Dalla cura di malattie genetiche un tempo inguaribili sino ad arrivare, in un futuro più o meno prossimo, alla creazione di “bambini su misura”: a giudicare dai titoli di giornale e dal dibattito degli ultimi giorni, sembra questa una delle possibili applicazioni delle tecniche di editing genomico. La notizia è virale: la startup americana Preventive punta ad utilizzare la tecnica Crispr-Cas9, il “taglia e incolla” genetico premiato con il Nobel nel 2020, sugli embrioni umani, per eliminare alla radice malattie trasmissibili da genitori a figli. Attualmente queste terapie sono utilizzate solo su individui già nati. Numerose le implicazioni scientifiche, con il rischio di mutazioni “fuori sede”, ad esempio, ed etiche, visto che le mutazioni sarebbero trasmissibili ed entrerebbero stabilmente nel genoma umano.
“Si parlerà anche di questo al Convegno “La scienza medica al servizio dell’umanità” – afferma il Presidente della FNOMCeO, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Filippo Anelli – che, il 27 e 28 novembre prossimi, vedrà confluire a Roma esperti internazionali sulle più moderne tecniche e innovazioni scientifiche”.
“La mappatura del genoma umano – continua – è stata una delle pietre miliari di questo percorso. Tra pochi anni, a costi abbordabili, ognuno di noi avrà accesso alle informazioni sul proprio patrimonio genetico, che potranno essere alla base di un consulto con il medico. Questo cambia il paradigma dell’assistenza, perché il medico sarà in grado di diagnosticare e di curare le malattie intervenendo sulle cause genetiche e non solo partendo dai sintomi. Arriveremo a quella medicina di precisione, a quella medicina personalizzata che consentirà per ogni singolo soggetto di poter erogare una cura specifica, spesso per una stessa malattia, ma diversa da soggetto a soggetto. E in quest’ottica, ovviamente, la professione assume un ruolo straordinario, non solo di speranza, di garanzia per la cura di tante malattie, ma anche di incontro profondo tra una persona e il suo medico: perché è in quell’incontro che potranno essere messe in evidenza le peculiari caratteristiche dell’individuo che rendono poi diverse le cure a seconda della persona, anche per la stessa malattia. E in questo contesto il tempo rappresenta una variabile assolutamente fondamentale, perché abbiamo bisogno di più medici, ma abbiamo bisogno anche di più tempo da poter dedicare ai nostri pazienti, per poter realizzare quella medicina della persona che mette insieme competenze, empatia, etica e comunicazione”.
Ma torniamo ai “bambini su misura”: è davvero uno scenario possibile? E quali sono i rischi? Ancora: è giusto fermare una ricerca promettente per timori che potrebbero rivelarsi infondati o comunque prevenibili?
Lo abbiamo chiesto a Francesco Arcioni, Ematologo della Struttura complessa di Oncoematologia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Perugia, che, il 28 novembre prossimo, ci parlerà delle nuove frontiere di terapia genica per le emoglobinopatie.
Professore, intanto: cosa sono le emoglobinopatie e quali le nuove, rivoluzionarie, terapie?
“La storia delle emoglobinopatie è una storia lunga più di mezzo secolo: una storia che comincia dall’identificazione della lesione genetica che causa la ridotta o alterata produzione dell’emoglobina. Nei primi decenni il destino del paziente era segnato: con troppe trasfusioni, l’accumulo di ferro conduceva a danno cardiaco o epatico grave; senza trasfusioni, analogamente, lo scompenso cardiaco arrivava inesorabile nelle prime due decadi di vita associato a deformità e danni multi-organici gravissimi. L’arrivo delle terapie per la rimozione del ferro ci ha portato a potere trasfondere senza il rischio di accumulo (e di infezioni trasmesse per via plasmatica) portandoci ad una aspettativa di vita normale. A non essere normale è invece la qualità della vita di chi ha una dipendenza dalle trasfusioni, anche se ormai non ci preoccupiamo più di scompenso cardiaco o epatocarcinoma, ma di osteoporosi e altre malattie dell’età avanzata. Sino ad ora, comunque, la cura, tranne i pochi casi in cui si trovava un donatore compatibile per un trapianto di midollo osseo, non c’era.
La terapia di editing genomico ci sta iniziando a far vedere che esiste il “pezzo di ricambio” genetico, una frontiera che fino a 15 anni fa era impensabile. Ora l’editing genomico è disponibile al letto del paziente e ci sta aprendo le frontiere di cura non solo per le emoglobinopatie ma per molte altre malattie genetiche.
A proposito di terapie geniche e di editing genomico: la deriva eugenetica è uno scenario possibile, in un futuro prossimo? E quali sono i dilemmi etici che la accompagnano?
Riguardo le terapie di editing genomico e anche le terapie più propriamente definibili “geniche”, ovvero quelle con vettori virali, non avrei timori riguardo il rischio di deriva eugenetica. Difatti si tratta di “modifiche” di DNA patologico somatico, ovvero delle cellule “malate”: gli esempi al momento disponibili sono quelli delle emoglobinopatie e della emofilia. Nessuna modifica si ha nelle cellule dei tessuti sani, a meno di grossolani effetti fuori bersaglio che al momento non sono evidenti, tantomeno nelle cellule riproduttive. Ciò significa che nulla di ciò che viene “modificato” può essere trasmesso alla progenie, ma persiste anzi il rischio della trasmissione della malattia genetica. Nulla al momento è disponibile, né allo studio, riguardo a modifiche germinali, che possano evitare il rischio di trasmissione. E neppure riguardo a modifiche di DNA embrionale o fetale, che avrebbero ovviamente, con le attuali metodiche, dei rischi consistenti, dato l’elevatissimo turnover delle cellule dei tessuti neonatali e che sicuramente potrebbero essere oggetto di considerazioni etiche.
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17 novembre 2025
Autore: Ufficio Stampa FNOMCeO
