Responsabilità medica

Cassazione Penale Sentenza n. 50038/17 – Responsabilità medica  – La Corte di Cassazione ha affermato che la cooperazione tra più sanitari, ancorché non svolta contestualmente, impone ad ogni sanitario oltre che il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, l’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità.

FATTO E DIRITTO: La Corte di Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno, che aveva condannato D.F.M., L.B.L., P.E. e Pe.St. per il reato di cui agli artt. 41, 110, 113 e 589 cod. pen. perché, mediante condotte indipendenti e/o in cooperazione colposa tra loro, avevano cagionato la morte del paziente F.G., dovuta a reazione emolitica acuta post-trasfusionale in conseguenza di trasfusione, eseguita il (OMISSIS), di due sacche di emazie concentrate non emocompatibili con il gruppo sanguigno del ricevente, per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché per colpa specifica consistita nella violazione delle linee guida raccomandate dal Ministero della Salute ai fini della prevenzione della reazione trasfusionale da incompatibilità ABO e adottate, altresì, nell’ambito dello specifico protocollo per la prevenzione degli errori trasfusionali (Delib. 14 febbraio 2008, n. 191) dall’Azienda Ospedaliera "(OMISSIS)". In particolare, D.F.M. aveva innescato il processo di utilizzazione di sacche ematiche destinate al paziente quale tecnico addetto al Servizio di Trasfusione che aveva consegnato all’infermiere del Reparto di Ortopedia le sacche destinate ad altro paziente con gruppo sanguigno incompatibile con quello della vittima; L.B.L. era il medico in servizio presso il Reparto di Ortopedia che non aveva controllato che il gruppo sanguigno del soggetto ricevente corrispondesse a quello della sacca consegnata; P.E. era il medico in servizio presso il Reparto di Ortopedia che aveva perpetrato l’errore commesso dal L.B. disponendo la somministrazione di un’ulteriore sacca; Pe.St. era il medico anestesista rianimatore che, intervenuto per una consulenza, non aveva approfondito le cause della crisi ipotensiva per la quale era stato chiesto il suo intervento. L’analisi dei motivi di ricorso non può prescindere da tre premesse: la prima concerne la diretta ed incontestabile efficienza causale, rispetto all’evento morte, che si deve attribuire all’errore nella trasfusione di sangue di gruppo RHA+ ad un paziente con gruppo RHO+; si tratta di un errore di gravità tale da essere stato considerato, in un caso in precedenza deciso dalla Corte di Cassazione (Sez. 5, n. 6870 del 27/01/1976, Nidini, Rv. 13381901), dotato di "esclusiva forza propria nella determinazione dell’evento" anche rispetto ad un precedente errore medico; la seconda riguarda il criterio logico-giuridico che il giudice di merito deve seguire per valutare l’efficienza causale di una condotta o di una omissione nell’ambito di un caso connotato dall’intreccio di plurime condotte od omissioni, essendo tenuto ad individuare il rischio innescato da ciascuna condotta od omissione, l’intervento o meno di fattori preponderanti od assorbenti, la proporzione del rischio innescato dal singolo rispetto all’evento; la terza inerisce al rilievo per cui, nel caso di cause colpose indipendenti, chi lede un bene come la vita non può fare affidamento sull’intervento salvifico di terzi. Nel caso di cause colpose indipendenti, chi lede un bene come la vita non può fare affidamento sull’intervento salvifico di terzi. Alla previsione dell’art. 41 c.p. , comma 1, è, infatti, correlato il principio secondo il quale non può invocare il principio di affidamento l’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. La Corte di Cassazione ha affermato che la cooperazione tra più sanitari, ancorché non svolta contestualmente, impone ad ogni sanitario oltre che il rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, l’osservanza degli obblighi derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico, senza che possa invocarsi il principio di affidamento da parte dell’agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché la sua responsabilità persiste in base al principio di equivalenza delle cause, salva l’affermazione dell’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che presenti il carattere di eccezionalità ed imprevedibilità. La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di P.E. e Pe.St. perché il reato è estinto per prescrizione).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

Documenti allegati:

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.