Cassazione Penale Sentenza n. 14414/17 – Responsabilità Medica – La Corte ha censurato la condotta del Dott. (Omissis) dirigente medico, che ha proceduto ad un intervento chirurgico superfluo, non necessario rispetto alla patologia per cui la paziente era entrata in ospedale, né per quella asseritamente ipotizzata, esponendola ad un maggior rischio che si è poi concretizzato nella fase postoperatoria con il decesso della paziente. In tema di responsabilità medica la colpa grave a norma della L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, si configura quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, come definito dalle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, tenuto conto della necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle specifiche condizioni del paziente.
FATTO E DIRITTO: Con sentenza del 5.5.2016 la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Savona, appellata dall’imputato P.A., ha ridotto la pena ad anni due di reclusione e ridotto le provvisionali riconosciute alle parti civili; per il resto ha confermato la dichiarazione di responsabilità dell’imputato per il reato di omicidio colposo in danno di P.R..L’imputazione attiene all’attività medico-chirurgica condotta, secondo la contestazione, colposamente dal Dott. P.A., il quale sottoponeva P.R., ricoverata per patologie riconducibili ad un quadro di addominalgie con diarrea e proctorragia, ad un intervento chirurgico addominale (effettuato dallo stesso P. nella qualità di primo operatore) totalmente inutile, inappropriato e comunque non indicato, finalizzato a rimuovere una cisti benigna asintomatica e del tutto estranea al quadro clinico presentato dalla paziente, con ciò esponendola ad un’aumentata pressione addominale e finalmente causando o comunque concausando la successiva irreversibile patologia (edema congestizio ed infarti polmonari per trombosi del sistema cavale, dell’atrio di destra e del ventricolo, in un cuore ipertrofico diffusamente miocardiosclerotico e con esiti di pregressi infarti ischemici parcellari) a causa della quale la persona offesa decedeva poche ore dopo l’intervento chirurgico. Decesso avvenuto nelle prime ore del (OMISSIS).Al P., nella veste di dirigente medico e di primo operatore, è stato mosso l’addebito di aver deciso di sottoporre la paziente ad un intervento chirurgico del tutto inutile, sia in generale che in relazione ai sospetti diagnostici; nonché inappropriato ed inadeguato alla patologia manifestata ed a quella che si intendeva eventualmente curare. Il giudice di merito ha ritenuto che sia stato lo stress fisico conseguente all’intervento chirurgico avvenuto "a cielo aperto" (e non in laparoscopia, come inizialmente prospettato) ad innescare la sofferenza cardiaca in un soggetto esposto (affetto da miocardiosclerosi), determinandone il decesso. Avverso la sentenza di appello propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato. La Corte ha rilevato che l’intervento chirurgico effettuato non era stato di carattere meramente esplorativo, poiché era stata attuata una programmata resezione di cisti renale.Tale intervento era risultato frutto di una scelta inappropriata, poiché l’eventualità che una cisti renale semplice potesse evolversi in una neoplasia maligna era da escludersi, visto che la paziente non aveva mai accusato sintomi particolari ad essa riferibili.La paziente, quindi, era stata sottoposta ad un intervento chirurgico non indicato e assolutamente non urgente, in cui il rischio correlato all’anestesia ed allo stress chirurgico era rilevante.E’ appena il caso di evidenziare che nella sentenza del Tribunale sono stati manifestati forti sospetti circa l’alterazione ex post della cartella clinica della paziente al fine di avallare la tesi dell’intervento esplorativo per accertare una presenza tumorale; ciò in quanto le espressioni che enunciano sospetti di patologia tumorale sono state apposte con una penna diversa da quella con la quale è stata redatta tutta la restante parte della cartella clinica. In proposito gli atti sono stati trasmessi al PM per le sue valutazioni. In ogni caso le evidenze processuali hanno escluso la presenza nella paziente di una patologia tumorale in atto; inoltre è stato constatato in giudizio che qualsiasi chirurgo avrebbe evitato di effettuare un simile intervento chirurgico, anche per eventuali finalità di carattere esplorativo, in ciò trovando ulteriore conferma la considerazione della estrema discutibilità ed imprudenza della scelta diagnostica operata dal prevenuto di sottoporre la donna ad un intervento chirurgico altamente invasivo e, soprattutto, non necessario.In definitiva, il profilo di colpa grave addebitato al ricorrente è stato appunto quello di aver deciso di eseguire un intervento chirurgico del tutto inutile, sia in generale che in relazione ai sospetti diagnostici, nonché inappropriato ed inadeguato alla patologia manifestata, ed a quella che si intendeva eventualmente curare. In sostanza si è censurata la condotta del prevenuto, che ha proceduto ad un intervento chirurgico superfluo, non necessario rispetto alla patologia per cui la paziente era entrata in ospedale, nè per quella asseritamente ipotizzata, esponendola ad un maggior rischio che si è poi concretizzato nella fase postoperatoria con il decesso della paziente. In tema di responsabilità medica la colpa grave a norma della L. 8 novembre 2012, n. 189, art. 3, si configura quando si è in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’agire appropriato, come definito dalle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, tenuto conto della necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia ed alle specifiche condizioni del paziente. La Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali).