Attraverso questi termini si possono definire le tappe di un percorso sociale e culturale complesso in ambito sanitario fino ad arrivare ad un capovolgimento dei ruoli tra medico e cittadino dove quest’ultimo “si emancipa dalla malattia”, è sempre più partecipe delle decisioni, fino a prenderle autonomamente in una posizione dominante sul medico e sul sistema, “esigendo” la cura, come premessa all’inevitabile obbligatorietà della guarigione.
17 LUG – Attraverso i termini paziente, assistito, utente, cliente, esigente, che hanno definito negli anni le persone che necessitano di cure si marcano le tappe di un percorso sociale e culturale complesso in ambito sanitario. Esso parte da un rapporto molto sbilanciato sulla figura del medico, dominatore sulla scena della malattia e detentore del diritto, oltre che del dovere, di curare l’individuo collocato in posizione subordinata.
Nel corso del tempo tale distanza gerarchica si è ridotta, di pari passo al ridimensionamento del ruolo sociale del medico, verso un nuovo equilibrio. Ciò è avvenuto attraverso l’inserimento del cittadino in un sistema generalizzato di salute, da cui è assistito, ma di cui diviene prima utente e poi cliente, in quanto fruitore di un diritto di cura e di salute, sancito anche dalla Costituzione, nella sua veste di primo pagante indiretto o diretto.
Si giunge infine al capovolgimento dei ruoli e cioè ad un cittadino che “si emancipa dalla malattia”, è sempre più partecipe delle decisioni, fino a prenderle autonomamente in una posizione dominante sul medico e sul sistema, “esigendo” la cura, come premessa all’inevitabile obbligatorietà della guarigione.
Filosofia e realtà
Questa strada, che solo una teoria socio-filosofica può immaginare rettilinea da un punto A, il paziente, ad un punto Z, l’esigente, si snoda tra due poli opposti di potere. Il punto A è dominato dal medico che tutto può e cura il soggetto attraverso le proprie nozioni, capacità e esperienze, guidato dalla conoscenza delle malattie, dall’etica e dalla deontologia, strumenti tutti interni alla professione, senza alcun coinvolgimento di soggetti esterni.
Il punto terminale Z sancisce, invece, in una sorta di rivincita, il dominio del cittadino esigente, che pone le sue condizioni al medico, che da lui dipende economicamente e giuridicamente. La realtà sociale e il firmamento professionale dei medici, però, sono profondamente diversi da quelli immaginati in teoria.
La critica al medico che cura la malattia e trascura il malato, “come se considerasse le persone delle lavatrici”, è in buona parte obsoleta e la figura del cittadino, finalmente affrancato, che si trasforma “nell’esigente”, risale a molti anni fa. Da allora di strada ne è stata fatta sia da parte dei cittadini, sia da parte dei medici. Discutere della questione medica, come se fosse sempre al “punto zero” è perlomeno riduttivo, se non ingeneroso. Occorre tener presente quanto sia variegata la platea dei malati e dei sani che vogliono restare tali e quanto sia diversa la richiesta di cura legata ai disturbi dei cittadini.
Condivisione sempre?
Gli scostamenti dallo stato di benessere sono molteplici e l’interpretazione del disagio ad essi collegato è altrettanto multiforme. Immaginiamo di trasferire le discussioni teoriche sul paziente “esigente” in rianimazione, medicina o chirurgia d’urgenza, traumatologia, dove un ritardo di decisione può causare l’aggravamento della situazione o la morte del soggetto. Nessun cittadino consapevole di sé, intervistato in precedenza, risponderebbe che vorrebbe discutere delle opzioni terapeutiche possibili e degli eventuali rischi con il curante di turno e avere la piena consapevolezza di tutte le manovre e gli interventi che verranno messi in atto per salvargli la vita in situazione di emergenza.
Quando, invece, la frequentazione tra medico e paziente diviene più assidua e più duratura nel tempo, è probabile che il rapporto umano e la condivisione delle decisioni siano più abituali, più profondi e perdano il carattere di obbligo burocratico. In vaste fasce della medicina primaria, dove il rapporto è, come si diceva, facilitato dal tempo di cura, la contrattazione, il compromesso tra evidenze scientifiche e opinioni del paziente è all’ordine del giorno. Senza sacrificare il metodo scientifico sull’altare dell’opinione dei singoli, si curano le persone in modo corretto e condiviso.
Conflittualità: metro del cambiamento?
I medici non devono attrezzarsi con procedure di medicina difensiva, per superare in abilità i pazienti in caso di contenzioso, ma devono, invece, operare per ridurre la conflittualità. Ma ridurre la conflittualità, risulterebbe ancora più complicato, se la cultura del cittadino “esigente” si diffondesse e diventasse un’idea portante del processo di cura.
Così come lo sarebbe nel rapporto con l’idraulico, l’avvocato o l’insegnante. L’assoluta libertà di scelta del singolo in campo sanitario, come in altri ambiti sociali, può generare soprusi, prevaricazioni e mettere a rischio gli altri. Si ricordi la pretestuosa e politicizzata polemica mediatica, divampata su vaccini, scelte individuali, autoritarismo statale e scientismo: un’esplosiva miscela di esaltazione della libertà individuale, contrapposta ad una scienza usata in modo dogmatico, trascurando le sue caratteristiche di ricerca e di critica.
Cittadino esigente e Società
Altro elemento che lascia perplessi in questa teorica discussione sulla questione medica è la certezza dell’esistenza di un cittadino che esprime compiutamente il suo essere “esigente” in un unico campo della società. In un Paese, infatti, dove nell’indifferenza dei più, i diritti civili e umani fondamentali corrono gravi rischi, dove la libertà di espressione è spesso mortificata, dove l’equità e l’onestà della macchina dello Stato si sgretolano tra soprusi, scandali e corruzione, dove l’ingiustizia sociale prospera nel silenzio, l’unica presa di coscienza profonda del cittadino-persona avverrebbe nell’ambito delle decisioni che riguardano le scelte sulla salute.
Tra prese di posizione a favore di una medicina più condivisa, che non riduca il malato alla sua malattia, che appare fuori tempo in una realtà ormai differente e variegata, e proposizioni che affermano il tramonto ineluttabile del ruolo sociale del medico, con la conseguente necessità di rifondarne i principi e perfino la deontologia, esistono i medici veri e i cittadini reali con le loro innumerevoli sfaccettature e le loro necessità individuali, sociali e culturali.
Il rischio dei media
Nella comunicazione giornalistica sono noti il forte valore delle parole e l’impatto che possono avere i termini, magari inizialmente usati in modo provocatorio per stimolare una discussione su temi importanti e che minacciano di essere trascurati nella pratica quotidiana. Il termine esigente, proposto in sostituzione di paziente, etimologicamente colui che soffre e sopporta, si riferisce inequivocabilmente a un soggetto che pretende, reclama, richiede come dovuto, rivendica, come si legge nel dizionario dei sinonimi e contrari della Treccani.
La pretesa non ammette discussioni, nessuna condivisione, nessuna obiettiva consapevolezza. E per questo non contempla limiti. Un fatto, una situazione non è solo vera perché lo è obiettivamente, oggi lo diviene perché viene ripetuta tante volte. Il cittadino “esigente” in Sanità potrà diventare, in mano ai media, la realtà del domani e quello che era un’innocua provocazione, potrebbe portare a danni di rapporto, organizzativi, economici e in definitiva di salute, di cui non possiamo avere contezza.
Ascoltare i bisogni reali dei cittadini
Meglio tralasciare le costruzioni puramente speculative, uscire dai palazzi e dalla turris eburnea della medicina, che filosofeggia tra sé e di sé, per ascoltare i bisogni reali dei cittadini e non quelli immaginati, anche in buona fede. Solo sui loro bisogni si può migliorare il presente della figura e del ruolo del medico. Occorre realizzare quanto di buono è rimasto sulla carta dell’organizzazione del nostro sistema sanitario nazionale, colmare le diseguaglianze di salute, di organizzazione e di cultura sanitaria, che sono oggi ancora profonde in diverse zone del nostro Paese.
Formare i giovani medici, e rieducare i meno giovani che abbiano scordato i fondamentali della medicina, al rapporto umano e alla gestione delle differenze e dell’incertezza. Valutare a priori le aspettative che i medici hanno per la professione, per non ritrovarci professionisti in burnout, per una profonda discrepanza tra attese e risultati. Fare pressione sullo Stato perché potenzi le strutture e l’organizzazione della salute, impegnando in essa le risorse necessarie, anche per ridare la giusta dignità sociale ai medici.
Rifondare o migliorare?
Tutto ciò si può costruire su solide basi culturali che sono andate crescendo in questi anni, in cui molto si è fatto, pur tra errori, difficoltà e incertezze. Partire dall’esistente, quindi, e rinunciare alla tentazione, tipica della nostra cultura, di rifondare sempre ogni cosa, accantonando il passato, che è base per un progresso e non un nostalgico rimpianto. Tutto ciò si può fare senza cortocircuiti, a meno che per amore di notizia, di polemica e per necessità i grandi media non si impadroniscano di nostre affermazioni pericolosamente provocatorie. Giudicando, però, la diffusione che ha ricevuto la teoria del cittadino “esigente” dall’inizio degli anni 2000 a oggi, forse il pericolo non è così attuale.
Dott. Mario Nejrotti
Medico Chirurgo
Responsabile Comunicazione OMCeO Torino
Pubblicato su Quotidiano Sanità
Autore: Redazione