Stati Generali. Il cammino è ancora lungo ma la direzione più chiara

Gentile direttore,
si è svolta a Roma il 4 e 5 luglio la seconda tappa del percorso degli Stati Generali promossi dalla FNOMCeO, mentre in tutti gli Ordini di Italia si stanno moltiplicando le iniziative di dibattito sulle 100 Tesi che fanno da spunto ai grandi temi su cui la professione si deve confrontare. Si è avvertito un interesse crescente, palpabile in questa due giorni molto ricca di interventi sia nei gruppi di Studio che nell’assemblea plenaria.

Una vivacità ben espressa dal Presidente Anelli che in chiusura ha parlato di“una professione viva, ricca di competenze e di valori” che ha come mission “ compiere quel cambio di passo dall’essere medici dell’apparato all’essere medici del cittadino, per garantire il diritto costituzionale alla salute e quella rivoluzione etica, morale e civile di cui sentiamo il bisogno”.

Gli spunti usciti in questa due giorni sono stati tantissimi e naturalmente non sono mancate le discussioni.

Il tema generale era il “medico e la società” il “medico e la scienza”, tema che sviluppava quello precedente della questione medica e della necessità di aggiornare il paradigma, cioè del rapporto inscindibile della crisi del medico e della crisi della medicina. In questo ambito si è parlato di “relazione di cura”, “dialogo e linguaggio” ,”consenso informato” “clinica e cultura “ “medicina e tecnologia”. La mia sensazione avvalorata anche dall’opinione espressa da tanti colleghi è che si stia affermando e quindi stia prevalendo il senso riformatore delle 100 tesi, anche se non mancano le “resistenze” da parte di chi pensa che si possa risolvere la “questione medica” a medico invariante, senza alcun ripensamento e ridefinizione del medico e della medicina.

Del resto ammettere la necessità del cambiamento equivale per alcuni accettare non solo l’idea che qualcosa non va ma anche sentirsene in parte corresponsabili.

Tuttavia , senza voler addossare al passato tutte le colpe, un po’ di autocritica sarebbe auspicabile e aiuterebbe la professione a intraprendere compatta la strada del cambiamento, una strada ormai ineludibile se non vogliamo soccombere alle trasformazioni culturali e sociali in atto che rendono il medico sempre più inadeguato.

Basti pensare ad esempio alla tecnologia che sta entrando sempre più prepotentemente nella nostra professione. Ne ha parlato all’inizio dei lavori
il Presidente dell’Enpam Oliveti che con una interessantissima relazione ha mostrato un futuro prossimo, che per certi versi è già realtà, con cui gioco forza dobbiamo necessariamente confrontarci. In Inghilterra si sta sperimentando una piattaforma digitale ,Babiyon Health, tramite la quale il paziente dialoga con un medico attraverso la macchina e ad essa può rivolgersi a qualsiasi ora del giorno e della notte in cerca della risoluzione dei sui problemi di salute.

A parte i seri problemi etici e deontologici , ma anche di metodo ( si fa diagnosi non solo raccogliendo l’anamnesi ma soprattutto con la visita medica che qui manca completamente) , di eguaglianza e democrazia ( chi avrà accesso a queste modalità di cura ? Forse chi non avrà i soldi per rivolgersi a un medico vero?), di privacy e sicurezza dei dati che questa intelligenza artificiale pone, come possiamo noi competere con questa tecnologia che tende a svilire il ruolo del medico?

E’ chiaro che la sfida tecnologica non la potremo risolvere aggiungendo al percorso formativo del medico lo studio dell’informatica, ma formando un medico capace di essere meglio della macchina in modo da governare la macchina stessa.
Ma molte altre sono le questioni con cui oggi il medico è chiamato a confrontarsi in una società in cui il concetto di cura è cambiato e in cui ci vien chiesto di guardare non solo alla malattia ma alla complessità e alla singolarità del malato.

E qui entra in gioco il tema della Formazione del medico, tema che è emerso prepotentemente in tutti i gruppi di lavoro che in modo traversale hanno concordato sulla necessità di una una nuova formazione . Ripensare alla formazione vuol dire però ammettere che la medicina deve essere ridefinita e avere in testa un’idea di medico per predisporre una preparazione più adeguata.

Perché se un medico nuovo può nascere solo ripensando alla formazione, questo significa sì rapportarsi con l’Università ,che è la principale erogatrice della formazione, ma soprattutto come ha detto il Presidente Anelli, significa “definire, da parte nostra, quale tipo di medico vorremmo e, di conseguenza, quali sono i presupposti formativi che portano a tale modello”.

Se chi invoca la formazione pensa che il medico debba restare invariato allora siamo nella logica Ecm cioè del semplice aggiornamento, che è la stessa cosa di coloro che ritengono che il codice deontologico, debba restare quello che è ma aggiungendo solo qualcosa.
Pensiamo per un attimo a tutte le cose che andrebbero insegnate a uno studente universitario per divenire un medico adeguato ai tempi:filosofia, etica, relazione logica, economia, organizzazione gestionale, linguaggi comunicativi, deontologia, informatica, sociologia e forse molto altro ancora che adesso mi sfugge.

Se il modello di insegnamento è invariante vuol dire che ai 6 anni dovrei aggiungere altri anni di formazione per le nuove materie di studio , il che è ovviamente improponibile.
Allora come si fa a ripensare alla formazione senza aumentare gli anni di studio , senza aumentare il percorso formativo e soprattutto andando oltre al nozionismo?

E’ necessario ripensare al modello formativo, un modello non più centrato sulla cura della malattia, ma centrato sul malato , un malato che è prima di tutto un cittadino con diritti e doveri; un modello che tenga conto sì della scienza, valore irrinunciabile per un medico, ma anche della società in continuo cambiamento e che sia in grado di fornire al medico le competenze necessarie a governare la complessità.

”Oggi nelle università c’è nozionismo, non complessità E non sempre basta aggiungere, aggiornare, adattare. A volte c’è bisogno di cambiare.”ha detto il prof. Cavicchi al termine degli stati Generali.
Un medico formato sulla cura della malattia, sull’evidenze scientifiche, sulla sola osservazione fenomenologica non è più un medico capace di rispondere alla complessità di questa società.

“Il medico non può essere un mero esecutore delle evidenze scientifiche, anche se le evidenze diventano per l’esercizio della professione punti di riferimento ineludibili” ha detto il Presidente Anelli sottolineando che“Le innovazioni tecnologiche, i nuovi software, la robotica sono validi strumenti per ridurre l’errore. Ma la Professione non si riduce a quello. Nessun robot, nessun algoritmo potrà mai sostituire il medico, perché l’arte professionale sta nell’interpretare i dati secondo le esigenze del paziente”.

Se vogliamo davvero, come ha affermato il presidente Anelli che “La professione medica oggi rappresenti la garanzia dei diritti del cittadino” e che “la relazione di cura trasferisca questa attività di tutoraggio dei diritti dal singolo medico al singolo cittadino” allora insegniamo al nuovo medico cosa significa “archè” (riprendo il concetto del prof Cavicchi che assume il cittadino come un principio generatore) e cosa significa dedurre una medicina da questo archè.

Questo è a mio avviso un passaggio fondamentale e sono davvero convinta che solo formando medici all’altezza di questo compito potremmo salvare la nostra professione dallo svilimento in cui è caduta, potremmo riacquistare la fiducia dei cittadini e recuperare quella autorevolezza che abbiamo perso nel tempo.
Il cammino è ancora lungo ma la direzione appare sempre più chiara e la volontà sempre più determinata.

Ornella Mancin 
Presidente Fondazione Ars Medica
OMCeO Venezia


Pubblicato su QuotidianoSanità

Autore: Redazione

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