Responsabilità medica

Cassazione Civile Sentenza n. 11994/17 – Responsabilità medicaTrattamento dati personali dei pazienti – In una situazione in cui il sanitario e la struttura sanitaria, nell’ambito del rapporto curativo, avesse acquisito dati personali sullo stato di salute di un paziente il cui trattamento risultava indispensabile per la tutela dell’incolumità e della salute dei terzi o della collettività, in presenza di un’originaria autorizzazione dell’interessato a informare circa la vicenda curativa i suoi familiari e, quindi, al trattamento, si doveva non solo ritenere autorizzato a rivelare i dati ad essi, senza necessità di intervento del Garante, ma obbligato a farlo, con la conseguenza che un comportamento omissivo, dal quale fosse conseguita, in ragione della mancata conoscenza dei dati stessi, una lesione dell’integrità o della salute dei terzi o della collettività, risultava idoneo a cagionare danno ingiusto agli effetti dell’art. 2043 c.c.

FATTO E DIRITTO: L’Azienda Sanitaria Provinciale di Crotone ha proposto ricorso per cassazione contro (Omissis) e (Omissis) nella qualità di eredi di (Omissis) , nonché nei confronti della Compagnia di Assicurazione Unipol s.p.a. avverso la sentenza del 20 maggio 2014, con cui la Corte d’Appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Crotone nel febbraio del 2008, ha condannato essa ricorrente al risarcimento del danno nella misura di euro 13.053,71 oltre accessori, in accoglimento della domanda proposta nell’ottobre 2002 dal padre delle ricorrenti, (Omissis), cui le stesse erano succedute riassumendo il processo di appello a seguito del suo decesso. La domanda introdotta dal de cuius aveva ad oggetto il risarcimento dei danni che il medesimo asseriva di avere subito a seguito di contagio di HCV, che asseriva di aver contratto dalla moglie (Omissis), la quale, prima di decedere il 14 gennaio del 2002, era stata sottoposta negli ultimi anni di vita ad intense cure ed interventi di dialisi presso la struttura ospedaliera dell’ASL n. 5 di Crotone con trasfusioni infette che ne avevano provocato la morte. A fondamento della pretesa risarcitoria il (Omissis) lamentava che la struttura ospedaliera, pur risultando da un referto di analisi di analisi del 6 marzo 2000 che la (Omissis) era affetta dalla patologia, non gli aveva mai comunicato la circostanza, così impedendogli di adottare le necessarie cautele per sottrarsi al contagio. Il complesso delle norme delineate comporta, a parere del collegio, la indicazione di un comportamento doveroso imposto al sanitario, al quale è consentito di accantonare i doveri derivanti dal segreto professionale quando sia in grave pericolo la salute o la vita di altri, e quelli derivanti dal divieto di comunicazione dei dati ultrasensibili quando vi sia necessità di tutela dell’incolumità fisica e della salute dell’interessato e di terzi; conseguentemente la sentenza impugnata ha ritenuto che l’aver i sanitari dell’ASP di Crotone omesso di comunicare al (Omissis) la patologia, grave e contagiosa da cui era affetta la (Omissis), costituisce violazione di un obbligo generico di evitare il danno ed è pertanto fonte di responsabilità in confronto del soggetto colpito dall’evento che la disciplina è intesa ad evitare. La Corte di Cassazione ha affermato che  in una situazione in cui il sanitario e la struttura sanitaria, nell’ambito del rapporto curativo, avesse acquisito dati personali sullo stato di salute dell’interessato il cui trattamento risultava indispensabile per la tutela dell’incolumità e della salute dei terzi o della collettività, in presenza di un’originaria autorizzazione dell’interessato a informare circa la vicenda curativa i suoi familiari e, quindi, al trattamento, si doveva non solo ritenere autorizzato a rivelare i dati ad essi, senza necessità di intervento del Garante, ma obbligato a farlo, con la conseguenza che un comportamento omissivo, dal quale fosse conseguita, in ragione della mancata conoscenza dei dati stessi, una lesione dell’integrità o della salute dei terzi o della collettività, risultava idoneo a cagionare danno ingiusto agli effetti dell’art. 2043 c.c. La Corte ha quindi rigettato il ricorso.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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