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Richiamare le cose con il proprio nome: la questione linguistica del Codice di Deontologia Medica

I“Codici” al centro del secondo appuntamento della rassegna culturale “Segni: arte, cura e pensiero”, ideata e organizzata dalla Fondazione Premio Napoli e dall’Istituto SDN di Ricerca e Diagnostica. Ed è stato il nuovo Codice Deontologico il focus del dibattito che si è svolto venerdì 6 Marzo nella Sala Rari della Biblioteca Nazionale di Napoli. Sono intervenuti alla tavola rotonda, moderata da Gennaro Carillo, professore di Storia del pensiero politico e coordinatore scientifico della rassegna: il Presidente Amedeo Bianco, Raffaella Scarpa, coordinatrice del Gruppo di Ricerca “Remedia – lingua medicina malattia” dell’Università di Torino, Giuseppe Gaeta, Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e il costituzionalista Lorenzo Chieffi, Direttore del Centro Interuniversitario Campano di Ricerca Bioetica. Al termine del dibattito è stata inaugurata per l’occasione la mostra " De humani corporis fabrica. Testi e immagini di medicina dal VI al XVIII Secolo”, una selezione  di preziose opere manoscritte e testi unici e rari di botanica e medicina che ripercorrono oltre dieci secoli di arti mediche, custodite dai fondi antichi della Biblioteca Nazionale di Napoli. Un’occasione inedita – ha affermato Carillo – quella che ha riunito intorno a questo tavolo di lavoro medicina e scienze umane, come nelle aspettative di quella τέχνη che la Civiltà greca sapeva declinare come scienza e come arte. Un appuntamento che nasce da un interesse profondo – ha affermato Gabriele Frasca, Presidente della Fondazione Premio Napoli – su un tema così complesso come quello codicistico.

Perché il Nuovo Codice di Deontologia medica, proclamato nel maggio dell’anno scorso, continua ad interessare studiosi di diverse discipline, dal diritto alla politica, dalla linguistica alla filosofia fino all’arte? A questa domanda ha provato a rispondere Raffaella Scarpa, Docente di linguistica presso l’Università di Torino. Innanzitutto perché per la prima volta un codice, cioè un testo normativo, entra nella trattazione e nel dibattito culturale, e lo fa come testo di studio, come un caso esemplare. Questo Codice ha scardinato la tradizione del Codici deontologici delle professioni in generale. I codici sono caratterizzati da termini astratti, da tecnicismi, da espressioni subordinate che implicano una serie di interpretazioni non così semplici per lettura e la comprensione, con una lingua molto conservativa e restia ai cambiamenti, una modalità espressiva cristallizzata e quindi molto distante dalla lingua della vita e dell’umano. Per alcune professioni queste caratteristiche forse non fanno problema. Ma per la medicina sì. Innestare in un linguaggio dogmatico, una pratica di relazione, come è la medicina, è un grande ostacolo, quando non uno scarto di tipo relazionale. Un noto linguista come Luca Serianni dice che per nessuna altra scienza biologica, come per la medicina, le parole hanno avuto tanta importanza. E questo evidente dalla trattatistica medica, dalla tassonomia anatomica, dalla comunicazione clinica… In questo senso, a fronte degli studi in questo ambito, è possibile senza dubbio affermare che questo Codice è uno dei momenti di più intensa riflessione sul rapporto tra cura ed espressione.

Quali le caratteristiche principali?
Innanzitutto questo Codice tenta per la prima volta di innestarsi nella storia, con un lingua viva, una lingua di tutti. Dal nostro punto di vista, di storici della lingua, questo testo si è dato il mandato di unire le due facce della medicina, mettendo insieme due registri che nella storia della comunicazione clinica sono sempre stati distanti, quando non ossimorici: lingua del medico e lingua del paziente. Con questa rivoluzione espressiva si entra in una dimensione nuova, non più quella di un mansionario, ma di un riferimento culturale più ampio. Viene scardinata la regola del Codici, dai più antichi fino ad oggi: automatismi, stereotipie, cristallizzazioni, alleggerimento dell’aspetto deontico (cioè del dovere) che restituisce alla medicina una potenza in atto, un’identità etica che non passa dall’ingiunzione ma dalla condivisione del significato di Professione medica; riducendo la spinta ingiuntiva il testo tiene in equilibrio una prescrizione necessaria e i nuovi bisogni della pratica medica. Questo dal punto di vista degli studi di settore è un passaggio importante e unico della trattazione codicistica degli ultimi anni. E certamente è innegabile che in questi cambiamenti profondi ci sia sempre una difficoltà di assimilare nuove modalità espressive perché la lingua è in fondo un “sistema affettivo”. Allora questo caso linguistico interessa moltissimo noi studiosi, per chi si occupa di questa nuova e specifica branca, la linguistica clinica, perché è il primo che si oppone ad un codice linguistico generalizzato. Cioè si oppone ad una sorta di burocratizzazione pervasiva che si sta disseminando ormai in tutti i registri; già Calvino chiamava questo fenomeno “terrore semantico” cioè la paura, sempre più radicata, di chiamare le cose con il proprio nome perché chi filtra la vita attraverso una patina astratta e formalizzata in fondo odia la vita. In questo senso questo testo ci dice esattamente il contrario: riconsegna nella mani della lingua una parola viva, più vicina alla vita, e più vera. Per tale ragione è importante leggere attentamente, alla luce delle più moderne teorie della comunicazione e dell’argomentazione, i cambiamenti profondi che questa impostazione codicistica ha innescato e continuerà a produrre.

Ed è in questo modo – ha affermato Giuseppe Gaeta– che si  recupera quel concetto di  τέχνη antica: nello scarto da una norma che deve essere assimilata per essere superata, verso un registro più articolato, più stratificato, ma paradossalmente più semplice e diretto.
La questione della scarto dalla norma è fondamentale anche per il  contesto giuridico-
ha affermato Chieffi. Il Codice, che terminologicamente richiama il diritto- è una cornice di riflessione potente sul rapporto tra autonomia e responsabilità, tra innovazione e applicazione giuridica. Il Codice è sul pezzo, è un testo di formazione.

Si è riscontrata l’importanza di dotarsi di un registro nuovo, più vicino ai bisogni – ha affermato Bianco. Perché il progredire della medicina sposta innanzitutto delle linee di confine e per poter fare questo deve dotarsi di nuovi moduli espressivi, deve in qualche modo volgarizzarsi, cioè spiegare dove si può arrivare e come. E allora c’è stata la necessità di andare oltre, oltre una norma codificata per tenere conto di un profondo cambio di paradigma perché oggi il concetto di salute è un concetto vivo, come lo è la deontologia. Abbiamo quindi provato ad accorciare le distanze, ad avvicinare norma, Professione e vita per tentare di fare di questo testo non un simulacro, ma un bene comune.

Autore: Redazione FNOMCeO

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