’interno delle organizzazioni.
Evidentemente occorre acquisire una nuova consapevolezza e intraprendere nuovi percorsi formativi in linea con i modelli della psicologia del positivo, modelli che hanno portato all’individuazione delle “caratteristiche delle persone vincenti”, alla scoperta della resilienza, alla definizione del senso di autoefficacia percepita, alla comprensione dell’importanza dell’intelligenza emotiva, dell’ottimismo, della creatività, dell’autostima, alla valorizzazione dell’esperienza del “libero flusso”, o flow.
Tradotti in termini pratici, questi concetti, che sostengono le potenzialità espressive della personalità matura, sono alla base del knowledge worker o “lavoratore della conoscenza”, persona che gestisce informazioni, idee e abilità.
L’autoefficacia personale esprime la grande potenzialità della mente umana di rappresentare se stessa in modo coerente, in un dinamismo continuo e positivo, in grado
di rendere l’individuo resiliente e capace di progettare con forza il proprio futuro.
La forza dell’individuo è nella mente umana e qualsiasi processo formativo non si limita a progetti di contenzione del disagio psichico, come la sindrome del burn-out, ma all’implementazione dell’efficacia personale, fattore motivante e determinante per la propria professionalità.

  • Il fitness cognitivo-emotivo

Nell’ambito di attività formative che hanno coinvolto dal 2004 a oggi oltre 3000 operatori sanitari (medici di Medicina generale e di altre aree specialistiche, oltre a infermieri) è stata effettuata una ricerca attraverso la somministrazione del Tae (Test delle abilità emotive, e del Tdp (Test di soddisfazione professionale). Le modalità di apprendimento sono state realizzate in piccoli gruppi di lavoro per favorire un contatto diretto con il docente-supervisore (psichiatra o psicologo) e una migliore espressività delle proprie esigenze.
Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che la maggior parte degli operatori intervistati è soddisfatta della propria attività professionale e possiede delle ottime abilità emotive, un dato positivo che riflette lo sforzo degli operatori nel sostenere l’impegno professionale quotidiano. Vi è una diretta correlazione tra il grado di soddisfazione professionale e lo sviluppo individuale di abilità emotive che appaiono come un fattore protettivo rispetto alle condizioni di stress lavorativo.
La ricerca evidenzia infatti l’impatto negativo dello stress lavorativo – spesso correlato anche a disfunzionalità organizzative – sulla qualità della vita dell’operatore e, di riflesso, sulla sua efficacia professionale, generando un atteggiamento di inerzia rispetto a proposte di cambiamento e innovazione.
Nonostante la presenza di ottime abilità emotive negli operatori intervistati, si contrappone in essi un livello di consapevolezza inadeguato rispetto alle proprie competenze psicologiche che non vengono utilizzate in modo appropriato.
Pervade un senso generale di impotenza rispetto a cambiamenti positivi e la presenza di un buon grado di soddisfazione lavorativa non appare in sé sufficiente a contenere l’emergere di situazioni di disagio come la sindrome del burn-out.
Per tali motivi l’obiettivo fondamentale dei lavori di gruppo è stato quello di focalizzare gli sforzi formativi sull’addestramento all’autonomia che comporta l’abilità a esprimere più liberamente le emozioni, ad affrontare lo stress con maggiore efficacia e autonomia e a contare di più sulle proprie forze. I risultati conseguiti sono incoraggianti e l’analisi delle dinamiche psicologiche emerse da questa esperienza ha confermato l’importanza di percorsi formativi da realizzare in piccoli gruppi in cui è forte l’interazione tra i partecipanti e il conduttore del gruppo.
La programmazione – all’interno delle aziende sanitarie – di gruppi esperienziali finalizzati alla valorizzazione delle competenze psicologiche – trasversali a ogni specialità o professionalità – appare pertanto una metodica importante per l’efficacia umana e professionale degli operatori.

Roma 01/07/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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