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Responsabilità medica – Tardività del trasferimento del paziente in ambiente rianimatorio o neurochirurgico

Cassazione Civile Sentenza 18595/16 – Responsabilità medica – Tardività del trasferimento del paziente in ambiente rianimatorio o neurochirurgico – L’efficacia causale dell’errato, insufficiente tardivo intervento curativo può essere esclusa soltanto nel caso di ragionevole certezza che l’esito comunque sarebbe stato infausto, ma se esso appare meramente eventuale, ancorché non trascurabile sotto il profilo della probabilità, l’efficacia causale persiste. Nella specie l’intervento terapeutico era possibile con prospettive di successo e quindi doveroso, e il difetto è causa del decesso. L’omissione di una percezione tempestiva dei sintomi, il ritardo nella diagnosi, costituiscono violazioni plateali e macroscopiche non soltanto della tecnica medica, ma anche della prudenza dell’uomo della strada.

FATTO E DIRITTO: Con sentenza n. 35575 del 2003 la cassazione penale, nel rinviare al giudice di merito la causa ai sensi dell’art. 622 c.p.c. sulle statuizioni civili, premise in fatto: a) il dott. C., medico in servizio di guardia presso l’ospedale di (OMISSIS), era stato condannato in primo e secondo grado per omicidio colposo della piccola D.S.S. (che, caduta dalla bicicletta in una strada in discesa a causa della rottura dei freni, mentre con la scuola si recava ad una lezione di esercitazione stradale, era stata trasportata alle (OMISSIS) al P.S. di detto ospedale), ricoverata nel reparto di chirurgia essendo la struttura priva dei reparti di rianimazione e neurochirurgia, con diagnosi di trauma cranico commotivo con soffusione emorragica a livello corticale parieto temporale sx e discreto quadro di edema, ma senza compressione del tronco cerebrale, con prognosi riservata LR per lo stato di coma di primo grado; b) la (Omissis) fu trasferita ad (OMISSIS) soltanto alle 18, dapprima presso il reparto di neurochirurgia dell’ospedale (OMISSIS), e poi presso il reparto di rianimazione (OMISSIS), ove decedette dopo qualche giorno; c) il Pretore penale ritenne il nesso di causalità tra il decesso della bambina ed il suo ritardato ricovero presso una struttura specializzata e i giudici di appello ritennero indubitabile il comportamento negligente e imperito del C. per detto ritardo, protrattosi per dieci ore il ricovero, causa del c.d. danno secondario (successivo e conseguente al danno cerebrale primario da trauma cranico e che si manifesta attraverso "ipotensione, ipossia, raccolte ematiche intracraniche e edema cerebrale, che provocano o aggravano una lesione ischemica cerebrale, con necrosi tissutale e ulteriore produzione di edema, con conseguenti disturbi respiratori e circolatori che mettono in pericolo la vita del traumatizzato, in quanto, come "i medici sanno", la lesione traumatica cerebrale si evolve nel tempo aggravando le condizioni del paziente a causa dello sviluppo dell’edema cerebrale", "principale responsabile dell’ipertensione endocranica, la cui terapia è prevalentemente rianimatoria, secondo le linee guida per il trattamento del trauma cranico"). Ad ogni modo il solo edema diffuso e perifocale, evidenziato dalla Tac, espressione di un processo espansivo intracranico inducente l’ipertensione endocranica con le conseguenze negative sulla perfusione cerebrale, doveva consigliare il neurologo dell’ospedale di (OMISSIS) al trasferimento immediato della paziente presso strutture specializzate in rianimazione, onde consentire un’immediata prestazione di terapia intensiva e rianimatoria subito dopo gli accertamenti diagnostici effettuati al P.S. dell’ospedale di (OMISSIS), che avrebbe avuto "serie probabilità" di evitare il trauma secondario e comunque di limitarlo, anziché trattenere la D.S. in una struttura "assolutamente inadeguata per tempestivi e specialistici interventi rianimatori imposti dal corso dell’evoluzione dell’insulto cranio encefalico". Alla luce di tali accertamenti e valutazioni tecniche – prosegue il ricorso – il Pretore penale ritenne conclamata l’estrema negligenza e imperizia dei sanitari di (OMISSIS) durante la degenza della piccola, causa dell’edema cerebrale conseguente all’anossia indotta dai disturbi respiratori, non individuati per omessi controlli, che tanto più il dott. C. avrebbe dovuto preoccuparsi di effettuare avendo dichiarato di aver accettato il ricovero con "grosse perplessità e preoccupazioni", e tuttavia senza effettuare anamnesi accurata dell’incidente che avrebbe potuto fornire i dati predittivi di un rischio di aggravamento secondario, e contentandosi invece delle indicazioni dell’anestesista e del neurologo che avevano ritenuto adeguato il ricovero in chirurgia, così cagionando la morte della paziente D.S., ricoverata presso il suo reparto, convincendosi che il trauma era lieve e tranquillizzandosi al punto di non effettuare più nessun controllo, benché fosse stata prescritta la stretta sorveglianza della bambina, fino a che nel pomeriggio intervennero i familiari a sollecitare l’intervento dei sanitari. Invece, se avesse rimediato all’errore dei sanitari del primo intervento nella formulazione della diagnosi consistito nell’aver sottovalutato il grado di coma e il quadro di edema evidenziato dalla TAC, o se avesse quanto meno disposto il trasferimento della paziente in struttura adeguata, o se ancora avesse effettuato controlli periodici dello stato di coscienza della stessa prima che fosse troppo compromessa l’evoluzione del trauma e quindi prima che fosse troppo tardi, avrebbe evitato la "mala gestione" della paziente e il mancato accertamento della compromissione delle condizioni vitali della piccola in tempo utile per un proficuo e specialistico intervento rianimatorio). Perciò la Corte di appello penale di (OMISSIS), dato atto che secondo la rinnovata consulenza medico – collegiale l’edema cerebrale non era stato adeguatamente trattato e che il peggioramento era stato colto tardivamente a causa degli omessi controlli prescritti, confermò la condanna del C. in quanto era innegabile, poiché risultava dagli atti, che la D.S. venne portata in (OMISSIS) dopo circa 10 ore dal ricovero e che nel periodo in cui giacque ricoverata nel nosocomio di (OMISSIS), sprovvisto di ogni attrezzatura ad hoc, rimase del tutto priva di assistenza. Non sussistono elementi per escludere il nesso di causalità tra le omissioni attribuibili al chirurgo e l’evento. Il mancato miglioramento accertabile dopo 4 – 6 ore dal ricovero, avrebbe dovuto muovere il prudente atteggiamento medico a cautela ed indurre un tempestivo trasferimento in ambiente rianimatorio o neurochirurgico, che avrebbe consentito, ora per ora, di adeguare la condotta terapeutica e le scelte sanitarie che avrebbero aumentato, in maniera tangibile, le possibilità di salvare la vita della bimba. L’omissione di una percezione tempestiva dei sintomi, il ritardo nella diagnosi, costituiscono violazioni plateali e macroscopiche non soltanto della tecnica medica, ma anche della prudenza dell’uomo della strada. E’ evidente che un soggetto che versi in pericolo di vita e che muore perché non idoneamente curato muore per assenza e insufficienza di cura. L’efficacia causale dell’errato, insufficiente tardivo intervento curativo può essere esclusa soltanto nel caso di ragionevole certezza che l’esito comunque sarebbe stato infausto, ma se esso appare meramente eventuale, ancorché non trascurabile sotto il profilo della probabilità, l’efficacia causale persiste. Nella specie l’intervento terapeutico era possibile con prospettive di successo e quindi doveroso, e il difetto è causa del decesso

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Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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