"Potrebbe essere un modo surrettizio di superare la normativa italiana": è questa, secondo un’interrogazione parlamentare, una delle letture da dare al fenomeno delle iscrizioni in massa di ragazzi italiani ad alcune università straniere, per frequentare facoltà medico- sanitarie.
Ne è primo firmatario l’Onorevole Vincenzo Garofalo, che l’ha presentata, oltre che al ministro dell’Istruzione, anche a quello dell’Università e della Ricerca, della Salute, e degli Affari Esteri, volendo proprio indagare su quelle Università che, per tali facoltà, accolgono anche studenti italiani, senza alcun test di accesso (o con esami molto semplificati) e soprattutto con poca chiarezza sul percorso formativo.
Tra i primi a lanciare questo l’allarme, la CAO nazionale che aveva posto la questione all’attenzione dei media e della Politica.
In particolare, i riflettori si erano accesi sull’Università Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana, sede distaccata dell’Università di Roma Tor Vergata, dopo la notizia, da parte di alcuni organi di stampa, dell’”esodo” in Albania di molti aspiranti studenti di Odontoiatria che non avevano superato i test di ingresso in Italia.
Ma come è nata questa interrogazione parlamentare? E quali sono – se ci sono – i rischi per la Salute pubblica di un percorso così tortuoso?
Per approfondire l’argomento, l’Ufficio Stampa ha intervistato Vincenzo Garofalo.
Onorevole Garofalo, lei è primo firmatario di un’interrogazione parlamentare, presentata alla Camera dei Deputati sulle lauree conseguite da studenti italiani presso l’Università Nostra Signora del Buon Consiglio di Tirana. Ritiene che la problematica delle lauree conseguite all’estero per aggirare la normativa sul numero programmato possa trovare attenzione anche a livello delle istituzioni comunitarie?
Ritengo che debba certamente trovare attenzione anche a livello comunitario. E questo per due ordini di ragioni. Da un lato, il problema che si pone è quello di garantire il rispetto della uguaglianza sostanziale ai nostri studenti e ai nostri professionisti, assicurandoci che gli standard di formazione vengano rispettati. Dall’altro lato – cosa se possibile ancor più importante – occorre tutelare il legittimo affidamento del paziente, al quale non può chiedersi l’ulteriore sforzo di accertarsi, di fronte ad un professionista, se si tratti di un soggetto laureatosi in un Paese piuttosto che in un altro. Reputo, per questo, che le istituzioni comunitarie debbano farsi carico di tutelare professionisti e pazienti, consentendo all’interno dei Paesi dell’Unione il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti all’esterno, solo ed esclusivamente al termine di una complessa e accurata procedura, volta ad accertare il rispetto degli standard di qualità della formazione garantiti all’interno dell’Unione.
E qual è, attualmente, la procedura per il riconoscimento dei titoli?
In Italia, per quanto concerne il riconoscimento dei diplomi di laurea rilasciati all’estero, la normativa prevede che, per i Paesi non appartenenti alla Unione europea, le procedure di riconoscimento per le professioni sanitarie siano svolte dal ministero della Salute ai sensi dell’articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica n. 394 del 1999.
In riferimento, invece, ai diplomi di laurea rilasciati dalle istituzioni universitarie dei Paesi appartenenti all’Unione europea, la procedura di riconoscimento è sempre svolta dal nostro Ministero della salute – ai sensi della direttiva comunitaria 2005/36/CE- ma è più semplificata e fondata sul principio della libera circolazione dei professionisti nel territorio comunitario.
Ma, ponendo “paletti” più rigidi, non si rischia di porre limiti alla libera circolazione e di restringere la concorrenza?
L’era della globalizzazione ci ha dato un grande insegnamento. Aprire le frontiere, permettere la circolazione delle merci, delle persone, del capitale, al fine di consentire la libera concorrenza nel mercato ha un senso solo nella misura in cui, di base, venga garantita una uguaglianza sostanziale… ovvero una uguaglianza dei punti di partenza.
Mi spiego meglio. Non vi può essere concorrenza leale tra il datore di lavoro che rispetta i diritti del lavoratore e un datore di lavoro al quale la costituzione (per fortuna) impone di dare una retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro prestato. Allo stesso modo, non può esservi concorrenza leale tra chi per ottenere il diploma di laurea ha dovuto affrontare un difficile test di ingresso alla facoltà e poi un attento e duro percorso di studi e chi ha avuto accesso alla facoltà senza nessun ostacolo e ha seguito un corso di studi nel quale non siano fissati standard di qualità da rispettare.
Crede che gli Ordini, in quanto garanti della Salute pubblica, potrebbero rifiutarsi di iscrivere ai loro Albi professionisti dei quali non è trasparente l’iter di formazione?
Io ritengo che, alla luce delle considerazioni sopra esposte, il ruolo di “garanti” degli Ordini professionali sia di fondamentale importanza.
L’accesso alle Professioni sanitarie è disciplinato in Italia dall’art.3, comma 1, lettera a), della legge 2 agosto 1999, n. 264, che prevede il cosiddetto “numero programmato”.
La ratio sottesa alla predisposizione del numero chiuso è duplice: quella di garantire che l’offerta di specialisti del settore sia adeguata al reale fabbisogno di professionisti della Sanità nel nostro territorio ma, soprattutto, la volontà di assicurare, in un settore delicato come quello della Salute, un’alta qualità dell’insegnamento, in relazione alle potenzialità organizzative delle varie sedi universitarie.
Più volte sono intervenuto su questo argomento, sollecitando l’attenzione del ministro, perché ritengo che l’argomento vado trattato con grande cura e attenzione.
Di certo, all’interno di questo contesto, un ruolo di fondamentale importanza nell’evitare violazioni di diritti fondamentali, quale è quello alla Salute, hanno gli Ordini professionali. A loro spetta il compito di farsi interpreti della legge e, a mio avviso, di conseguenza, il dovere di bloccare l’iter di iscrizione agli Albi ogni qualvolta il curriculum di formazione non risulti chiaro e trasparente.
Autore: Redazione FNOMCeO