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Rimini/3: Stefano Falcinelli fa il punto sul progetto delle equipes multidisciplinari

Eccoci alla vigilia dell’incontro che a Rimini, il 14, definirà autonomie e responsabilità di medici e professionisti sanitari, sempre più chiamati ad interagire e ad integrarsi nell’attività quotidiana. Alcune Regioni, ad esempio Toscana ed Emilia Romagna, hanno avviato dei “progetti pilota”, attualmente a livello sperimentale, sul modello di quanto già avviene in altri Paesi europei. Paesi che, tuttavia, sono molto diversi dall’Italia per quanto riguarda i percorsi formativi dei professionisti, le culture organizzative, i principi etici di governo dei Sistemi Sanitari, le attese dei cittadini.

In tali percorsi, il paziente viene assistito da un’equipe multidisciplinare e, in alcuni step, può essere seguito, anziché da un medico, da un infermiere opportunamente formato. Come concretamente si espliciti l’interazione tra medici e professionisti sanitari in tali equipes sarà il tema della Terza Sessione dell’incontro, moderata da Stefano Falcinelli, presidente di Ravenna. A lui lasciamo la parola, a conclusione di questa serie di interviste.

Presidente Falcinelli, a lei la Terza Sessione: “Le esperienze in campo. Rischi e opportunità”. Può spiegarci, in sintesi, alcuni di questi progetti?
In questa Sessione verranno presentati progetti sperimentali che coinvolgono equipe multidisciplinari quali la procedura detta di “see and treat” della Regione Toscana che in aree dedicate di pronto soccorso, autorizza infermieri, resi esperti da una specifica formazione, a riconoscere (see) e a trattare (treat), secondo protocolli predefiniti, alcune condizioni patologiche di minore gravità, comprese in uno specifico elenco oppure la fast and track surgery della Regione Emilia Romagna cioè il “percorso rapido in chirurgia”, che intende tagliare drasticamente i tempi di degenza, tramite una riconversione interdisciplinare della "macchina" chirurgia.
La procedura della "fast and track surgery" prevede la partecipazione del paziente, la modifica della tecnica anestesiologica – con infermieri specializzati che seguono il paziente una volta anestetizzato, senza richiedere la presenza costante dell’anestesista – la gestione del dolore, la modifica dei comportamenti di assistenza infermieristica e medica post-operatoria.
Si parlerà anche di degenza organizzata per intensità di cure e di equipes multi professionali e responsabilità medica nel trattamento delle tossicodipendenze.

Come valuta tali progetti da un punto di vista deontologico?
Tali sperimentazioni, pur operando in deroga al principio generale di affidamento e garanzia esclusivi del medico nella diagnosi e nella prescrizione, sono ispirate da prospettive di razionalizzazione e impiego congruo delle risorse umane, tecniche, strutturali ed economiche disponibili, e hanno l’obiettivo non solo di contenere i costi, ma soprattutto di produrre benefici nell’assistenza e nella soddisfazione degli utenti, a cui va data, ovviamente, ampia ed esaustiva informazione.

E quali sono, invece, i possibili rischi?
La preoccupazione in merito a tali sperimentazioni non nasce – non c’è bisogno di dirlo – da una corretta prospettiva di sviluppo delle competenze e degli skills delle professioni sanitarie. Il rischio è invece quello di un uso spregiudicato e opportunista di tali competenze per realizzare modelli meno onerosi a discapito della qualità del servizio: una sorta di prospettiva “low cost” che potrebbe sedurre amministrazioni in difficoltà col far quadrare i bilanci.

Come trovare, dunque, una soluzione ottimale, anche in vista di un trasferimento a regime di tali programmi?
Le sperimentazioni e gli eventuali trasferimenti a regime di questi modelli devono, per essere deontologicamente ed eticamente legittime, perseguire e raggiungere obiettivi di efficacia, qualità, appropriatezza e sicurezza delle cure.
 Altra condizione essenziale è che non discriminino i pazienti a seconda dei bisogni, che operino nel pieno rispetto dell’informazione e del consenso e che riconoscano al medico il ruolo di governo e sintesi del processo clinico, a garanzia e tutela della salute dei cittadini.

Ancora una domanda: qual è, in questo scenario, il ruolo degli Ordini professionali?
Agli Ordini professionali spetta il compito di vigilare e intervenire su tali processi di cambiamento affinché le innovazioni non si riducano a mere derive efficientiste che mirano a ridurre i costi impoverendo i servizi di competenze appropriate, esponendo categorie sanitarie su terreni tecnico professionali non propri, sottraendo ruoli e compiti al medico oltre e contro la sua indiscussa posizione di garanzia e tutela della salute dei cittadini.

Autore: Redazione FNOMCeO

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