• Home
  • Sentenze
  • Responsabilità civile per tardiva diagnosi di carcinoma maligno all’utero. Corte di Cassazione Civile

Responsabilità civile per tardiva diagnosi di carcinoma maligno all’utero. Corte di Cassazione Civile

Cassazione Civile Responsabilità civile per tardiva diagnosi di carcinoma maligno all’utero – La Corte di Cassazione ha affermato che in tema di qualificazione giuridica dei rapporti tra paziente e strutture sanitarie quest’ultime sono responsabili ai sensi dell’art. 1228 c.c.. (responsabilità in via solidale a carico del centro clinico e del medico professionista). Pertanto l’indiscutibile collegamento necessario esistente nella specie tra la prestazione compiuta dal medico e l’organizzazione aziendale rende pertanto irrilevante la circostanza che questi sia stato scelto dal paziente nell’ambito di un autonomo rapporto contrattuale di tipo professionale. Sentenza n. 11851/15

FATTO: Il tribunale di Venezia, accogliendo la domanda risarcitoria proposta da M.P. (in proprio e quale esercente potestà sul figlio minore C.) e da M.M., condannò P. L. e la società 3 C Centro Clinico Chimico a risarcire agli attori i danni non patrimoniali patiti, iure proprio e iure heraeditario, nella misura di 1 milione 816 Euro, in conseguenza della malattia e del successivo decesso di Z.N., rispettivamente moglie e madre dei M., affetta da un carcinoma maligno all’utero che, tempestivamente diagnosticato, avrebbe potuto essere adeguatamente curato, con conseguente elisione o quanto meno limitazione e differimento temporale dell’esito letale della malattia.

DIRITTO: La decisione della Corte di appello (f.13 della sentenza impugnata) evidenzia come i profili di negligenza imperizia e imprudenza ravvisati nella condotta del sanitario fossero nella specie individuabili, in consonanza con le conclusioni peritali, nella valutazione dei preparati colpo citologie allestiti sulla signora Z., onde la formulazione, guarito ai reperti allestiti nel 1990 e 1991, di una diagnosi sulla scorta di preparati di scarsa e inadeguata qualità, sui quali non era invece possibile avare certezza diagnostica, mentre, quanto ai preparati degli anni successivi, alla formulazione diagnostica sulla scorta di preparati inadeguati e di scarsa qualità si aggiunge anche la mancata esecuzione di approfondimenti, anch’essi diagnostici, pur indispensabili sulla scorta di quanto era comunque valutabile con riferimento a tali preparati. La Corte di appello, pertanto, diversamente da quanto opinato da parte ricorrente, ha fondato il proprio convincimento sulla base di una (accertata, reiterata e diacronica) condotta sicuramente commissiva del sanitario, cui sarebbe poi conseguita, quale inevitabile (quanto irrilevante, ai fini della correttezza della domanda introduttiva) post factum, l’omissione di ulteriori quanto doverose condotte. La prassi giudiziaria ha infatti attuato, anche se non sempre in modo dichiaratamente consapevole, una dilatazione degli originari ambiti concettuali del danno alla salute e di quello morale soggettivo, ricomprendendo nel primo (danno biologico in senso lato, nell’accezione indicata da Corte cost., n. 356 del 1991) tutti i riflessi negativi che la lesione della integrità psico-fisica normalmente comporta sul piano dell’esistenza della persona, inducendo un peggioramento della complessiva qualità della vita; e, nel secondo (o, alternativamente, nel primo, come prospettato anche nella sentenza in questa occasione gravata), tutte le rinunce collegate alle sofferenze provocate dal fatto lesivo costituente reato: queste ultime riguardate inoltre, non di rado, nella loro perdurante protrazione nel tempo e non già come patema d’animo o stato d’angoscia transeunte (secondo l’indicazione offerta da Corte cost., n. 321 del 1994). Le doglianze sono infondate, avendo la Corte territoriale fatto buon governo dei principi dettati, con ormai consolidata giurisprudenza, da questa Corte regolatrice in tema di qualificazione giuridica dei rapporti tra paziente e strutture sanitarie (tra cui i poliambulatori), comunemente ricondotti entro l’orbita applicativa dell’art. 1228 c.c., con specifico riguardo alla figura dell’ausiliario necessario (onde l’infondatezza del secondo motivo di doglianza). L’indiscutibile collegamento necessario esistente nella specie tra la prestazione compiuta dal medico e l’organizzazione aziendale rende pertanto irrilevante la circostanza che questi sia stato scelto dal paziente nell’ambito di un autonomo rapporto contrattuale di tipo professionale).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

Documenti allegati:

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.