Vicenda Stamina: intervista alla Sen. Elena Cattaneo

Intorno alle possibilità terapeutiche delle cellule
staminali c’è un’attesa miracolistica: di chi sono le responsabilità di
questa stortura culturale e mediatica?

Prima di rispondere alle
domande vorrei approfittare di questa occasione per ringraziare
pubblicamente la Presidente dell’Ordine, la dott.ssa Cheversani, che ho
incontrato recentemente alla presentazione dell’iniziativa Research4life
in difesa della necessità della sperimentazione animale. Vedere seduti
allo stesso tavolo il mondo della ricerca e l’Ordine dei medici nel
difendere la necessità che la ricerca non sia privata di strumenti
essenziali per studiare e elaborare le strategie di cura del domani,
credo sia fondamentale. Inoltre la correlazione sempre più stretta tra
ricerca biomedica e esperienza clinica credo sia il futuro della
medicina su cui c’è molto da lavorare e investire.
Venendo alla sua
domanda, le responsabilità sono individuabili in molti livelli. Ricordo
nei primi anni ’90 ricercatori italiani che dalle pagine dei giornali
sollecitavano l’immaginario collettivo promettendo cure imminenti per
ogni malattia, dal Parkinson, ai tumori, alla SLA. Ora sono spariti ma
in quegli anni sono stati condizionanti in negativo. Erano gli anni
della diatriba (certo non scientifica) tra staminali adulte e
embrionali, come se scientificamente una delle due potesse essere
sufficiente. Fu così che, anche in questo caso,invece di proporre al
Paese ragionamenti che aiutassero i cittadini a comprendere che in
funzione della caratteristiche dell’una e dell’altra e degli obiettivi, e
tenendo presente che le adulte comprendono varie tipologie di
staminali, si poteva accedere ad alcune strategie sperimentali che
sarebbero state impossibili per l’altra tipologia, alcuni (pochi)
scienziati italiani lavorarono per manipolare la percezione pubblica
portandola a credere che le staminali adulte fossero (a priori)
sufficienti per ogni studio e protocollo clinico e che “le staminali
embrionali fossero inutili”. Nel farlo, oltre a introdurre un
controsenso scientifico che ora si rivela interamente (le staminali
embrionali ad esempio sono le uniche in grado di generare i neuroni
autentici che muoiono nel Parkinson) si è esasperata e alimentata
l’attesa di cure da staminali. Con il tempo il termine “adulte” è
passato in secondo piano ma è rimasto nell’immaginario collettivo la
promessa fatta da un manipolo di scienziati che ci sarebbero state cure
domani. Io ho sempre sostenuto che si dovesse lavorare su ogni staminale
e con ogni protocollo che presentasse un forte razionale scientifico
per gli obiettivi prefissi. Ho sempre evidenziato come le embrionali non
potessero essere scartate come inutili prima di averle studiate e prima
di avere fatto gli esperimenti. Il tempo mi ha dato ragione.Sono
infatti prossime alcune sperimentazioni cliniche ad esempio per il
Parkinson con le embrionali. Ho anche sempre ricordato che lavorare con
le embrionali non potesse essere garanzia di cure prossime e certe. Lo
stesso però vale per ogni altra staminale e per ogni sperimentazione.
Così anche la sperimentazione citata sui malati Parkinson con staminali
embrionali può fallire, ma lo stesso vale per ogni sperimentazione con
staminali adulte. Ecco perché bisogna percorrere ogni strada
scientificamente razionale. Ed ecco perché era sbagliato cercare di
dividere adulte e embrionali come se si trattasse di due scienze
diverse. Capisco che l’obiettivo fosse di cercare di manipolare la
realtà della scienza per sostenere una posizione etica che non poteva da
sola trovare alcun sostegno, ma il risultato in Italia è stato proprio
l’esasperazione delle promesse rimbalzate poi sui giornali e in TV anche
in epoca referendum sulla legge 40.
Io non so se
cureranno mai ma sono affascinata dalle embrionali. Sono cellule che
custodiscono i segreti del nostro corpo, sono in grado di specializzarsi
e di generare neuroni. Possiamo studiarle in vitro e vederle cambiare e
assumere caratteristiche molecolari e funzionali tipiche di regioni
diverse del nostro cervello. Attraverso il loro studio in vitro abbiamo
accesso a una finestra dello sviluppo umano al quale altrimenti non
potremmo guardare. Si tratta di un’enorme conquista cui la scienza non
può e non deve rinunciare. Fa parte dei doveri di ogni scienziato non
abbandonare nessuna strada perché non sai mai quale garantirà un
progresso delle scoperte e delle cure.

Lei cosa studia in particolare?
Io
studio l’Huntington e, in laboratorio, lavoriamo con l’obiettivo di
riuscire a riprodurre quegli stessi neuroni che muoiono in questa
malattia degenerativa. È straordinario vedere cosa possono fare le
staminali embrionali umane mentre differenziano in un piattino di
laboratorio e come rispondono ai fattori che applichiamo generando
neuroni corticali o dei nuclei della base o motoneuroni.E in questo
posso dirlo: per ora solo loro sono in grado di fare ciò. Mi interessa
capire se posso usare per questi neuroni per capire perché muoiono
nell’Huntington, o se possono essere terapeutici dopo trapianto. Il
metodo della scienza è fatto di centinaia di verifiche, prove, tentativi
(moltifalliti) che servono a portare dati verificabili da chiunque
altro al mondo.
Promettere una cura che non c’è e non ci sarà mai è
un atteggiamento irresponsabile, se non addirittura criminale. Abbiamo
diversi esempi, e il cosiddetto caso Stamina è, ahimè, quello più
lampante, di come una parte della politica finisca col trattare temi
scientifici con superficialità, senza sentire il bisogno di consultare
esperti per avere conferme e verifiche di ciò che le viene detto.Chi
deve conservare voti e simpatie, come fa a negare ai genitori di una
bambina malata una cura anche se falsa? È più semplice dire sì che
documentarsi. Certi messaggi vengono poi amplificati dai mezzi di
comunicazione, altrettanto colpevoli di dare parola a venditori di fumo,
con il risultato che la scienza che dice "no" finisce per ricoprire la
parte del cattivo. La responsabilità, quindi, è da ricercare prima di
tutto in chi sceglie di restare irresponsabilmente nell’ignoranza.

Il "caso Stamina" è una deriva tutta italiana o anche
all’estero è bene che ognuno guardi con più attenzione in casa sua? Le
guarigioni in diretta TV negli Usa non sono di sicuro un fiore
all’occhiello, come le intemperanze dei"Creazionisti".

Purtroppo
credo che il problema principale sia il mancato riconoscimento, da parte
di tanti, del ruolo della scienza e dei fatti accertati di cui è
garante. Il caso Stamina ci dice che nel nostro Paese c’era – e uso solo
il passato perché mi auguro che l’esperienza abbia insegnato qualcosa –
il rischio che in un ospedale potesse essere autorizzata “una truffa
medica” e che potesse essere somministrata una "indefinita brodaglia" a
dei malati. L’indagine conoscitiva [vedi]
della Commissione Igiene e Sanità del Senato deve essere, però, di
incoraggiamento: quando scienza, politica e istituzioni sanitarie
lavorano insieme per ricercare la verità, vincono. A questo si aggiunge
un enorme lavoro di alcuni ambiti giudiziari.
Purtroppo non abbiamo
avuto la possibilità di avere un processo pubblico per i responsabili
che avrebbe permesso di ottenere una maggiore diffusione tra l’opinione
pubblica della verità, cioè che Stamina era solo una truffa, una
finzione. Ma sarebbe servito anche a conservare meglio la memoria di
quanto è successo, perché è, sì, importante, voltare pagina, ma lo è
altrettanto ricordare quello che è accaduto e, soprattutto, evidenziando
il ruolo negativo spesso assunto in sede giurisdizionale, politica e
mediatica. Gli esempi all’estero di altre tipologie di degenerazioni che
riporta nella sua domanda, purtroppo, esistono. La scienza, però, non
dà spettacolo di sé, non ne ha bisogno. La scienza spiega, porta i
fatti, ristabilisce la verità sulla base di prove, non ha bisogno di
colpi di scena per accreditare le proprie certezze. La via miracolistica
alla guarigione è una tentazione innata nell’uomo. Spetta alle
democrazie avanzate contenerla fornendo in primo luogo assistenza
adeguata ai malati e ai loro familiari. 

Cosa si può fare per incrementare i fondi da destinare alla ricerca in Italia?
La
ricerca,in ogni campo, è fondamentale per un Paese: è una risorsa
culturale, umana ed economica. L’avanzamento in ricerca e in conoscenza
permette di ponderare al meglio le scelte politiche, così come quelle
della vita quotidiana. Investire in ricerca,vuol dire investire nel
futuro. Purtroppo si tratta di un concetto che l’Italia sembra aver
accantonato da decenni sottovalutando l’enorme potenziale che perdiamo
ogni qual volta un nostro studente o giovane laureato decide di
trasferirsi all’estero per proseguire studi e ricerche. In tempi di
scarsità di risorse sarebbe anche importante immaginare una legislazione
che incoraggi le donazioni e che promuova azioni di filantropia, ne
esistono già modelli virtuosi in altri paesi. Per sbloccare questa
situazione in cui la ricerca scientifica in Italia versa in una
condizione molto difficile, che sta provocando anche una graduale
perdita delle idee, credo che il primo passo sia trovare il modo di
farsi ascoltare, far capire, anche qui con i numeri, con i fatti, quello
che il Paese sta perdendo. Ad ogni decisore politico bisogna ricordare
come la ricerca, anche quella di base, apparentemente “improduttiva”, in
realtà altro non è che un potente moltiplicatore della consapevolezza
di cosa un’idea possa fare e di quali ambiti sconosciuti possa rivelare,
per poi ricadere con forme e modi tante volte inimmaginabili  sulla
società, sulla sua ricchezza sociale e conoscitiva e quindi produttiva.
Senza
questo tipo di investimento, siamo destinati come Paese a essere sempre
più irrilevanti nell’economia della conoscenza, finendo col competere
con economie emergenti che, quanto a costo di manodopera e materie
prime, finiscono inevitabilmente per essere più competitive.

E’ proprio vero che la cultura scientifica ha poco "appeal" in Italia?
Per
fortuna non è vero. Quando la scienza si svela, quando con il
linguaggio giusto viene ascoltata e capita, riesce a creare curiosità e
interesse. Purtroppo, non è questa la norma. Nella maggior parte dei
casi viene percepita come qualcosa di lontano ed estraneo dalla vita di
tutti i giorni. O addirittura di “pericoloso”. Manca la consapevolezza
che, in realtà, la vita di tutti noi è permeata di scienza, basti
pensare ai mezzi che usiamo per spostarci o per comunicare. Ma, manca
anche la capacità della comunità scientifica di trovare le modalità
migliori per creare empatia e raccontarsi, manca il coraggio di metterci
la faccia, di esporsi pubblicamente, perché si ritengono sufficienti il
lavoro fatto in laboratorio e i risultati raggiunti. Purtroppo pochi
scienziati ritengono di doversi impegnare per dare corpo al ruolo
sociale della scienza che non è fatta per chi sta dentro i laboratori.
Restare silenti sulle conquiste e le conoscenze della scienza, ma anche
sui rischi o i fallimenti inevitabili se vera scienza è, lo reputo un
errore perché poi si lascia spazio a personaggi improvvisati, privi di
competenza, a ciarlatani. Questa scarsa attrazione per la scienza forse è
anche dovuta al fatto che in Italia manca la predisposizione, anche da
parte di politici ed istituzioni, ad ascoltare la scienza e prevale la
presunzione di poterne fare a meno anche quando il suo apporto sarebbe
fondamentale per alcune scelte. Stamina docet.

Per incrementare la cultura scientifica in Italia che
cosa bisognerebbe fare in concreto. E come si potrebbe aiutare la
politica in questo compito?

Sulla possibilità di un
dialogo tra il politico e lo scienziato c’è il rischio che si
frappongano i voti. Una parte della classe politica è più attenta a
mantenerli piuttosto che a informarsi o affrontare una battaglia in nome
delle prove che la scienza fornisce al meglio delle possibilità di
conoscenza date. Dalla mia esperienza in Senato, comunque, posso dire
che sono positivamente colpita dal fatto che sono in tanti a mostrare
interesse su come la scienza possa aiutarli nel duro lavoro di dover
prenderedelle decisioni per il Paese. Dal momento della mia nomina,
arrivata ormai due anni fa, ho immediatamente voluto intendere il mio
ruolo proprio come interprete della scienza per la politica e per i
cittadini. Ho scoperto parlamentari interessati a portare in aula temi
che riguardano la scienza e diversi colleghi Senatori mi avvicinano
perché vogliono approfondire una tematica scientifica. Mi metto a
disposizione di chiunque, alla condizione che portino al tavolo fatti
documentati e verificabili. Poi credo che la politica dovrebbe copiare
dalla scienza il suo metodo, basato sulla verifica puntuale dei fatti, a
garanzia della propria onestà. L’ultima parola è indubbiamente della
politica. Ma deve sempre essere informata, soprattutto su temi complessi
come spesso succede con quelli che riguardano l’innovazione.
L’integrazione di discipline e competenze spesso diversissime, con le
responsabilità individuali delle posizioni che si occupano credo sia
l’unico modo di procedere.

Politica e deontologia: un dibattito sempre aperto per
la Professione sanitaria che proprio sulla vicenda stamina potrebbe
costruire un modello operativo di dialogo e confronto. In che modo?

Proprio
per fare in modo che gli errori fatti non si ripetano in futuro, a
conclusione dell’indagine conoscitiva realizzata in Senato abbiamo
avanzato dieci proposte che interessano tanto il legislatore,quanto la
comunità scientifica, medica e giornalistica. Queste propostevogliono
contribuire a garantire un controllo e un coinvolgimento più puntuale di
soggetti competenti, quali esperti selezionati, rappresentanti del
Ministero della Salute, enti regolatori e comitati etici, nei processi
che riguardano l’autorizzazione di nuove terapie, la concessione di cure
compassionevoli,nonché la realizzazione di campagne informative e la
predisposizione di linee guida, vincolanti per il servizio pubblico,
d’indirizzo per l’informazione privata, a garanzia di un’informazione
accurata e imparziale. Non abbiamo nessuna intenzione di lasciare che
queste proposte restino lettera morta. Vorrei vederle studiate e
realizzate nella forma migliore, attraverso atti normativi e iniziative
parlamentari o extra parlamentari. Tutti i soggetti interessati
politici, medici, giornalisti e giudici, sono invitati a concorrervi per
il proprio ambito di competenza.
Sul piano strettamente della
deontologia medica, chi volesse approfondire, vedrà che non era un
problema di regole e norme deontologiche, quanto piuttosto l’aver scelto
di non osservarle. Su questo aspetto, oltre a ragionare sull’efficienza
delle sanzioni ordinistiche, ciascun medico deve interessare la propria
coscienza quando si trova in situazioni simili. Dopo Stamina non
saranno più accettati i "non potevo sapere".

Elena Cattaneo

Università degli Studi di Milano
Senatrice a vita

Autore: Redazione FNOMCeO

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