Tra gli organizzatori del Convegno di Taranto, “Ambiente, Salute e Lavoro nella città dell’acciaio”, che si svolgerà il 28 settembre, ci sarà anche l’Ordine dei Medici di Brindisi, presieduto da Emanuele Vinci. Vinci è anche il Coordinatore del Gruppo di Lavoro della FNOMCeO su “Professione, Ambiente e Salute”, che si riunirà, proprio a Taranto, il giorno prima del Convegno.
In questa doppia veste, Vinci parteciperà al Convegno, portando dunque sia la voce del territorio di Brindisi – tormentato al pari di quello di Taranto dalle problematiche ambientali – sia la voce della Professione tutta, che da tempo guarda con attenzione ai rapporti tra Ambiente e Salute.
L’Ufficio Stampa gli ha chiesto alcune anticipazioni sui temi più attuali.
Negli ultimi anni gli Ordini dei medici di molte province hanno organizzato convegni ed iniziative sul tema “Ambiente e Salute”. Adesso arriva il Convegno di Taranto su “Ambiente Salute e Lavoro”, con la diretta partecipazione del Comitato Centrale della FNOMCeO. Il “Caso Puglia” è, dunque, dai medici monitorato da tempo a livello nazionale?
La professione medica ha nel suo codice genetico la consapevolezza del nesso indissolubile tra ambiente e salute; e nessuna comunità, nessun governo o singolo uomo può ignorare che l’essere umano è parte integrante di un più vasto mondo biologico e che la sua vita dipende dalle condizioni dell’ecosistema in cui è inserito.
Negli ultimi anni, la FNOMCeO ha, in più occasioni, lanciato l’allarme sul degrado dell’ambiente e sulle patologie correlate, anche con Documenti Ufficiali. Con il “Manifesto di Padova sulla tutela della salute globale”(Consiglio Nazionale 31 maggio 2008) e con il Codice di Deontologia Medica (art.5 dell’edizione del 2006, ancora vigente) è stato ribadito che: “Il medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora quale fondamentale determinante della salute dei cittadini. Il medico favorisce e partecipa alle iniziative di prevenzione, di tutela della salute nei luoghi di lavoro e di promozione della salute individuale e collettiva”.
Il “Caso Puglia”, con le due principali aree di Taranto e di Brindisi (già definite a rischio di crisi ambientale dal DPR 23 aprile 1988), è emblematico per diversi motivi. In sintesi, si può affermare che il danno alla salute della popolazione provocato da attività altamente inquinanti e clima-alteranti è stato documentato da studi e ricerche “indipendenti”. Solo l’intervento della Magistratura ha costretto ad avviare un percorso di riflessione e risanamento.
Cosa le fa pensare tutto questo?
Dai fatti non si possono che trarre due conclusioni: la prima è che le norme autorizzative delle varie attività antropiche (la Valutazione Impatto Ambientale, la Valutazione Danno Sanitario ecc.) oggi vigenti sono del tutto inadeguate a prevenire i danni sulla salute.
La seconda è che gli attuali sistemi di controllo sono anch’essi del tutto insufficienti a garantire la prevenzione dei rischi, sia nell’ambiente di vita che in quello del lavoro.
Da cosa scaturisce la scelta di non parlare solo di neoplasie ma di danni all’apparato riproduttivo, a quello endocrino e a quello neurosensoriale?
Semplice: perché oggi siamo consapevoli – grazie ai nuovi e sistematici studi epidemiologici, genetici, biomolecolari – che le influenze negative dell’ambiente sulla salute non riguardano solo l’aspetto oncologico, con la formazione di neoplasie, ma sono all’origine delle attuali pandemie di patologie dismetaboliche e neurodegenerative.
Di più: le interazioni tra l’ambiente e la salute non riguardano solo le varie patologie, acute o croniche, vecchie o nuove, ma determinano effetti sull’evoluzione, sino a minacciare la stessa sopravvivenza delle specie viventi, Homo sapiens compreso.
Negli ultimi anni, si è assistito infatti ad uno sviluppo esponenziale degli studi epidemiologici sulle interazioni tra ambiente e salute, che hanno richiamato l’attenzione pubblica sugli effetti potenzialmente dannosi derivanti dalle attività antropiche (produzione di energia, gestione dei rifiuti, sistema della mobilità, qualità dell’acqua e dell’aria, pratiche agricole, campi elettromagnetici), in particolare sulle ricadute a lungo termine sulla salute, ossia quelle meno evidenti ma, una volta che si verificano, più difficili da tenere sotto controllo.
Inoltre, tecniche innovative di indagine dei meccanismi molecolari e di sequenziamento genomico hanno permesso di approfondire la conoscenza di molti fenomeni biologici: dallo sviluppo ontogenetico (dall’uovo fecondato all’individuo) e filogenetico (relativo all’evoluzione della specie), sino all’acquisizione delle forme, dai processi fisiologici alle alterazioni patologiche e ai cosiddetti effetti epigenetici, ossia le modificazioni nell’espressione dei geni ma non nella sequenza del Dna.
Tali ricerche e studi hanno prodotto una significativa documentazione scientifica in merito alle correlazioni tra le alterazioni ambientali di origine antropica e l’insorgere di patologie e di modifiche ereditabili nell’espressione dei geni.
Quali sono le principali emergenze ambientali nella provincia di Brindisi? Quali le spie?
In un ridottissimo fazzoletto di terra, qual è l’area di Brindisi, sono concentrati impianti altamente inquinanti e clima- alteranti: la mega-Centrale a carbone termoelettrica ENEL di 2640 MW, considerata tra le più grandi e inquinanti d’Europa, la Centrale a carbone Edipower di 1280 MW, priva finanche di desolforatori, la centrale Enipower di 1170 MW, numerose aziende chimiche e farmaceutiche dichiarate “a rischio di incidente rilevante”, e, inoltre, mega- discariche di rifiuti pericolosi e nocivi.
A questo complesso di impianti altamente inquinanti e clima alteranti, nel corso di questi anni si è “aggiunto” un impressionante, disseminato – a scapito dei terreni coltivabili – complesso di impianti fotovoltaici, in parte oggi sotto sequestro giudiziario, di impianti eolici , di impianti per la combustione di biomasse.
Insomma, aria, acqua, suolo sono talmente inquinati che un’ordinanza sindacale ha vietato la coltivabilità dei campi attorno al percorso del nastro trasportatore di carbone.
L’area di Brindisi è ormai considerata il più grande serbatoio di “clima -alterazione” d’Italia, con la beffa ulteriore di dar spazio a nuove aggressioni ambientali, paesaggistiche, visive, acustiche, elettromagnetiche, anche sulla linea di costa dell’area a rischio: pensiamo ai progetti offshore, di installazione di impianti eolici in mare.
Non è solo l’Ilva di Taranto, in questi giorni, ad essere posta alla pubblica attenzione: il quotidiano ligure Il Secolo XIX ha denunciato ancora nei giorni scorsi l’aumento di neoplasie negli abitanti di Vado e Quiliano – in provincia di Savona -, aumento per il quale anche la Procura ha ipotizzato un nesso causale con le emissioni tossiche della centrale a carbone di proprietà della Tirreno Power. Mentre in Parlamento è stato sollevato il caso della Raffineria di petrolio di Falconara Marittima, in provincia di Ancona: secondo un’analisi commissionata dalla procura, “leucemie, linfomi, mielomi costituiscono la maggiore causa di mortalità e di ricovero ospedaliero”. Come Commissione FNOMCeO, quali interventi avete in programma per la tutela della Salute contro le patologie di origine ambientale?
La diffusione su tutto il territorio nazionale di tali aree a rischio – nelle quali è stata ampiamente documentata la correlazione tra alterazioni ambientali e patologie diffuse – conferma quanto già emerso dalla “vicenda ILVA” e sottolineato all’inizio, in merito all’inadeguatezza delle norme autorizzative e all’insufficienza dei sistemi di controllo.
Ed ecco la nostra proposta: attuare, finalmente, la Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS), ovvero “una combinazione di procedure, metodi e strumenti tramite i quali una politica, un programma o un progetto possono essere giudicati sotto il profilo dei loro potenziali effetti sulla salute della popolazione e della loro distribuzione nell’ambito della stessa popolazione” (Congresso di Goteborg 1999). In tale innovativa procedura vanno definiti: 1. i contesti in cui deve o può essere sviluppata, 2. i responsabili del percorso di VIS, e i soggetti competenti, 3. i metodi da utilizzare per ottenere le evidenze necessarie, 4. i costi finanziari di tali procedure.
E quale, in sostanza, il ruolo dei medici?
In tale percorso il ruolo della professione medica è essenziale: sia nella qualità specifica del lavoro di ognuno, come epidemiologi, igienisti e medici del lavoro, sia nel compito di tutta la professione, di tutela e di cura della Salute.
Alla Professione medica va dunque garantita la massima autonomia e indipendenza da qualsiasi condizionamento che non sia quello della tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro.
E in quest’ottica, La VIS va posta non come un’ulteriore procedura burocratico-amministrativa, che freni le iniziative pubbliche e private, ma come un “bollino verde” per tutte le attività antropiche capaci di creare lavoro compatibile con la salute.
Noi medici intendiamo la VIS come una sorta di motore di un percorso di sviluppo economico e sociale nel quale la salute e il lavoro possano procedere di pari passo, nella convinzione che non c’è salute senza lavoro e lavoro senza salute.
Diritto al Lavoro, diritto alla Tutela della Salute: come contemperare dunque – come medici e come cittadini – questi due Diritti di rango Costituzionale?
Da qualche anno il drammatico precipitare della crisi economica e sociale del Paese e dell’intero Occidente, con pesanti ricadute sull’occupazione specie giovanile, ha innescato una sempre più grande contrapposizione tra salute e lavoro, rendendo nell’opinione di vasti strati della popolazione quasi inconciliabili i due diritti sanciti dalla Costituzione Repubblicana.
Emblematico è l’acceso dibattito innescato proprio dalla vicenda dell’ILVA di Taranto, nella quale gli indispensabili interventi – di bonifica territoriale e di superamento delle attuali modalità produttive – vengono presentati e percepiti da vasti strati dell’opinione pubblica come una causa di perdita del lavoro e di aumento della disoccupazione
Si impone quindi un grande impegno di tutte le forze culturali, sociali e istituzionali responsabili, affinché i due diritti naturali e costituzionali, il lavoro e la salute, non siano in competizione ma trovino il giusto equilibrio in una politica dello sviluppo economico, che dovrà essere compatibile con le esigenze sociali di occupazione, di salute e di tutela ambientale, contemperando le esigenze delle generazioni presenti con quelle delle generazioni future.
Autore: Redazione FNOMCeO