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Sulla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie – Illegittimità costituzionale parziale

Corte Costituzionale Sentenza n. 215/16 – Sulla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie – Illegittimità costituzionale parziale – La Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettera e), del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale e ha dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) del citato d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale.

FATTO E DIRITTO: La Corte Costituzionale ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettera e), del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse), nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale e ha  dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) del citato d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale. La Corte di Cassazione, con due diverse ordinanze emesse in data 2 dicembre 2014, assunte in altrettanti giudizi, aveva sollevato, in riferimento agli articoli 108, secondo comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6, par.1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, nel proseguo, CEDU) questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie e per la disciplina dell’esercizio delle professioni stesse). In particolare, si dubitava della legittimità costituzionale della norma in questione nella parte in cui, in esito alle modifiche di dettaglio intervenute nel tempo, la stessa prevede che, della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, organo di giurisdizione speciale chiamato a definire controversie in materia elettorale, disciplinare nonché inerenti la tenuta dei rispettivi albi professionali, facciano parte, tra gli altri, anche due dirigenti del Ministero della salute, segnatamente un dirigente amministrativo ed un dirigente di seconda fascia (medico o, a seconda dei casi, veterinario o farmacista). La Corte Costituzionale ha in particolare rilevato che “l’assenza di indipendenza e imparzialità, anche se riferibile solo ad alcuni dei componenti della Commissione, si trasferisce in termini osmotici dai partecipi all’organo, non potendosi consentire che lo stesso eserciti la funzione giurisdizionale attraverso dinamiche radicalmente viziate dalla interlocuzione, nel percorso che porta alla decisione, di soggetti privi delle citate caratteristiche (si veda in tal senso la sentenza n. 33 del 1968 relativa alle Giunte provinciali amministrative in sede giurisdizionale). Tanto è in grado di determinare l’illegittimità della decisione assunta dalla Commissione, rilevabile anche d’ufficio nel giudizio principale”. In un altro passo della sentenza la Corte evidenzia che “intervenendo sullo status del designato, la previsione legislativa deve, in definitiva, garantire una sorta di neutralizzazione preventiva delle possibili situazioni di condizionamento che possano, anche teoricamente, mettere in discussione l’autonomia di giudizio dell’organo decidente”;” Assume decisivo rilievo, soprattutto, la circostanza in forza della quale i citati componenti rimangono incardinati, dopo la designazione, nella stessa amministrazione di riferimento: lo status economico e giuridico del dirigente scelto non muta, infatti, dopo la nomina, nonostante la quale l’attività dello stesso dirigente rimane soggetta anche al controllo disciplinare del Ministero designante”.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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