Il giudice d’Appello ha affermato che in fase emergenziale, di fronte al bisogno pressante, drammatico, indifferibile di tutelare la salute pubblica contro il dilagare del contagio, il principio di precauzione, che trova applicazione anche in ambito sanitario, opera in modo inverso rispetto all’ordinario e, controintuitivo, perché richiede al decisore pubblico di consentire o, addirittura, imporre l’utilizzo di terapie che, pur sulla base di dati non completi, assicurino più benefici che rischi. Ciò in quanto il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco, mentre “Il margine di incertezza dovuto al c.d. ignoto irriducibile” che la legge deve fronteggiare in un’emergenza pandemica grave, per tutte le ragioni esposte, non può dunque giustificare, né sul piano scientifico né sul piano giuridico, il fenomeno della esitazione vaccinale, ben noto anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio nei medici e nel personale sanitario.
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