TAR LAZIO – Legittima l’applicazione degli studi di settore anche ai medici di medicina generale (sentenza nr. 9339/14).
FATTO: L’Agenzia delle Entrate ha incluso con diversi provvedimenti nel meccanismo degli studi di settore anche la categoria dei medici di medicina generale, imponendo agli stessi accertamenti ed adempimenti di natura tributaria. La F.I.M.M.G. – Federazione Italiana Medici e di Medicina Generale – quale ricorrente rileva che gli studi di settore non sarebbero applicabili alla categoria dei medici di medicina generale, in quanto gli stessi hanno stipulato una convenzione nazionale che regola, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 30.12.1999 n. 502 il rapporto di lavoro autonomo, continuativo e coordinato che si instaura tra le Aziende Unità Sanitarie locali e i medici di medicina generale, per lo svolgimento dei compiti e delle attività relativi ai settori di:
a) assistenza primaria di medicina generale;
b) continuità assistenziale;
c) attività territoriali programmate. Tale convenzione vincolerebbe i medici di medicina generale, che sarebbero soggetti alle regole dettate dal Servizio Sanitario Nazionale (per quanto concerne il numero di pazienti da assistere, per i compensi. per le ore di lavoro, per le ferie, ecc.), per cui essi non svolgerebbero un’attività libero professionale autonoma, svincolata da direttive o limitazioni imposte dalla suddetta convenzione con il Servizio sanitario nazionale. L’Agenzia delle Entrate e il Ministero dell’Economia e delle Finanze si sono costituiti in giudizio con atto formale.
DIRITTO: Il Collegio ha rilevato che la particolare natura del rapporto che lega i medici di medicina generale, nonostante la sua pervasività, per come dedotto dalla federazione ricorrente, non può escludere la possibilità che tali professionisti possano comunque percepire, nell’esercizio della loro attività, redditi diversi da quelli elargiti dal Sistema Sanitario Nazionale. La stessa Federazione ammette, invero, che i medici da essa rappresentati sono “formalmente autonomi professionisti” che svolgono la loro attività per il servizio sanitario nazionale. Gli stretti vincoli che limitano l’attività dei medici di medicina generale del S.S.N., tuttavia, non giungono ad impedire che gli stessi possano svolgere anche un’attività libero professionale, che come tale può essere assoggetta al meccanismo degli studi di settore. Né l’esiguità dei compensi percepiti da tale categoria di professionisti, dedotta dalla ricorrente, può giustificare un esonero dalla disciplina in questione. Anche laddove i compensi percepiti dal SSN raggiungessero la quota del 90% del reddito dei professionisti, indicata dalla istante, ciò comunque non impedirebbe di ritenere legittima l’applicazione per la restante parte del meccanismo degli studi di settore, posto che essi non dipendono dalla quota di provenienza dei redditi, ma dalla natura di lavoratori autonomi dei medici del S.S.N.-.Le censure di parte ricorrente, quindi, non appaiono idonee a ritenere l’illegittimità della applicazione degli studi di settore ai medici di medicina generale.