TRIBUNALE DI CREMONA – Responsabilità medica: operazioni di routine. Medico responsabile in caso di mancato raggiungimento del risultato. Si ritiene che nell’attività medica, retta da studi e leggi scientifiche, il risultato sia, se non dominabile, quanto meno governabile, attraverso il rispetto dello standard curativo (linee guida), salve le specificità del caso di specie. Questo almeno nei c.d. interventi di routine, da intendersi non già come le operazioni di non difficile esecuzione, concetto del tutto indeterminato e arbitrario bensì come gli interventi attinenti a settori nei quali la scienza medica abbia già enucleato uno standard curativo – o se si preferisce delle linee guida – universalmente accreditato (cfr Cass. 20586/2012, Cass.5945/2000) (sentenza 9 luglio 2014).
FATTO: Con citazione del gennaio 2009 N.C. conveniva in giudizio il Dr. V.R., il Dr. C.A.G. e la Casa di Cura S.C., onde sentirli condannare al risarcimento in proprio favore di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti per effetto di malpractice medica.Allegava che in data 18.06.2001 si era sottoposto a visita urologica presso il Dott. R.V., il quale aveva accertato la presenza di una cisti dell’epididimo destro, per la cura della quale aveva proposto intervento chirurgico; per l’effetto l’attore si era ricoverato presso la Casa di Cura S.C., ove il 26.06.2001 veniva sottoposto ad intervento, che veniva però sospeso, previa asportazione di una cisti sebacea dell’emiscroto, a causa di complicanze; l’intervento veniva ripreso e portato a compimento il 28.08.2001 e il paziente dimesso il 30.08.2001; tuttavia il predetto, lamentando ancora dolori, si era sottoposto a nuovi accertamenti, all’esito dei quali si era appurato che, nel corso dell’intervento, i sanitari avevano asportato una cisti all’epididimo sinistro, anzichè al destro. Lamentava quindi, tra l’altro, problematiche di tipo psichico e difficoltà nei rapporti sessuali, impotentia coeundi, oltre all’inutilità dell’intervento subito e alla necessità di risottoporsi ad un ulteriore; il tutto anche sotto il profilo della perdita di chances.
DIRITTO: Volendo ripetersi, basti qui ribadire (a parte l’irretroattività del Decreto Balduzzi, che comunque non ha mutato il titolo contrattuale della responsabilità, come di recente anche la Cassazione ha statuito) che rimane ferma – in linea di massima – la cornice della responsabilità civile del sanitario, così come negli ultimi anni disegnata dalla giurisprudenza, ancorata, per le operazioni di routine, al mancato raggiungimento del risultato, negli altri casi alla verifica della sussistenza del dolo o della colpa grave. La giurisprudenza è pervenuta a tale risultato all’esito di un percorso ermeneutico volto a scrutinare la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, evidenziando come tale distinzione si fondi sulla dominabilità o meno del risultato stesso, nel senso che, mentre, nel primo caso, esso dipenderebbe da una molteplicità di concause, concorrenti con l’azione del debitore, nel secondo dipenderebbe quasi interamente dall’attività di costui. Così che si ritiene oggi che nell’attività medica, retta da studi e leggi scientifiche, il risultato sia, se non dominabile, quanto meno governabile, attraverso il rispetto dello standard curativo (linee guida), salve le specificità del caso di specie. Questo almeno nei c.d. interventi di routine, da intendersi non già come le operazioni di non difficile esecuzione, concetto del tutto indeterminato e arbitrario, bensì come gli interventi attinenti a settori nei quali la scienza medica abbia già enucleato uno standard curativo – o se si preferisce delle linee guida – universalmente accreditato (cfr Cass. 20586/2012, Cass.5945/2000). Ne discende che, in linea di massima, il sanitario, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver seguito le linee guida (specifiche per il sottogruppo cui apparteneva il paziente), deve dimostrare che il caso del paziente rientrava tra quelli considerati dalle linee guida (o dal sottogruppo considerato), ovvero, in caso di anomalie o specificità, dimostrare la loro irrilevanza ai fini del trattamento, oppure dimostrare di averne tenuto debitamente conto, adeguando le linee guida al caso di specie. Laddove tali prove siano fornite e l’intervento non abbia avuto successo, il sanitario andrà esente da colpa; lo stesso dicasi nell’ipotesi in cui si siano verificate delle complicanze proprie, ossia complicanze note alla scienza medica come possibili e tipiche di un determinato intervento, essendovi sempre un certo tasso di insuccessi.