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Speciale Matera: intervista a Sandro Spinsanti

Appropriatezza e narrazione: esistono secondo Lei punti di contatto e prospettive operative comuni?

La narrazione può fornire una prospettiva dalla quale valutare l’appropriatezza. Perché l’appropriatezza in realtà è duplice, a seconda da dove la si considera. I trattamenti medico-sanitari possono essere giudicati appropriati o inappropriati dal punto di vista verticistico. È quello proprio delle politiche sanitarie, e soprattutto del loro versante economico: quello, peraltro imprescindibile, dei bilanci. Una medicina che si confronti con questo versante dell’appropriatezza può risultare estranea alla visione propria dei professionisti. E ancor più a quella dei cittadini, che misurano quantità e qualità dei servizi in base ai loro bisogni. La narrazione dà corpo all’appropriatezza vista dal basso. È lo strumento che la rende possibile sia nel rapporto tra cittadini e professionisti, sia in quello tra i professionisti e i politici/amministratori del servizio sanitario pubblico.

Nella costruzione della fiducia nel percorso di cura quali sono gli strumenti che il modello narrativo può offrire? In che modo potrebbero essere usati per accrescere la consapevolezza delle “buone pratiche” da parte del cittadino?

La Conferenza di Consenso, organizzata dall’Istituto Superiore di Sanità l’11-12 giugno 2014, ha indicato alcune linee di indirizzo per l’utilizzo della medicina narrativa nell’ambito clinico-assistenziale (il documento è disponibile online). Il punto di partenza è la constatazione che esiste una pluralità di strumenti, in rapporto a diversi contesti o obiettivi. Vanno dal colloquio condotto con competenze narrative a interviste semi-strutturate; dalla scrittura riflessiva all’utilizzo del narratore vicario. Una raccomandazione importante è di contenere la dimensione del racconto, finalizzandolo a un risvolto operativo delle cure. Non si tratta, in altre parole, di aprire la diga del narcisismo debordante (“parliamo tanto di me”…!).

Medicina narrativa, alleanza terapeutica, “sobrietà” nella scelta e condivisione dei percorsi di cura: un incontro possibile oggi?

Possiamo immaginare una critica pregiudiziale da parte di chi sente menzionare la proposta di una medicina narrativa: “Ma che cosa si stanno inventando oggi, per distrarre la nostra attenzione dai tagli diservizi e prestazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale?”. Se la medicina narrativa fosse una strategia per indorare la pillola amara di un servizio pubblico in crisi, dovremmo essere in prima linea per criticare la proposta. La realtà è che la medicina narrativa non deflette rispetto a tutti i criteri con cui giudichiamo la qualità di un rapporto di cura. Fare il bene del paziente – rispettando la sua autodeterminazione – senza ingiustizie e discriminazioni; ovvero beneficità – autonomia – giustizia: sono i tre pilastri etici su cui poggia la medicina moderna. Se uno viene a mancare, crolla la struttura. È quanto il movimento della Slow Medicine ha riassunto nella triade: cure sobrie, rispettose, giuste. La medicina narrativa è sintonizzata su questa lunghezza d’onda. Vi aggiunge solo l’indicazione di valorizzare la narrazione, nelle sue diverse articolazioni, per raggiungere l’obiettivo.

Da anni si parla di medicina narrativa ma sembra, nel concreto della pratica professionale, di essere ancora ai “blocchi di partenza”: Lei cosa ne pensa?

Ben vengano i “blocchi di partenza”, se ciò significa una pausa di riflessione prima di buttarsi a capofitto in un progetto! La medicina narrativa ne ha bisogno come qualsiasi altra impresa; e forse anche più di altre, perché è più insidiata da equivoci. Non si tratta di farsi sedurre dalla facilità della chiacchiera… E neppure di ripiegare sul terreno scivoloso della “umanizzazione”. La medicina narrativa chiede rigore. Non meno di quella basata sulle prove di efficacia (Evidence Based Medicine), che ha sostituito una pseudo scientificità che si fondava sul richiamo all’esperienza clinica e alle fedeltà di scuola. Anche la medicina narrativa richiede un salto di qualità: deve demarcarsi dagli inviti ai buoni sentimenti, empatia, missionarietà… Ascoltare, accogliere e integrare la soggettività della persona curata nelle decisioni cliniche richiede metodo. E competenze specifiche. La medicina basata sulle prove di efficacia e quella fondata sulla narrazione non sono in concorrenza. Sono le due facce dell’unica buona medicina, quella richiesta dalla cultura dei nostri giorni. Due facce di una stessa realtà. Come le due facce di Giano, appunto.

Autore: Redazione FNOMCeO

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