Sangue: l’incertezza sociale “scoraggia” la donazione

Report n. 32/2011    

SANGUE: L’INCERTEZZA SOCIALE “SCORAGGIA” LA DONAZIONE

L’attitudine alla donazione è più tenue in quelle fasce di popolazione che si percepiscono più deboli sotto il profilo non solo sanitario, ma soprattutto sotto quello sociale ed economico: chi in generale rimane fuori dal mondo del lavoro, non riesce a sentirsi nella posizione di poter dare. Per questo la donazione può crescere dove cresce l’inclusione sociale, soprattutto per i giovani, di cui c’è gran bisogno, e per le donne, che costituiscono un collettivo ancora sottostimato tra i donatori di sangue.

E’ quanto emerge dall’indagine della Fondazione Censis presentata in apertura del Congresso Nazionale Fidas dalla Dott.ssa Carla Collicelli, Vice Direttore dell’Istituto, commissionata dalla Fidas. Prendendo a campione 3.367 donatori, che si sono recati nei centri collegati alle 69 associazioni federate tra settembre 2010 e gennaio 2011, e che in quell’occasione hanno compilato il questionario predisposto dal Censis, si rileva una minore incidenza di adulti tra i 45 ed i 65 anni, che rappresentano il 32,7% degli intervistati, ma sono il 40,7% della popolazione italiana di riferimento. I giovani sotto i 29 anni, invece, sono il 20,3% dei donatori, a fronte del 18,4% di tutta la popolazione.

Fra le ragioni che inducono alla prima donazione, al di là dell’altruismo, prevale la possibilità di tenere sotto controllo il proprio stato di salute (60,3% del campione); seguita dall’avere amici che donano regolarmente (42,8%) e dalla consuetudine familiare per il 32,8%.

I dati suggeriscono che a donare sono soprattutto le persone attive nel tessuto produttivo del Paese. I donatori di sangue occupati risultano il 74,7% di tutti i donatori, mentre gli inattivi (casalinghe, pensionati, studenti) rappresentano il 21%. Benché di norma le donne possano donare sangue intero non più di 2 volte l’anno (contro le 4 degli uomini), l’aumento delle donatrici rappresenta un obiettivo fondamentale da raggiungere. Solo il 31,2% dei donatori periodici è costituito oggi, infatti, da donne, contro il 68,8% di uomini.

Considerando inoltre che i giovani sono una componente della popolazione destinata a ridursi nei prossimi decenni, e che l’invecchiamento della popolazione farà aumentare il bisogno di sangue, l’autosufficienza raggiunta dall’Italia è un traguardo che non può più esser dato per scontato. In conclusione, sembra legittimo sostenere che le motivazioni dei donatori siano legate a due fattori principali: uno di natura individualistica, l’altro di natura socio-culturale.

Da un lato infatti il donatore, oltre ad essere motivato da fattori emotivi e spirito di solidarietà, vede nella donazione la possibilità di usufruire di uno specifico servizio, in grado di soddisfare un bisogno individuale di gestione e di controllo del proprio benessere psico-fisico. Poter monitorare regolarmente il proprio stato di salute emerge come un aspetto assolutamente rilevante nel motivare i donatori, e gioca un ruolo importante sia nell’avvicinarsi alla donazione che nel proseguire con regolarità. La donazione rappresenta quindi un’occasione in cui persone che stanno bene possono da un lato tutelare il proprio benessere, ma soprattutto “condividerlo” con un atto di altruismo e generosità.

Il secondo fattore motivante è legato alla sfera relazionale del donatore, per cui ricorrono tra i motivi citati quelli legati alle consuetudini conosciute nella rete familiare sociale, che hanno un peso importante nel determinare le scelte.
Sono quindi i valori della condivisione, della consuetudine e della normalità a permeare l’atto della donazione, che si configura come un gesto di consapevolezza della propria possibilità di aiutare il prossimo, perché si è forti e in salute, e tra i propri doveri di cittadino, ricevuti con l’educazione familiare verso chi è debole e bisognoso.

Per questo vale la pena di riflettere su quanto il crescere ed il dilagare dell’incertezza nella società possano minare i fondamenti stessi della cultura della donazione: chi si sente debole e vulnerabile sarà sempre meno propenso ad acquisire quella prospettiva di capacità e di forza che sta alla base della donazione, in questo senso sono particolarmente indicativi i dati relativi alla proporzione tra persone attive ed inattive rilevata a proposito dei donatori. La cultura della donazione, come già detto, è infatti sensibilmente più tenue in quelle fasce di popolazione che si percepiscono come deboli, sotto il profilo non solo sanitario, ma soprattutto sotto il profilo sociale ed economico.

Roma 25/07/2011

Autore: Redazione FNOMCeO

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