Tempo di bilanci al Parlamento Europeo. Ci siamo occupati in passato delle politiche europee per la salute pubblica. Adesso che la legislatura volge al termine e ci si prepara alle elezioni europee nella primavera del 2009, è il momento di pensare ai prossimi cinque anni, a cosa fare per rendere coerenti con una visione davvero europea i sistemi sanitari dei singoli Paesi membri, specialmente dopo i recenti ingressi dei Paesi dell’Est europeo. Anche perché essere cittadini europei non è solo una questione di passaporto, ma soprattutto una reale parità di diritti e di doveri per tutti.
Ne parliamo con Gianni Pittella, eurodeputato del PD al Parlamento europeo. Eletto il 13 giugno 1999 nelle regioni del Mezzogiorno con 64.499 preferenze, è riconfermato all’europarlamento nel 2004 con 138.876 preferenze. Nato a Lauria, in provincia di Potenza, 50 anni, è medico, specializzato in Medicina legale e delle assicurazioni, figlio di medico. Ricopre attualmente la carica di Presidente della Delegazione italiana nel Gruppo PSE al Parlamento europeo.
On. Pittella, la legislatura del Parlamento Europeo volge al termine, a primavera ci saranno le elezioni. Qual è la sua valutazione sullo stato di attuazione della strategia europea per la sanità, così come fu tracciata nel documento per gli anni 2008-2013?
“Proprio durante la sessione plenaria di ottobre svoltasi a Bruxelles il Parlamento si è pronunciato sul libro bianco della Commissione europea sull’impegno comune per la salute. Ma bisogna sapere che la sanità non è una politica di competenza europea, è di competenza degli Stati membri. L’Unione, in queste circostanze, può solo intervenire, secondo il principio di sussidiarietà, laddove l’azione degli Stati non è sufficiente oppure é evidente il vantaggio dell’azione comune. Ma questi sono casi speciali, quali possono essere catastrofi o epidemie di portata tragicamente straordinaria che richiedono un intervento di questo tipo. Fortunatamente non si sono verificati casi di questo tipo anche se, dalla peste aviaria alla malattia della mucca pazza, abbiamo assistito a fenomeni che hanno allarmato fortemente l’opinione pubblica europea e mondiale. Ho citato questi due esempi non a caso. Queste sono state circostanze sorte da problemi veterinari che poi hanno avuto ripercussioni sulla salute umana. In questi casi la competenza ricadeva appunto principalmente nell’ambito veterinario e l’Europa, in particolar modo nel caso della mucca pazza, ha riconosciuto proprie responsabilità di controllo ma poi è intervenuta con efficacia a tutela della salute umana. Quello che invece si sta delineando sempre più è la necessità di rispondere alla mobilità interna all’Unione europea e al conseguente accesso ai servizi, anche quelli sanitari, che questo impone. Come gruppo socialista ci siamo battuti, in occasione dell’approvazione della direttiva Bolkestein sui servizi generali, affinché i servizi sanitari venissero esclusi da questo testo e ricadessero invece in un ambito più specifico in considerazione della loro peculiarità”.
L’UE fa esplicito riferimento a un disegno di sanità basato su valori condivisi che vengono così ricordati: l’universalità, l’accesso a cure di qualità, la parità e la solidarietà in quanto valori fondamentali. Ci si aspetta che nella prossima legislatura si dia seguito al perseguimento di questi valori, attraverso scelte che indirizzino gli Stati membri, pur nel rispetto della loro autonomia. Come si concilia questa prospettiva con alcune tendenze presenti in Italia che vorrebbero un alleggerimento ( o smantellamento) della sanità pubblica, magari in favore di alcune aree della sanità privata?
“L’accesso ai servizi sanitari deve essere universale. L’articolo 35 della Carta UE dei diritti fondamentali sancisce appunto l’accesso alla sanità come un diritto fondamentale derivandone da ciò una competenza precipua delle autorità pubbliche degli Stati membri nel fornire a tutti i cittadini accesso paritario a un sistema sanitario di qualità.
La sanità non deve essere principalmente un settore economico, un ospedale non è un’impresa che deve fare profitti. In primo luogo esso deve garantire a tutti i cittadini il diritto ad essere curati e assicurare servizi di qualità. Una volta garantite queste due priorità assolute è corretto prevedere che il sistema si regga su una base economica per evitare sprechi e inutili investimenti. In quest’ambito siamo invece in una situazione non soddisfacente. La priorità nel dare queste risposte ai cittadini dovrebbe essere la preoccupazione principale e mi preoccupano invece le dichiarazioni di quanti, soprattutto se esponenti politici o di governo sostengono la sanità privata. Mentre mi sembra ovvio che un richiamo del genere venga da un imprenditore, e magari un imprenditore del settore sanitario, proprio mi riesce difficile pensare che chi ha la responsabilità di gestire la cosa pubblica sostenga che solo i cittadini che hanno risorse finanziarie ed economiche a disposizione abbiano la possibilità di curarsi. Se pensiamo ad esempio al caso della procreazione assistita, che in Italia è stata oggetto di un dibattito fortemente ideologico che ha portato ai risultati che tutti conosciamo, ci troviamo di fronte alla situazione in cui lo iato tra chi ha i mezzi e chi no è grandissimo. Chi ha la possibilità di prendersi un aereo, di pagarsi un soggiorno in una capitale europea e di sostenere le spese sanitarie può intraprendere la strada della fecondazione assistita, chi non dispone di questi mezzi deve sottostare alle scelte dettate dalla politica sulla materia e non avere di conseguenza alcuna possibilità in merito.
Merito della proposta della Commissione è quello di prevedere un approccio globale della sanità spalmandone le caratteristiche in diverse politiche, da quelle della politica agricola riformata alla tutela dell’ambiente, alla politica industriale, dei trasporti, sviluppo ricerca e innovazione tecnologica, istruzione sport e servizi sociali”.
Lei è un parlamentare europeo eletto nel Sud dell’Italia. Ragionando europeo, perseguendo politiche di eguaglianza di diritti e di doveri, politiche di omogeneizzazione dei servizi sanitari a livello europeo (pertanto, si presuppone, a un livello più alto dell’attuale), quali sono le terapie d’urto da mettere in campo per superare gli storici divari tra il Sud e il Centro-Nord del Paese?
“Parte delle risposte ce le fornisce la Commissione stessa. Nel suo libro bianco parla di scambio di buone pratiche, di un approccio sanitario “orizzontale” di investimenti in ricerca, anche attraverso il settimo programma quadro di ricerca e innovazione. Questo vuol dire anche saper dialogare con altre strutture che non devono per forza di cose essere nazionali, possono benissimo essere espressione di territori di altri paesi dell’Unione e dare avvio a forme di collaborazione o di interscambio di conoscenze sanitarie ma anche manageriali per strutture simili. Dobbiamo saper mettere in moto risorse finanziarie ed umane disponibili sul territorio per dar vita a centri sanitari che siano poi in grado di esercitare un potere d’attrazione. Quando dal territorio sorgono strutture di eccellenza che dialogano con tutte le forze presenti, dalle università alle imprese, all’attività produttiva nel suo insieme e riescono a fornire le risposte adeguate alla popolazione cui si rivolge, allora è quando abbiamo mostrato che anche dal mezzogiorno si possono dare risposte adeguate alle sfide che ci vengono lanciate dai nostri concittadini”.
Da più parti si auspica un cambiamento delle classi politiche e dirigenti delle Regioni meridionali, troppo spesso al centro di inchieste per malaffare, malapolitica e malasanità. Ricorrenti sono i filoni d”inchiesta proprio per l’utilizzazione impropria dei fondi europei. Lei pensa che questo cambiamento sia non solo auspicabile, ma anche possibile? Potrebbe essere questa la grande occasione per il Sud proiettato in Europa, dopo le tante mancate occasioni del Sud che non è riuscito nemmeno ad agganciarsi all’Italia?
“L’inadeguatezza di una certa classe dirigente al Sud in questi anni ha rappresentato senza dubbio un peso enorme sulle possibilità di sviluppo del Mezzogiorno soprattutto se pensiamo all’utilizzo distorto delle risorse europee. Troppo spesso i fondi europei sono stati destinati a progetti che non avevano alcun respiro strategico. Ma i problemi della cattiva gestione sono stati di differente natura. L’esperienza maturata sul campo in questi anni di lavoro a contatto con gli amministratori pubblici, con gli attori socio-economici, e con i cittadini, mi portano a identificare un nucleo di criticità che vanno affrontate ed eliminate perché l’attuale ciclo di finanziamenti europei determini effetti e ricadute migliori.
Le questioni principali sono: la tipologia degli interventi, l’adeguatezza del partenariato interistituzionale e pubblico-privato, l’efficienza della pubblica amministrazione, la dotazione di banche-progetti immediatamente eseguibili, il raccordo tra le varie programmazioni regionali e la coerenza con le linee programmatiche nazionali ed europee. Dall’esame di queste criticità, bisogna definire un cammino virtuoso.
Ma il Sud non è solo identificabile con i cattivi amministratori, e non è soltanto questo il volto che il Mezzogiorno presenta all’Europa. Mi sono rafforzato in questa convinzione nel corso della bellissima esperienza del “viaggio nel Sud” che ho compiuto dal 23 luglio al 25 agosto di quest’anno, proprio per declinare, nel confronto diretto con i cittadini, un rapporto più fecondo e positivo tra Mezzogiorno ed Europa. Centotrenta tappe in camper in altrettanti comuni di sei regioni del Mezzogiorno peninsulare; centotrenta tappe per vedere, ascoltare, capire, spiegare. Ci sono emergenze vere. La principale, forse, è quella della legalità. L’azione di contrasto alla piccola e alla grande criminalità non deve avere tregua, anzi, va rilanciata per poter garantire le migliori condizioni possibili alle attività economiche sui nostri territori”.
Autore: Redazione FNOMCeO