“Save the children”: indagine Ipsos sui maltrattamenti ai minori

Report n. 49/2010        

UN’INDAGINE “SAVE THE CHILDREN” REALIZZATA DA IPSOS, SUI MALTRATTAMENTI AI MINORI

Come viene concepita l’educazione impartita ai propri figli dai genitori italiani o che vivono in Italia? Quali i valori che devono essere assimilati dai ragazzi e quali gli obiettivi dell’educazione? I figli vanno educati innanzitutto al “rispetto degli altri”: ad affermarlo spontaneamente è il 74 % dei genitori e il 60% dei ragazzi. I genitori ritengono che i figli debbano maturare anche il rispetto di sé, l’autostima (15%, percentuale che se sollecitata, diventa del 42%), intesa anche come mezzo per il raggiungimento di un traguardo e l’autoaffermazione. Per i genitori stranieri, invece, emergono valori come la libertà o il perseguimento della felicità che, in considerazione dei contesti di provenienza, vengono considerati meno scontati e acquisiti, oppure la cultura nella sua accezione di riscatto sociale, e infine l’importanza della famiglia e della religione. I ragazzi, invece, dimostrano una maggiore sensibilità verso valori quali la generosità (media 26%), la curiosità (20%), l’apertura verso il prossimo (20%).

Questi alcuni dei risultati che emergono dalla ricerca di "Save the Children" sui sistemi educativi familiari in Italia, realizzata da Ipsos che racchiude alcuni quesiti sui valori, i metodi e le punizioni che regolano il rapporto genitore-figlio nel nostro Paese. Lo studio è stato realizzato attraverso 1000 interviste telefoniche alla popolazione italiana, questionari online a 600 genitori e 500 ragazzi, alcuni focus group con genitori ed insegnanti e infine dei colloqui con esperti nell’area pisco-pedagogica.

L’educazione impartita ai figli dai genitori è una combinazione di affetto (37%), dialogo (30%), indi regole (23%), e infine sistemi di punizione (10%). “I genitori italiani vivono il proprio ruolo educativo come un continuo equilibrio tra la necessità di stabilire delle regole e porre dei limiti da rispettare, e quella di trasmettere amore e fiducia”, commenta Valerio Neri, Direttore Generale per l’Italia di Save the Children. Il superamento di tale dialettica tra dimensione normativa e affettiva, secondo molti genitori, è mediato dalla comunicazione e l’ascolto. Ma, accanto a questa posizione di equilibrio, ne esistono due contrapposte: quella di chi teme di compromettere la relazione con il proprio figlio e tende a farlo diventare il dominus della relazione, e quella di chi invece, ancora utilizza la violenza per affermare la propria autorità.

Accanto a coloro che sono troppo indulgenti e non riescono a fissare delle regole e farle rispettare, esiste infatti ancora una media del 25% dei genitori italiani che utilizza le punizioni corporali, dallo schiaffo alla sculacciata, come metodo correttivo. I genitori di oggi in media si descrivono come meno severi rispetto ai propri (il 59% di essi, percentuale che arriva al 68% fra i genitori con figli più grandi), apprezzano i valori trasmessi dai loro genitori, ma meno i sistemi educativi utilizzati che, seppur non autoritari, valutano troppo poco orientati al dialogo. In media, in una scala da uno a dieci, ritengono che il proprio grado di autorità nell’imporsi ai figli sia pari a 4,7, mentre la severità delle punizioni è pari a 4, il dialogo raggiunge un punteggio medio di 8,5 e il grado di autonomia dei ragazzi nel percorso di crescita sia di 7,4.

Nonostante ci sia un atteggiamento incline a voler prendere un po’ le distanze dal passato, quando si riflette sull’attualità dei metodi utilizzati nella famiglia di origine dei propri genitori, quasi l’85% del campione li ritiene comunque non superati (il 55% pensa siano del tutto attuali). Anche coloro che hanno vissuto in famiglie dove il ricorso allo schiaffo era un pratica usuale, ripensando ai metodi educativi dei propri genitori ritengono che siano in parte ancora validi (44%) se non addirittura completamente (31%).

Se una punizione è necessaria, quelle più efficaci sono considerate l’imposizione di una restrizione (in media il 71% dei genitori), “sgridare i figli con decisione” (32%) e “costringerli a svolgere delle attività non gradite” (21%). Tuttavia, tra i genitori con figli da 3 a 5 anni, un 14% ritiene utile ricorrere alla sculacciata, percentuale che diventa del 10% per chi ha figli dai 6 ai 10 anni.

Ma quanto frequentemente si fa ricorso a questi metodi? Sicuramente la pratica è molto ridimensionata rispetto ad un tempo, eppure permane una percentuale di genitori che utilizzano lo schiaffo come metodo correttivo (il 25%, di cui una parte più esigua pari al 2% lo fa quasi tutti i giorni, mentre il 23% lo fa qualche volta in un mese). Una media del 19% dichiara che non capita mai di ricorrere allo schiaffo e di essere decisamente contrario (percentuale che sale al 21% per i genitori di ragazzi adolescenti tra gli 11 ed i 16 anni), o di non utilizzarli quasi mai (57% in media, che sale al 70% in caso di figli più grandi).

In situazioni limite, tuttavia, ben il 53% dei genitori italiani dichiarano di ricorrere alla punizione fisica, percentuale che tra i genitori con bambini più piccoli sale al 63% e tra quelli di adolescenti scende al 40%. Il restante campione dichiara di non aver mai dato uno schiaffo ai propri figli, anche se di questi il 25% dichiara di averne avuto la tentazione.

Secondo quanto affermano i genitori italiani, in una parte della ricerca di Save the Children realizzata attraverso colloqui approfonditi di gruppo, la punizione fisica, quando utilizzata, sembra costituire un vero e proprio codice di comunicazione non verbale, il voler segnalare in modo inequivocabile che si è superato un limite estremo, ma è anche una risposta ad un momento di esasperazione, di spavento, il tentativo di uscire da uno stato emotivo “sgradevole”.
Dalla ricerca, inoltre, a testimonianza dell’inadeguatezza della punizione corporale come modo di risolvere un conflitto, emerge che in seguito allo schiaffo i genitori e i ragazzi hanno delle percezioni molto differenti: mentre i primi immaginano che il sentimento più forte provato dai figli sia quello del dispiacere, unito però alla consapevolezza di aver commesso un errore, per i ragazzi l’episodio viene sì vissuto con dispiacere per l’accaduto, ma la sensazione forte è quella di non essere compresi, piuttosto che rabbia e desiderio di rivalsa.

In base alla persistenza, seppure ridotta rispetto al passato, delle punizioni corporali in ambito familiare, una campagna di sensibilizzazione all’utilizzo di metodi educativi improntati sul dialogo e non sulla violenza sarebbe accolta positivamente dal 66% dei genitori italiani: per il 39% di essi, infatti, potrebbe far riflettere i genitori più maneschi e violenti, per il 27% conforterebbe quelli già propensi a questa linea improntata sulla genitorialità positiva.

Alla luce di questi dati, “Save the Children”, in linea con le sollecitazioni provenienti a livello europeo ed internazionale, intende promuovere anche in Italia un cambiamento culturale, che coinvolga tutti i principali attori delle Istituzioni, della società civile, dei più prestigiosi esponenti della pedagogia, della neuropsichiatria infantile, del mondo giuridico e i media, volto alla tutela dei bambini contro qualsiasi atto di violenza, anche all’interno del contesto familiare che sia lesivo della loro dignità umana ed integrità fisica e mentale.

Secondo la ricerca condotta, il 13% dei genitori intervistati ritiene questa ipotetica legge fondamentale, il 26% la ritiene utile, anche se non prioritaria. Un altro 22% dichiara di non sentirne assolutamente la necessità mentre il restante 39% pensa che tale intervento normativo di questo tipo sia poco utile e che possa prestarsi ad interpretazioni ambigue.

In generale, considerando l’insieme della popolazione italiana (quindi anche coloro che non hanno figli minori di 16 anni) e prima che qualsiasi forma di sensibilizzazione in materia sia stata effettuata, il 36% è aperto ad una legge del genere, mentre il 26% teme applicazioni discrezionali ed ambigue. Un 40%, infine, non ne sente il bisogno.

L’obiettivo di “Save the Children” non è quello di colpevolizzare i genitori, ma anzi di aiutarli, dimostrando che è possibile mantenere disciplina ed autorevolezza attraverso sistemi educativi che non concepiscano la violenza come modo di risoluzione di un conflitto. chiedendo alle Istituzioni competenti di farsi promotrici di una campagna di sensibilizzazione e informazione sulla genitorialità positiva e al Parlamento di approdare in tempi brevi ad una riforma normativa, che vieti espressamente le punizioni corporali in ambito familiare, allineando di fatto l’Italia agli altri Paesi europei che hanno già adeguato la propria normativa interna.”

P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO

Roma 13/05/2010

Autore: Redazione FNOMCeO

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